Era il 19 luglio del 1966, e il fischio finale da Middlesbrough fu implacabile e lasciò spazio a ben pochi dubbi.
Corea del Nord 1 – 0 Italia
Azzurri a casa, coreani ai quarti di finale.
È una delle partite che hanno segnato la storia del calcio come la viviamo nel nostro paese. La nostra nazionale, che due anni dopo vinse l’Europeo e arrivò seconda nel mondiale messicano del 1970, fu buttata fuori dal gol di un dentista, Pak Doo-Ik. Che dentista non era, ma era bensì un tipografo dell’esercito, divenuto, dopo la leva, professore di ginnastica. Qualche anno dopo, toccò sempre all’Italia e a qualche altra nazionale cadere sotto la nazionale coreana nel mondiale organizzato in Corea del Sud e Giappone: chi non si ricorda gli striscioni appesi nello stadio di Daejeon, tra cui quello che, goliardicamente o meno, dava il benvenuto agli Azzurri nella propria tomba?
Tutto il resto è storia calcistica. Delusioni nostrane e Coreani del Sud a parte, le vicissitudini della Nazionale della Repubblica Popolare Democratica di Corea (o “best Korea” che dir si voglia) non si limitano soltanto a due partecipazioni ai mondiali, ma affondano le radici nello “Spirito Chollima”. E, dopo 50 anni e più di tornei a cui hanno partecipato e non per mancate qualifiche o squalifiche, inseguendo con costanza la riunificazione con i cugini capitalisti giocando partite amichevoli, si può dire che il suddetto spirito è ancora più forte che mai.
Le Origini e il GANEFO
Il calcio moderno fece la sua comparsa a livello mondiale a inizio ‘900 investendo con la sua forza anche la penisola coreana, dove si affermò come sport molto sentito dalla popolazione soprattutto grazie al derby di Corea tra Pyongyang e Gyeongseong, l’attuale Seul, con diversi incontri negli anni ’20 e ’30 del secolo scorso. Ma la Nazionale della Corea del Nord fece il suo esordio in ambito internazionale molti anni dopo: Wikipedia dà come esordio ufficiale un pareggio a reti bianche contro la Birmania nel 1964, nell’ambito delle qualificazioni alle Olimpiadi di Tokyo. L’esordio invece “non ufficiale” lo si ha invece qualche anno prima, nel 1956, in un triangolare tra Corea, Vietnam e Cina. Seguiranno, in seguito a questo esordio, diverse partite contro le nazionali del Patto di Varsavia e del continente asiatico, e la partecipazione ai GANEFO, “Games of the New Emerging Forces”. La prima edizione della competizione la si ebbe nel 1963, e ciò fu dovuto al fatto che l’Indonesia, organizzatrice l’anno prima dei Giochi Asiatici, i cui risultati erano validi per i Giochi Olimpici, non volle che partecipassero due nazionali regolarmente iscritte al CIO: Israele e Taiwan: Israele a causa dell’opposizione degli stati arabi (tant’è che ormai dal 1994 il comitato olimpico e la federazione calcistica israeliane sono affiliate con gli organi internazionali di riferimento europei), mentre Taiwan (la piccola isola di fronte alla Cina separatasi su iniziativa di Chiang Kai-Shek) a causa dei contrasti e dei problemi diplomatici che esistono tutt’ora tra la Repubblica Popolare Cinese (l’estensione continentale) e la Repubblica di Cina (o Cina Taipei, nelle competizioni sportive) presente sull’isola.
Questi primi GANEFO videro la Corea del Nord arrivare fino alla finale del torneo di calcio, pareggiata e persa al lancio della monetina contro la nazionale della Repubblica Araba Unita, unione dell’Egitto e della Siria.
1966: Football Comes Home, ma veniamo anche noi!
Il calcio e lo sport in generale ha sempre subito nel corso degli anni influenze dagli avvenimenti storico-politici, e una concatenazione di eventi nel 1965 permisero alla Corea del Nord di staccare il biglietto per il loro primo Mondiale di calcio in terra d’Albione. In seguito al sorteggio per le qualificazioni del Mondiale del 1966, le squadre africane erano aumentate da 6 a 15; nonostante l’aumento delle nazionali del continente nero in lizza per il torneo la FIFA decise che le tre qualificate del gruppo africano avrebbero dovuto giocarsi il passaggio alla fase finale per un solo posto contro la vincente del gruppo asiatico-oceanico. Era ancora lontana l’idea di allargare i vari tornei internazionali a più squadre, come le 32 nazionali dell’ultimo Mondiale in Brasile: infatti nel 1966 furono solo 16 le qualificate alla fase finale, e la Corea del Nord fu una di queste grazie al ritiro in massa delle squadre africane per protesta contro il sistema di qualificazioni allora in vigore. La doppia sfida decisiva per la qualificazione contro l’Australia fu giocata il 21 e il 24 novembre in campo neutro a Phnom Phen, Cambogia, perché le due nazioni non si riconoscevano politicamente fra di loro e, nonostante i problemi che affliggevano il paese asiatico, in ginocchio a causa della guerra e con una penuria di mezzi fondamentali per allenarsi (come i palloni stessi: i coreani si allenarono per due anni con qualsiasi cosa rotolasse incluse pietre e bottiglie!), i coreani sovvertirono il pronostico che vedeva favorita l’Australia compensando la loro tecnica individuale con il gioco di squadra e la velocità, ricetta efficace per molte squadre underdog dei campionati e tornei, riuscendo così a staccare il pass per la competizione iridata.
Tuttavia la qualificazione della Nazionale della Corea del Nord diede il via a qualche problema logistico e diplomatico. Il Regno Unito, come l’Australia, non riconosceva la Repubblica Popolare Democratica di Corea e la federazione britannica, dopo aver provato a riammettere alla fase finale una delle proprie nazionali rimaste fuori al posto dei coreani, iniziò una sorta di “boicottaggio” nei confronti della nazionale asiatica. Si parte dal rilascio del visto per i coreani solo a condizione di rinunciare al nome ufficiale, ovvero Repubblica Popolare Democratica di Corea, per il più semplice e di uso comune “Corea del Nord”, alla decisione di farli alloggiare a Middlesbrough, in una stamberga con vista sul polo chimico della città. Si prosegue con il non invitare i rappresentanti nazionali ai sorteggi, il ritiro del francobollo con la bandiera della Corea e addirittura alla proibizione degli inni: se oggi durante le partite delle nazionali siamo abituati a sentire gli inni nazionali prima del fischio d’inizio (a meno che non parta un pezzo di Pitbull come avvenuto nella scorsa Copa America…), per evitare di dover suonare l’inno nord coreano gli inni nazionali furono eseguiti soltanto due volte, nella la partita di inaugurazione dell’Inghilterra e nella finale di Wembley.
I Coreani giocheranno le tre partite del girone a Middlesbrough e la città, di tradizione operaia, non può che “adottare” i giocatori, sia per l’educazione che conquista le massaie inglesi sia per i tifosi che ne apprezzano il continuo e costante impegno negli allenamenti, partendo dalla sveglia alle 7 del mattino fino alla sera dopo cena tra cross, ginnastica, sollevamento pesi, canti patriottici, sprint, partitella senza ruoli fissi per novanta minuti di seguito con la palla che non può restare allo stesso giocatore per più di dieci secondi. La prima partita contro l’Unione Sovietica finisce con un sonoro 3-0 russo, ma i 22000 dell’Ayresome Park non si perdono d’animo, e i coreani non deluderanno la città che li ha adottati strappando un pareggio sul finale nella partita successiva già da “Dentro o Fuori” contro il Cile. L’ultima partita del girone, contro l’Italia, alla quale basterebbe un pareggio per passare, si rivela quindi decisiva. E come spesso succede per i nostri colori, quando la situazione è a nostro favore spesso viene ribaltata, e non fece eccezione quel 19 luglio di 50 anni fa. Complice anche Bulgarelli che si fece male a metà del primo tempo (e all’epoca non esistevano i cambi per i giocatori di movimento), l’Italia resta in 10 e Pak Doo-Ik al 41° del primo tempo la mette dentro alle spalle di Albertosi. L’Italia s’innervosisce, non trova più idee e il 90° arriva inesorabile e Pak Doo-Ik, che avrebbe voluto scambiare maglia e strette di mano con gli Azzurri, restò stupito dalla reazione della nostra nazionale che rientrò in fretta e furia negli spogliatoi, con Facchetti in lacrime che fece desistere la punta coreana dal girare il coltello nella piaga.
La Corea del Nord vola ai quarti di finale, dove l’aspetta il Portogallo di Eusebio. La partita si gioca il 24 luglio al Goodison Park, lo stadio dell’Everton, Liverpool, e anche questa città, di tradizione operaia, accoglie i calciatori coreani con molto entusiasmo. Per la partita contro il Portogallo arrivano pure 3000 tifosi da Middlesbrough per sostenere i ragazzi asiatici così educati e tenaci, che vanno su di un netto 3-0 alla mezz’ora del primo tempo. Poi però si sveglia Eusebio, e il risultato finale di 5-3 per il Portogallo porta i lusitani alla semifinale contro l’Inghilterra. Ma la nazionale nord coreana e il loro “calcio totale” sono ormai già passati alla storia, e rientrano in patria come eroi. A Middlesbrough alcuni di questo undici faranno ritorno nel 2002 durante le riprese del documentario prodotto dalla BBC a loro dedicato, “The Game of Their Lives”.
Mancate (S)qualifiche, fino al 2010…
Gli anni che seguirono l’exploit di quella che fino al 1994 fu l’unica nazionale asiatica a raggiungere la fase a eliminazione diretta, raggiunta dall’Arabia Saudita ai sedicesimi nel Mondiale americano del 1994 e nel 2002 con la Corea del Sud in semifinale nel proprio mondiale casalingo, non furono densi di soddisfazioni a carattere ufficiale fra le tante squalifiche e mancate qualifiche, con l’eccezione del quarto posto nella Coppa d’Asia del 1980 e il primo turno raggiunto del 1992. Il blocco della nazionale avrebbe potuto far bene anche ai mondiali del 1970, ma durante la fase di qualificazione il girone prevedeva gli incontri contro la Nuova Zelanda e Israele e, a causa dell’appoggio alla Resistenza palestinese e al mancato riconoscimento dello stato israeliano, la Corea del Nord decise di autosospendersi incappando così in una squalifica da parte della FIFA. Nel 1974, otto anni dopo Corea-Italia dei Mondiali inglesi, la selezione under 23 dell’allora Serie C italiana, allenata da Enzo Bearzot, durante una tourné in Asia giocò due partite a Pyongyang, entrambe finite in pareggio, e in seguito, nei Giochi asiatici dello stesso anno, la nazionale nordcoreana arrivò quarta sconfitta dalla Malesia nella finale per il terzo posto; finalina raggiunta a tavolino perché la Corea del Nord rifiutò nuovamente di scendere in campo contro (indovinate un po’?) Israele nel girone di semifinale. La squalifica impedì la partecipazione della nazionale nordcoreana alla successiva Coppa d’Asia ed è un dato di fatto che, nel giro di quattro anni, la politica del regime impose la propria visione sulle manifestazioni sportive. In seguito ad alcune partecipazioni nelle Coppe d’Asia e altri tornei non ufficiali, gli anni 90, complice un miglioramento dei rapporti politici tra la Corea del Nord e i paesi occidentali, videro la nazionale asiatica affrontare in amichevole gli Stati Uniti a Washington, in una partita che diventa senza dubbio un evento storico e politico nei rapporti tra le due nazioni. Partita vinta dalla nazionale nord coreana guidata, per la prima volta, da un allenatore straniero: Pal Csernai, ex giocatore di Benfica e Bayern Monaco.
Ma per vedere di nuovo la best Korea sul palcoscenico internazionale dobbiamo attendere il 2010, ai Mondiali sudafricani. Inserita nel girone di qualificazione con Corea del Sud, Arabia Saudita, Iran e Emirati Arabi Uniti, non mancherà di giocare la partita casalinga contro i cugini sul neutro di Shangai, poiché le autorità di Pyongyang non avrebbero mai permesso che si suonasse l’inno sudcoreano e che venisse esposta la bandiera dello stato meridionale. Intoppo diplomatico a parte, la Corea del Nord staccò il biglietto per il Sudafrica alle spalle della Corea del Sud: dopo il 1966, è di nuovo Mondiale. Inserita nel girone con Brasile, Portogallo e Costa d’Avorio, per il divario tecnico non riuscirà a bissare in alcun modo l’exploit del Mondiale inglese, arrivando ultima nel girone con tre sconfitte (fra le quali un nettissimo 7-0 contro il Portogallo) e con un gol solo segnato da Ji Yun-Nam contro il Brasile. L’effetto sorpresa è completamente mancato, nonostante il supporto degli Zainichi venuti fin dal Giappone a supportare la Nazionale e, a differenza dei problemi diplomatici avvenuti in terra d’Albione avvenuti quarant’anni prima, l’Inno nordcoreano suonerà nelle partite che vedranno scendere in campo la nazionale, con Jong Tae-Se, giocatore che poteva scegliere tra il Giappone, Corea del Sud e Corea del Nord (che scelse quest’ultima) che scoppiò in lacrime perché, comunque sarebbe andata, essere lì era un sogno che si avverava per la Corea del Nord.
Emigrare dal proprio campionato
A livello di club la Corea del Nord vede fare la parte del leone alla squadra del “25 Aprile”, società polisportiva che ha una grande rivalità con la squadra della capitale Pyongyang, con la quale si sono spartiti negli ultimi 20 anni il titolo nazionale. A livello internazionale di club l’unico evento di rilievo è stato il quarto posto della “25 Aprile” nella Coppa dei Campioni d’Asia del 1991, ad oggi il risultato più importante, poiché allo stato attuale le società del campionato nordocoreano non partecipano alle competzioni per club dell’AFC (la UEFA asiatica), e così sarà finché le squadre nordcoreane non rispetteranno i regolamenti per i trasferimenti dei giocatori imposti dalla federazione asiatica.
Escludendo la Nazionale del 1966, composta da soldati dell’esercito, anche in Corea del Nord alcuni giocatori sono riusciti nel fare le valigie ed andare a giocare all’estero in varie squadre. Oltre a diverse squadre tra Russia, Mongolia, Cina e altri paesi asiatici, alcuni giocatori nordcoreani sono arrivati fino in Europa, come Hong Kum-Song, che ha militato in Lituania nel Dinaburg e Daugava Daugavpils o Pak Kwang-Ryong, che ha giocato nel Basilea ed è stato pure in prova con l’Udinese. Sempre in Italia, a eccezione di alcuni giovani asiastici che hanno partecipato a dei campi scuola di calcio, nell’ultimo anno abbiamo avuto il caso del primavera Song Hyok Choe, tesserato per la Fiorentina a marzo ma svincolato a luglio a causa di un’interrogazione parlamentare.
Vedere i giocatori nordcoreani far carriera all’estero non è quindi tanto improbabile, anche e sopratutto grazie alle politiche di controllo di Pyongyang che si sono recentemente allentate; è una dittatura, certo, e impedisce l’uso di internet su larga scala. Non ci è dato sapere se da un giorno all’altro la popolazione nordcoreana vorrà cambiare tutto e aprirsi completamente al mondo, di certo si può confidare nel dialogo, nella graduale apertura dei confini e di altrettante concessioni verso la propria libertà individuale. Perché il non tenere in grande considerazione i coreani del nord è un passatempo molto diffuso nella storia dell’umanità, e forse sarebbe il caso di andare oltre questi pessimi usi prima di rimanere di nuovo scottati come avvenne alla nazionale Azzura del 1966…
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