Un vecchio articolo molto popolare sosteneva che una larghissima fetta di fan di Star Wars, di fatto, odiasse Star Wars. Quello che potrebbe sembrare in tutto e per tutto un controsenso sottintendeva in realtà un concetto estremamente affascinante: esiste una nicchia di fan, più nutrita di quanto si possa pensare, che ama bensì l’idea dietro Star Wars – e quindi il concetto di Forza, la lotta tra Jedi e Sith e il magnifico universo uscito dalla mente dell’artista Ralph McQuarrie – ma che detesta tuttavia fortemente il modo in cui Lucas ha deciso di renderla con i suoi sei film. Sono persone, queste, che hanno visto ogni episodio decine di volte, che magari hanno pure la casa piena di merchandising della saga ma che, nonostante tutto questo, non sono mai riusciti a perdonare a Lucas alcune cose. Per esempio, non gli perdonano quella brutta faccenda dell’impero più terribile della galassia che viene sconfitto dalle pallette di pelo Ewok, oppure le scene d’amore strazianti di Episodio II – L’attacco dei cloni, o ancora gli atroci siparietti comici inscenati dai battle droids nei prequel, per non parlare di Jar Jar, della fine ridicola di Boba Fett – fatto precipitare nelle fauci del Sarlaac da un maldestro (ed accecato) Han Solo – e via dicendo. Sì, la lista di cose per cui Lucas deve farsi perdonare è piuttosto lunga. Insomma, Star Wars è una figata, ma se solo non avessero incluso quel personaggio… se solo fosse successo questo invece che quello…
Questo tipo di fan, fino a poco tempo fa, trovava rifugio nella miriade di prodotti e sottoprodotti del cosiddetto Expanded Universe (poi rinominato Star Wars Legends, in seguito al nuovo corso portato dall’acquisizione del franchise da parte della Disney): un universo vastissimo composto da fumetti, videogiochi e romanzi, spesso e volentieri dedicati ad un pubblico più maturo grazie a protagonisti in bilico tra bene e male (come nella saga Eredità, pubblicata in Italia da Panini) o grazie alla capacità di narrare i momenti più oscuri e drammatici della galassia (come nella saga Tempi oscuri, ambientata durante la nascita della guerra civile galattica, sempre Panini). E dev’essere anche a loro che ha pensato la Disney quando, agli episodi della nuova trilogia, ha deciso di accompagnare una serie di spin-off autoconclusivi con cui prendersi qualche libertà in più per quanto riguarda impostazione, regia e narrazione. E, in particolare, quando ha pensato a Rogue One, un film di guerra ambientato nello spazio – come lo ha descritto lo stesso regista Gareth Edwards – che per realismo, atmosfera drammatica e pathos sembra proprio pensare ai suoi fan più grandicelli come pubblico di riferimento.
Il film si colloca esattamente tra Episodio III – La vendetta dei Sith ed Episodio IV – Una nuova speranza: il primo film, quest’ultimo, che nel 1977 ha dato vita alla saga. È la storia del team Rogue, gruppo improvvisato capeggiato da Jyn Erso (Felicity Jones), ingaggiato dall’alleanza in una missione suicida: recuperare i piani della Morte Nera custoditi nell’esotico pianeta Scarif. Rogue One non è uguale a nessuno dei capitoli precedenti. Più di qualcuno è arrivato a definirlo uno Star Wars che non è uno Star Wars, probabilmente a ragione. L’impressione di star guardando qualcosa di completamente diverso la si ha fin da subito: il film non inizia con i classici titoli a scorrimento accompagnati dal trionfale main theme della saga, ma in modo diretto, quasi brusco. Si viene proiettati subito sul pianeta Lah’mu dove un plotone di Death Trooper, guidato dal l’ufficiale imperiale Krennic (doppiato da Benassi, che già aveva prestato la voce al colonnello Hans Landa in Bastardi senza Gloria), è in cerca dello scienziato Galen Erso (Mads Mikkelsen) e della sua famiglia.
Dimenticatevi il costante senso di nostalgia provato con The Force Awakens: Rogue One non vi farà esclamare “siamo a casa”. Il film, come già anticipato, in primo luogo rompe con l’automanierismo quasi maniacale che aveva caratterizzato la regia di tutti gli episodi precedenti, prendendosi più di qualche libertà: basti pensare che ognuna delle bellissime location in cui si svolge la vicenda viene presentata da una scritta in sovrimpressione che ne rivela il nome. Una scelta che, se fosse stata introdotta in The Force Awakens, avrebbe scatenato una sommossa – si pensi al fatto che in molti storsero il naso per la scena finale, che si conclude con una ripresa dall’alto, giudicata eccessivamente in contrasto con lo stile classico della saga – ma che in uno spin-off come Rogue One risulta una gradevole boccata di aria fresca.
Il film, in un certo senso, squarcia il rassicurante velo di magia cui ci aveva abituato la saga. Non ci sono i Jedi a risolvere tutto grazie alla forza – anzi, semmai c’è Vader, crudele come mai l’avevamo visto prima, contro il quale i blaster dei buoni nulla possono – e non ci sono nemmeno C3PO ed R2D2 a spezzare la tensione con la loro simpatia; c’è solo la guerra dura e pura e ci sono i suoi protagonisti, umani come forse mai prima in un film di Star Wars. Se i sette episodi precedenti ci avevano abituati a eroi puri, tratti direttamente dagli archetipi di Campbell (il giovane eroe sognatore, la principessa in pericolo, l’aiuto dello stregone…), i personaggi di Rogue One si muovono spesso al di là del bene e del male. Ecco allora che Cassian Andor (Diego Luna), membro dell’intelligence – sì, intelligence – della ribellione non ci pensa due volte a sparare a sangue freddo a un informatore diventato ormai poco utile. Perfino l’alleanza ribelle nel suo complesso sembra essere molto meno innocente e pura di come ci appariva nella trilogia classica, tant’è che risulta facile il paragone con la CIA degli anni ottanta, per la quale il fine giustifica sempre i mezzi.
Grande assente del film è la musica di John Williams, dato che per la prima volta non è lui ad occuparsi della composizione della colonna sonora. Al suo posto subentra Michael Giacchino, il quale confeziona una OST gradevole ma che, purtroppo, non regge pienamente il confronto con i brani più iconici della saga. Assolutamente notevole è, invece, l’impiego della CGI. Non è infatti un caso se, qualche giorno fa, l’Indipendent titolava: «La migliore performance in Rogue One è di un attore morto nel 1994». [Per chi non avesse seguito in modo maniacale news ed indiscrezioni interrompiamo la citazione, per non rischiare di rovinare quella che è davvero una bella sorpresa]. Basti sapere che la Industrial Light & Magic, responsabile degli effetti della saga, torna a rivoluzionare la storia del cinema grazie alla sua capacità innovativa.
In conclusione, Rogue One è un film più che riuscito. Partendo con un ritmo che a tratti è forse eccessivamente lento, il film prosegue in un crescendo continuo fino all’ultimo esaltante atto, di una drammaticità straziante per tensione e avvenimenti. Rogue One, grazie ad una serie di rimandi e citazioni intelligenti e mai soffocanti, strizza l’occhio ai fan storici della saga e, soprattutto, a chi ha seguito in questi ultimi anni il nuovo canone portato avanti dalla serie animata Star Wars Rebels, andando a collocarsi nell’alveo degli episodi post trilogia classica più risusciti. Tuttavia, la sua forza sta forse proprio nel fatto che è un film perfettamente godibile anche da chi non ha mai visto uno Star Wars prima. Non solo perché va a collocarsi proprio prima del momento in cui tutta la saga ha avuto inizio – e quindi subito prima dell’assalto alla Tantive IV da parte di Lord Vader in Una nuova speranza – ma anche e soprattutto perché, come già detto poco sopra, è un bel film di guerra. Una guerra sicuramente stellare, ma del tutto priva di quegli elementi mitologici e di quelle strizzate d’occhio al pubblico più giovane che, forse, non avevano ad oggi entusiasmato quelle poche, pochissime, persone che dell’universo di George Lucas non si sono mai innamorate alla follia.
Ventiduenne, veneziano di terra ferma. Scrivo di tecnologia e cinema.
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