Che cos’è “Back Home“? Una rubrica dedicata interamente a quelle storie di calcio che ci fanno sognare, raccontando i ritorni di alcuni giocatori nelle squadre dove si sono affermati o da cui hanno esordito cominciando così la carriera professionistica. Inutile dire che dal sogno e dal romanticismo iniziale si possa passare ad un “ma chi me l’ha fatto fa’?”. Dall’idea di partenza di stilare la classica lista un po’ “Top 10 anime comebacks”, si è arrivati ad una rubrica a parte. D’altronde più storie fanno più articoli, e più articoli = profit. Bando alle ciance, in questa prima puntata di “Back Home” verrà approfondita la storia di Carlos Tévez, dall’inizio della sua carriera al Boca Juniors, passando per la storia europea del giocatore tra Premier League e Serie A per poi tornare, come da titolo, a casa, nella stessa squadra che lo aveva lanciato molti anni prima.
Carlos Alberto Martinez Tévez nasce a Ciudadela nel 1984, e fin da subito è protagonista di un’infanzia difficile. Non conobbe mai il padre biologico (che venne ucciso quando Carlitos aveva cinque anni) e a tre mesi venne abbandonato dalla madre biologica, mentre a dieci mesi rimase segnato in quell’incidente che lo segnò a vita, riportando ustioni di terzo grado su viso e collo, segni visibili ancora oggi. Carlos crebbe con gli zii, in un quartiere di Ciudadela, costruito dal governo argentino per migliorare l’immagine della capitale a ridosso del mondiale 1978, il famigerato quartiere di Ejercito de los Andes, meglio conosciuto come Fuerte Apache (luogo da cui Carlos prende il suo soprannome).
Proprio in quel quartiere Tévez comincia a conoscere il calcio, sport che lo salvò da una vita da criminale, come detto dallo stesso calciatore in diverse interviste. L’Apache è molto legato al suo barrio e per Fuerte Apache (e l’Argentina tutta) non è stato certo difficile imparare ad amare Carlos. Definito da tutti un uomo del popolo, Carlos ha cercato di migliorare le condizioni di vita in questa realtà disagiata, ricorrendo anche a donazioni monetarie per ricostruire e migliorare la città da cui proviene, col fine unico di regalare un futuro migliore alle persone che vivono in condizioni di miseria in luoghi dove la criminalità regna incontrastata.
Carlos il bello inizia la sua carriera nelle giovanili degli All Boys, giocandoci per quattro anni quando ancora veniva chiamato Carlos Martinez. Successivamente prese il nome dal padre adottivo diventando a tutti gli effetti Carlos Tévez. Subito notato dagli Xeneizes, Carlitos passò al Boca Juniors con cui poi esordì in prima squadra nel 2002, mostrando a tutta l’Argentina il suo talento cristallino. Nel 2003 vinse il campionato d’apertura argentino, la Copa Libertadores e la Coppa Intercontinentale contro il Milan di Ancelotti, mentre nell’ultimo anno di Boca vinse la Copa Sudamericana (equivalente della vecchia Coppa UEFA della CONMEBOL) prima di trasferirsi alla squadra paulista del Corinthians.
L’amore di Tevez per la maglia del Boca Juniors è risultato palese quando in un Superclàsico contro il River Plate in Copa Libertadores Carlos ebbe modo un gol importantissimo al Monumental, festeggiando la rete facendo il gesto della gallina, quasi a sbeffeggiare i tifosi avversari (i tifosi del River vengono chiamati così da quelli del Boca). Carlos si guadagnò il rispetto infinito de “la doze” (gli ultras del Boca Juniors) e di tutti i tifosi degli Xeneizes ma si guadagnò anche un cartellino rosso da parte dell’arbitro, a cui non piacque molto il gesto del giovane attaccante.
Arrivato al Corinthians, Tévez vinse il campionato brasiliano nonostante gli scetticismi iniziali che ruotavano attorno alla sua figura e assieme al suo connazionale Javier Mascherano suscitò l’interesse del West Ham United, squadra inglese che alla fine li prelevò entrambi nella sessione di calciomercato estiva del 2006.
Arrivato in una delle millemila squadre di Londra, subito l’Apache si mise in mostra giocando come ala sinistra attirando l’interesse di un tale allenatorino di nome Sir Alex Ferguson, che lo portò infatti al Manchester United. Arrivato ai Red Devils, Tévez vinse la Premier League in due occasioni e la Champions League nella famosa finale giocata contro il Chelsea al Luzhniki di Mosca, sì, quella dello scivolone di John Terry.
Ma dal momento che l’Apache pensava di ritirarsi molto presto, non arrivò un rinnovo che Carlos voleva: scontento per questo mancato accordo, decise sì di restare a Manchester ma cambiando maglia, andando a giocare per i rivali cittadini e venendo così tacciato di tradimento. Con il City Tévez si ritagliò un ruolo da giocatore chiave, prendendosi delle belle soddisfazioni nei confronti di chi lo aveva messo in un angolino allo United e contribuendo a vincere quel trofeo della Premier League che nella parte blue della Manchester calcistica mancava da ben quarantatre anni.
Con i vari acquisti del City sul calciomercato però Carlos arrivò ai ferri corti con Mancini, allora allenatore dei Citizens ed evidentemente sempre avvezzo a combattere contro a caso, che in seguito al rifiuto dell’argentino di entrare in campo in un match di Champions League contro il Bayern disse che per Tévez il tempo a Manchester era finito. Da separato in casa, Carlos Tévez suscitò le attenzioni del Milan, che arrivò quasi ad acquisire il cartellino dell’argentino. L’affare però saltò per questioni legate ad un altro trasferimento mancato, quello di Alexandre Pato al PSG, trasferimento al quale lo stesso presidente Berlusconi si oppose per via della relazione tra il brasiliano e la figlia, bloccando di fatto entrambi gli acquisti. Da ricordare per sempre il titolone de “La Gazzetta dello Sport” con tanto di foto in prima pagina con Galliani, lo stesso Tévez ed il suo agente Kia Joorabchian, riguardante un acquisto che si pensava ormai imminente.
Dopo la stagione fallimentare del City con la finale di FA Cup persa contro il Wigan Athletic, Mancini lasciò la panchina per accasarsi al Galatasaray, mentre l’Apache venne contattato dalla Juventus, che acquistò l’attaccante scontento e ormai ai margini del progetto Citizens. Arrivato alla corte della Vecchia Signora, Carlos Tévez tra il disappunto di molti, si presentò sul balcone della sede della società con in mano la maglia bianconera numerata col numero 10, rimasto vacante dopo l’addio di Del Piero.
Fin da subito però Tévez si dimostra decisivo e si rende riconoscibile da tutti anche per il suo lato umano, (oltre che per essersi fatto ritirare la patente superando il limite di velocità nel traforo del Monte Bianco) quando ad ogni gol segnato ricorda Fuerte Apache, facendo vedere una maglia sotto la divisa da gioco con il nome del quartiere dov’è cresciuto, quasi come in una campagna di sensibilizzazione. Con la Juventus, Carlitos vince due Scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa Italiana e arriva in finale di Champions League dimostrandosi decisivo in più di una occasione durante il torneo disputato.
Alla fine della stagione 2015 l’Apache fa richiesta esplicita alla dirigenza juventina di essere ceduto al Boca Juniors, squadra in cui Tévez già in tempi remoti aveva detto di voler concludere la carriera e vista anche l’età non più giovanissima del giocatore, la Juventus decide di accontentarlo. L’uomo del popolo così torna a vestire quella maglia del Boca a cui tanto è legato, Un giocatore così, probabilmente, farebbe comodo ancora a tantissime squadre europee. Ma si sa, al cuore è difficile comandare. Specie quando si parla di calcio. Qui sotto, l’Apache fa vedere a tutti cosa è capace di fare. (Immagini di FOX Sports)
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