Diciannove anni fa l’affermato starting pitcher dei Boston Red Sox Pedro Martinez segnalò alla dirigenza un suo giovane connazionale, proveniente dalle serie minori, e nel giro di tre anni se lo ritrovò compagno di squadra. Quel giovane stava inseguendo da tutta la vita lo stesso sogno che tutti, almeno una volta, abbiamo avuto: quello di percorrere le orme dell’idolo di infanzia e diventare come lui. Ma nel suo caso l’idolo non era un campione qualsiasi: si trattava di Ramon Martinez, giocatore vicino alla fine della carriera e fratello del sopracitato Pedro. Quel giovane era David Américo Ortiz Arias, anche se nel tempo tutti hanno imparato a conoscerlo – e ad amarlo – come Big Papi.
“Negli ultimi anni, nella Repubblica Dominicana, grazie a TV satellitare e social media un sacco di ragazzi imparano l’inglese in età molto precoce, ma negli anni ’90 un sacco di giocatori latini arrivavano qui sapendo dire solo dieci parole, quando andava bene. Io sono stato fortunato: ero uno dei pochi a saperne trenta. Salire su un aereo, magari per la prima volta nella vostra vita, ed arrivare in un luogo in cui non riuscite ad esprimervi come desiderate non è facile. Adesso conoscete David Ortiz, conoscete Big Papi, ma quando sono venuto in questo paese ero David Arias. Ero un ragazzo semplice che stava cercando di divertirsi e fare avverare un sogno.”
In pochi anni è diventato un’icona di Boston, ma non solo. Ortiz, oltre che un grande talento, è stato un campione di empatia che ha saputo toccare il cuore di tutti, interprete di un ruolo di primo piano nei momenti emotivamente più significativi del baseball degli ultimi anni. È stato capace di amare i suoi tifosi almeno tanto quanto loro hanno amato lui: si è preso molto a cuore la sua città adottiva, contribuendo a moltissime cause benefiche e aiutando attivamente in ogni situazione immaginabile, compreso il traumatico periodo successivo agli attentati alla maratona. Potrà sembrare banale come osservazione, ma questo “gigante buono”, con i suoi 191 centimetri per 105 chilogrammi, non può non ricordare per molti versi certi eroi popolari, come John Coffey de Il miglio verde e Mr. T della serie The A-Team.
Nel corso di tutti questi anni la sua media battuta in carriera (.286) è stata buona, ma non eccezionale rispetto ad altri eroi del diamante. Inoltre, giocando quasi esclusivamente come battitore designato, non si ricordano particolari prese spettacolari. Nel suo passato ci sono addirittura delle ombre per dei test anti doping del 2003, anche se c’è da dire che dal 2004 in poi si è sempre sottoposto a nuovi accertamenti senza incappare mai in alcun problema. La statistica in cui veramente eccelle è la media battuta nelle World Series, un .455 che nel 2004 ha spazzato via dopo 86 anni la “Maledizione del Bambino”, facendo diventare campioni del mondo i Red Sox. Si è ripetuto due volte: nella stagione 2007, con l’imposizione in finale sui Colorado Rockies, e nel 2013, guidando la squadra in playoff leggendari che gli hanno anche permesso di vincere la nomina a MVP.
In carriera ha partecipato per dieci volte agli All Star Game, e nella sua bacheca si contano anche sette Silver Slugger Award. Ha concluso la carriera con 541 fuoricampo: i 54 nella sola stagione 2006 costituiscono il record di home run in un singolo torneo con i Red Sox. In ognuno di questi cinquecentoquarantuno fuoricampo Ortiz ha puntato le dita al cielo una volta arrivato a casa base per rendere omaggio alla madre Angela Rosa Arias, morta in un incidente nel 2002.
Dopo l’annuncio del suo ritiro ci sono state celebrazioni per lui in ogni stadio, ma la più bella è stata ovviamente quella davanti al suo pubblico di casa del Fenway Park. Dopo la commozione suscitata durante il suo discorso di commiato e l’immagine del Green Monster coperto da un’enorme bandiera della Repubblica Dominicana, i Red Sox hanno annunciato, senza sorpresa, il ritiro della casacca numero 34 a partire dalla stagione 2017.
Per Big Papi la stagione del 2016, l’ultima della sua vita, si è conclusa dopo la sconfitta in gara 3 del primo turno dei playoff dell’American League contro i Cleveland Indians, ma ciò non toglie nulla alla sua incredibile carriera. La sua è stata tra l’altro la miglior stagione di ritiro della storia della Major League Baseball.
#ThanksPapi pic.twitter.com/vZXtZ55frb
— MLB (@MLB) October 11, 2016
Divertenti i racconti di chi è stato compagno di squadra di Big Papi. Hanley Ramírez ha recentemente raccontato a The Players’ Tribune: “Mentre sarete negli spogliatoi per la prima volta, David arriverà da voi, guardandovi senza dire niente. Vi squadrerà alzando il sopracciglio e basta. Di solito la reazione che viene più naturale è chiedergli “C’è qualcosa che non va?” – e la sua risposta sarà “Eh? Niente”. Il giorno successivo arriverà di nuovo da voi con una scatola. Come Babbo Natale. A volte è un orologio, a volte delle scarpe. Una volta mi ha portato un’intera cheesecake solo perché pensava che ne avessi bisogno. A caso. Ha camminato fino ad una cheesecake factory per poi tornare al Fenway Park per me. Non il suo assistente. Non qualcuno che ha delegato. L’ha fatto David, perché sì. Lui è fatto così: guarda la gente e se nota qualcosa che non va farà tutto il possibile per sistemarla.”
Ortiz è sempre stato popolare anche tra i non appassionati di baseball: in tempi non sospetti divenne celebre un selfie di Ortiz col presidente degli Stati Uniti Barack Obama, durante le celebrazioni alla Casa Bianca della vittoria delle World Series del 2013. Pochi anni fa registrò un video musicale per la catena Dunkin Donuts, stessa catena che dopo il ritiro lo ha omaggiato con una composizione del numero 34 fatta con 10.000 ciambelle dei colori giusti.
In generale è però difficile non prenderlo in simpatia. In un video di qualche stagione fa si mostra triste e profondamente dispiaciuto che i tifosi degli Yankees, acerrimi rivali dei suoi Red Sox, non gli vogliano abbastanza bene, e decide di partire per New York per chiedere di essere abbracciato dalle persone che incontra. Negli anni ha avuto alti e bassi coi rivali, ma in ogni caso per la sua ultima partita nella Grande Mela c’è stato un caloroso saluto con standing ovation al campione dominicano naturalizzato (dal 2008) statunitense.
“L’altro giorno, uno dei miei compagni di squadra si avvicina a me nello spogliatoio e dice: “Ehi, hai visto cosa hanno intenzione di farti a New York?”. Non sapevo di cosa stesse parlando. Ho detto: “Cosa? Vogliono offrirmi una pizza o qualcosa del genere?” ed egli: “No. La prossima partita i tifosi sugli spalti vogliono tirarsi giù i pantaloni e mostrarti il sedere quando sei in battuta”. Mi sono detto: “No, fratello. Dai. Sii serio”. Poi mi mostra un articolo sul suo cellulare su un tizio che sta cercando di convincere tutto lo Yankee Stadium a farlo. Questo tizio ha anche creato un intero sito Web: moonbigpapi.com. Fratello. Fratello. Dai. Te lo dico con sincerità: se 50.000 persone mi mostrano il culo mi sento di dirti che probabilmente comincerò a ridere così forte da iniziare a piangere.”
Il destino ha voluto che il suo ritiro avvenisse nella medesima stagione di Alexander Rodriguez, suo storico rivale con cui da vent’anni ha un rapporto di amore-odio da antologia sportiva. Rodriguez neanche a dirlo è stata una bandiera dei New York Yankees, ed è proprio ai tifosi della franchigia della Grande Mela che Big Papi ha dedicato il suo secondo pensiero il giorno dell’addio. Secondo perché, ovviamente, prima vengono i tifosi di Boston: “Ascolta, fan degli Yankee. Devo ammettere una cosa, e sarò serio. Ho dell’affetto per te. È solo un po’ di affetto, ma ne ho. […]
La rivalità con gli Yankees ha fatto chi sono. L’intensità della nostra concorrenza è una delle cose che mi mancherà di più. Anche quando in tutti questi anni svegliandomi al mattino mi sono sentito di merda fisicamente, se quel giorno la partita era contro di voi arrivando in autobus allo Yankee Stadium già dalla vista di quel recinto bianco si risvegliava qualcosa in me. Per anni io, Manny e Pedro (Ramirez e Martinez, ndr) ci siamo seduti nel dugout osservando il riscaldamento dei lanciatori degli Yankees, fino a che uno di noi tre non diceva agli altri: “Bene, come li castighiamo questi figli di puttana oggi?”.
Mentalmente, fisicamente, emotivamente, in tutto e per tutto giocare contro gli Yankees era diverso. Era guerra. Quando sono allo Yankee Stadium in battuta e sento tutti quei fischi provo una sensazione che non riesco a descrivere. Sono così concentrato. La mia adrenalina arriva alle stelle. Con le altre squadre non è così. Dovete capire che cosa significa per me, che vengo dalla Repubblica Dominicana. Nel mio paese, tornando ai miei tempi, gli Yankees erano praticamente l’unico club della Major League visibile in TV. Camminando nella Santo Domingo negli anni ’90 si vedrebbe solo merchandise bianco degli Yankees. Niente rosso dei Red Sox. Niente dei Cardinals. Solo Yankees, Yankees e Yankees. Tutti nel mio paese abbiamo sempre guardato a New York City come essenza del sogno americano, e gli Yankees erano simbolo di tutto ciò. […]
Sapete quello che si vede ora per le strade scendendo in Repubblica Dominicana? Si vedono ancora tanti cappelli degli Yankees. Ma se ne vedono anche molti dei Red Sox. Quando da piccolo staccavo le teste delle bambole di mia sorella per mandarle in homerun oltre la staccionata utilizzando un manico di scopa ero solito immaginare di essere allo Yankee Stadium. Ora spero che grazie a me i bambini facendo la stessa stronzata sognino di essere a Fenway Park.
Alcuni giocatori sono nati per essere Yankees, io sono nato per giocare contro gli Yankees. Boston non è solo la mia squadra. Boston è la mia città. Mi considero un bostoniano, e ne sono orgoglioso. I Red Sox mi permettono di essere me stesso, cosa che non potrei fare agli Yankees. Ma è per questo che questa rivalità mi mancherà così tanto. Perché eravamo perfetti opposti. Questa rivalità era una cosa bella per il baseball.
Fan degli Yankees, ho un’ultima cosa da dirvi. Grazie. Per davvero. Avete tirato fuori il meglio di me. Quando mi fischiate è uno dei migliori sentimenti nel mondo. Non ho intenzione di mentirvi. Respect.”
25 Dicembre 2016
18 Dicembre 2016
12 Novembre 2016
10 Novembre 2016
16 Settembre 2016
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.