Boston è una città orgogliosa, ribelle e ostinata, in cui – a un’anima indipendente e fiera che nel 1773 ha portato al Boston Tea Party, scintilla della rivoluzione americana – si associa un temperamento focoso e irascibile, come solo il sangue irlandese e la sua gente possono esprimere. Tratti di questo tipo non possono non essere quindi un imprinting fondamentale e si ripercuotono inevitabilmente su tutto il tessuto sociale, mostrando una profonda connessione con i Boston Celtics, la squadra della città.
Il concetto di “Pride” ha, per il tifoso medio bostoniano, il valore di un mantra ed è inscindibile dalla squadra che, perdente o vincente, dovrà comunque dimostrare di non venir mai meno a quei principi che sorreggono le fondamenta stessa della città: orgoglio, etica del lavoro e risolutezza. Inutile dire che molto spesso questo concetto è stato travisato e malamente sfruttato per nascondere oscene gestioni societarie e squadre male assemblate da un punto di vista tecnico. Tuttavia la condotta di coach Brad Stevens, culminata nel quinto posto nella Eastern Conference dello scorso anno e l’uscita al primo turno contro gli Hawks, sembrava aver riportato fiducia e speranza in un ambiente che, dopo gli anni dei Big Three, vuole disperatamente ritornare fra le grandi del basket, forte di una grande storia e una tradizione vincente.
Nonostante queste belle premesse, però, questa stagione non sembra confermare in pieno quanto di buono fatto l’anno scorso, nonostante un record attualmente positivo e in linea con le previsioni di inizio stagione (14-12). Diverse crepe hanno fatto capolino nel sistema di gioco dei Celtics, a fronte dell’acquisto di Al Horford quest’estate.
L’aggiunta di Horford in estate rappresentava la pietra angolare di un continuo processo di miglioramento che GM e Coach avevano portato avanti in questi anni, tassello dopo tassello, e un netto upgrade rispetto al partente Jared Sullinger. Grosso, mobile e fisicamente più dotato di quest’ultimo, Horford rappresentava la chiave di volta tattica del nuovo assetto dei Celtics perché non battezzabile dalla distanza, dato il suo tiro, e capace di aprire ancora più spazi per le scorribande all’interno dell’area di Isaiah Thomas.
In un ipotetico gioco a due fra lui e Horford la difesa è in una situazione abbastanza complicata: non può permettere la penetrazione di Isaiah e deve uscire forte a contestargli il tiro, ma non può neanche lasciare un comodo tiro dalla media ad Horford (che ha un rispettabilissimo 53% complessivo al tiro in carriera) o peggio ancora una corsia di entrata a canestro.
Inoltre le sue lunghe leve e la sua velocità di piedi possono permettergli di accoppiarsi anche sul perimetro e facilitare i cambi sui pick and roll avversari, cosa non indifferente per una squadra bassa che vive di small ball. Tutto ciò si è realizzato in parte, con una buona efficienza offensiva (15.6 punti di media con il 53.5% di effective Field Goal) ma un’evanescenza a rimbalzo (10.6% di Rebound%) che rischia di incrinare non poco il piano tattico dei Celtics, complice anche un infortunio che lo ha tenuto fuori dal campo.
Un altro problema abbastanza importante in casa Celtics è l’effettiva efficienza del loro quintetto offensivo di punta (Thomas-Bradley-Smart-Crowder-Horford), che nella partita contro Philadelphia ha mostrato pericolose crepe difensive e con il solo Thomas a reggere la baracca in attacco (4 su 7 nell’ultimo quarto) per mantenere il contatto con i 76ers, non esattamente una delle prime difese NBA.
Il quintetto in questione, infatti, ha uno spaventoso Defensive rating complessivo di 138.1 e una Rebound% del 36.1% che si traduce in un due dirette conseguenze: non solo difendono male ma concedono anche preziosi secondi tiri nella loro metà campo, che nell’arco di una partita intera possono decretare la vittoria o la sconfitta.
Considerando i 5 giocatori in campo (2 All Star e un primo quintetto difensivo NBA) il rendimento in difesa dovrà necessariamente aumentare visto che già adesso, almeno a livello offensivo, questa lineup non sta andando malissimo con un Offensive Rating di 105.6 su 42 minuti totali di impiego (generalmente per chiudere i quarti) e discreti lampi in attacco, sia con Thomas che con Smart, che con 4 giocatori pericolosi dal perimetro risulta molto più efficace, a portare la palla. La differenza sostanziale con l’anno scorso è che i quintetti a 3 guardie, oltre a essere molto più efficaci in attacco, riuscivano ad assorbire meglio il deficit a rimbalzo.
Il vero tallone di Achille dei Celtics di quest’anno è la sostanziale inconsistenza a rimbalzo, al netto dei problemi già discussi precedentemente, visto che se sei una squadra abbastanza bassa e hai il tuo miglior rimbalzista in Avery Bradley (1.88 cm) con 7.6 a partita, ci sono evidentemente dei problemi strutturali. Primo fra tutti, il cambiare sui blocchi genera degli accoppiamenti lungo-piccolo che tolgono il primo dalla lotta a rimbalzo; secondariamente, Horford non è neanche accostabile a Sullinger come efficienza a rimbalzo, soprattutto difensivo; inoltre bisogna tenere conto dell’aspetto mentale della questione.
La lotta a rimbalzo è questione sì di tecnica, tagliafuori e posizionamento in primis, ma soprattutto, e maggiormente in difesa, di empatia fra i singoli giocatori che, evidentemente, hanno fatto un passo indietro da questo punto di vista rispetto la scorsa stagione. Gli acciacchi fisici di Horford e Crowder ne hanno limitato le possibilità da un certo momento della stagione con il secondo che, assieme a Bradley, stava tenendo dei ritmi a rimbalzo che difficilmente si potranno sostenere per il resto della stessa. Questa situazione è figlia di un errore a monte da parte del GM, Danny Ainge, che dovrà necessariamente aggiungere almeno un giocatore a roster per ovviare questo grosso problema.
Nonostante tutti questi difetti il futuro è roseo per questi Celtics che stanno veleggiando comodamente verso le 40-45 vittorie e sono attualmente secondi nella Division e quarti nella Conference; tutte ottime premesse e aspettative. Per riuscire a raggiungere il loro pieno potenziale, però, avranno bisogno di risolvere questi problemi di chimica e magari aggiungere qualche ulteriore pezzo al mosaico.
E allora si che il “Pride” tornerà a sanguinare verde.
Gioco a pallacanestro da quando ho 5 anni e mi piacciono i libri scritti da gente morta almeno un secolo fa. Per il resto tutto bene.
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