Red Bull. Un marchio entrato nell’uso comune per definire le bevande energizzanti, assieme alla Coca Cola per le bevande gassate o Windows per i computer. E che ha sempre fatto della pubblicità l’arma più forte, investendoci il 30% del fatturato e sponsorizzando diverse iniziative semiserie, come il “Soap Box Race” o il “Flugtag“, dove scappati di casa e non si sfidano con costrutti fatti in casa giusto per la gloria e per apparire in video divertenti su YouTube. Non dimentichiamoci poi di imprese da Guinness dei Primati, come il lancio di Felix Baumgartner nell’ottobre 2012 con l’operazione “Red Bull Stratos“, o il record di 8’13”.178 conseguito da Sébastien Loeb nelle 156 curve sulla salita di Pikes Peak nel 2013, al volante della Peugeot 208 T16. Record motoristico che si affianca agli anni di successi nel WRC e in Formula 1, sponsorizzando la Citroën di Loeb e attualmente la Volkswagen Polo di Ogier, e dai quattro anni di dominio con la propria scuderia nel campionato piloti e in quello costruttori con Sebastian Vettel e Mark Webber alla guida.
La Red Bull arrivò in F1 rilevando la Jaguar alla cifra simbolica di 1 dollaro nel 2005, e l’anno successivo raddoppiò la presenza rilevando la scuderia Minardi e rinominandola Toro Rosso (nomen omen?), trasformandola in una incubatrice di piloti del Red Bull Driving Search. Proprio il succitato Vettel ha conquistato la prima storica vittoria della Toro Rosso in F1 nel Gran Premio di Monza del 2008, dopo aver conseguito la pole position nelle qualifiche del sabato.
La Red Bull tra sponsorizzazioni e una strategia di marketing aggressiva ha fatto sì che le sue varie apparizioni nel mondo dello sport diventassero successo assicurato in breve tempo, portando gioie per i tifosi e un ritorno economico importante, applicando in tutto e per tutto il sistema della franchigia, diventando più che sponsor vera e propria padrona della società sportiva, investendo miratamente per garantire la massima resa nel breve periodo.
Record, motori, hockey (con le squadre di Salisburgo e di Monaco), era inevitabile che l’azienda austriaca volesse entrare anche nello sport più seguito al mondo, il Calcio. Cosa che, come in ogni storia, è puntualmente accaduta.
Il Fußballclub Red Bull Salzburg, conosciuto come Red Bull Salisburgo o semplicemente Salisburgo, è la squadra della città dove ha sede la Red Bull, ed è stata rilevata da quest’ultima nel 2005. La società fin dal 1933 ha subito vari cambi di denominazioni con gli sponsor, pratica evidentemente più tollerata rispetto ad altri campionati, ma è con l’arrivo del Toro Rosso che c’è stata una vera e propria rifondazione che ha fatto da apripista all’azienda nel mondo del calcio, mettendo in chiaro come voleva agire.
Il Salisburgo negli anni si è costruito un palmares nazionale di tutto rispetto, ed è stato allenato negli anni 2000 pure da Giovanni Trapattoni, ma oggettivamente con l’ultimo cambio di gestione societaria la squadra ha fatto un salto di qualità notevole rispetto alle dirette concorrenti del campionato nazionale, vincendo il titolo consecutivamente dal 2009 fino al 2016, con l’obiettivo di far sempre meglio in Europa stagione dopo stagione. Tutto questo successo però non è apprezzato da tutti, tifosi compresi, che hanno visto la propria squadra privata dell’identità che l’ha contraddistinta fin dal 1933, fondando nell’anno stesso dell’acquisizione della Red Bull una nuova società, l’Austria Salisburgo, con i colori sociali classici della società storica.
La seconda società a ricevere la cura Red Bull è stata quella newyorchese dei Metrostars, società in cui vi hanno militato negli anni 90 giocatori come Lothar Matthaus e Roberto Donadoni, e in ultimo Thierry Henry fino al ritiro del 2014. Anche in questo caso l’azienda di Salisburgo ha imposto il cambio dei colori sociali e del nome, investendo nel nuovo stadio costruito nel New Jersey ad Harrison. Le lamentele dei tifosi non si sono fatte attendere nemmeno in questo caso, dal cambio dei colori sociali (bianco rossi, come il Salisburgo e le altre società che andremo ad analizzare) all’utilizzo del nome New York nel logo, reo di non rappresentare il New Jersey. Forse le cose sarebbero andate in modo diverso e senza proteste, se il presidente eletto Donald Trump avesse investito nel calcio negli USA. Chissà!
La campagna di marketing non si è di certo fermata a New York. Nel 2007 ha fatto tappa a Campinas, nello stato di San Paolo, dove è stata fondata una società che ha fatto la scalata fino al campionato nazionale federale, il Campeonato Paulista, e nel 2008 si è spostata in Ghana, con l’obiettivo di creare di una Academy dove far crescere i giocatori. Il progetto però non ha avuto il successo immaginato, ed è durato fino al 2014. La società africana è stata quindi assorbita dall’academy del Feyenoord.
Questa amena località tedesca ai più non dice assolutamente niente. Ma i fan della Bundesliga sanno che è la cittadina limitrofa alla più ben nota Lipsia, da dove è venuto fuori il RasenBallsport Leipzig. Siamo nel 2009, e la Red Bull, in seguito ad alcuni tentativi infruttuosi di rilevazione di società sportive preesistenti, come avvenuto in Austria e negli Stati Uniti, ha optato per il SSV Markranstädt, società dell’omonima cittadina che militava nella quinta divisione tedesca.
La scelta della zona di Lipsia è stata fatta in base a due fattori che si sono rivelati decisivi: Il fatto che nella ex Germania Est non ci fossero entità calcistiche rilevanti a livello nazionale e che nella città ci fosse il Zentralstadion, stadio da 44000 posti ristrutturato per i mondiali tedeschi del 2006. Un posto perfetto dove poter investire soldi (si parla di 100 milioni di euro) in una società di calcio.
Squadra che, a differenza delle altre compagini sportive dell’azienda, non si chiama Red Bull Lipsia, a causa del divieto della federazione di far riferimento ad aziende nel nome. Con il logo mozzato del nome della bevanda i creativi della Red Bull hanno optato per “RasenBallsport“, letteralmente “Sport di palla su prato” ma evidenziando le maiuscole R e B che, assieme ai tori rossi, fanno riferimento all’ovvio. La società, neopromossa in Bundesliga, attualmente è seconda dietro al Bayern Monaco, ma sta incorrendo in diverse contestazioni, non solo dei tifosi delle squadre “storiche” di Lipsia già esistenti, ma anche da parte delle tifoserie avversarie delle squadre della massima serie tedesca. Ne è stato un esempio la protesta dei supporter del Colonia e quella degli ultras del Borussia Dortmund che, invece di andare in trasferta a Lipsia, decisero di tifare per la squadra riserve impegnata a Dortmund.
Il sistema messo in piedi dalle lattine funziona così e, Ghana a parte, sta dando i suoi frutti, tant’è che si parla di un approdo della Red Bull pure in Spagna e in Italia. È notizia di giugno 2016 che fosse in corso una trattativa con l’Udinese, altri invece dicevano di un interesse verso il Torino fresco di sede sociale nuova, ma finora non c’è niente di concreto all’orizzonte. Il sistema, oltre a creare società tutte uguali, riesce a farsi beffa del decantato Fair Play Finanziario, come racconta bene l’Ultimo Uomo in questo articolo, facendo girare tra le società i giocatori senza che vadano a pesare sui propri bilanci.
Il “No al Calcio Moderno” che via via leggiamo o sentiamo sembra ormai uno slogan che ha fatto il suo tempo, ma riprende forza per contrastare questa creazione in provetta di squadre di plastica. Squadre accomunate non da una storia calcistica locale rilevante, non da pochi sognatori che decidono di abbandonare la squadra preesistente per fondarne una nuova di zecca, dandogli il nero e l’azzurro perché “erano quelli i colori rimasti sulla tavolozza“, non da immigrati genovesi che diedero i colori della loro squadra vedendo una nave battente bandiera svedese entrare in porto, ma accomunate soltanto da dei loghi e colori tutti uguali, una corporazione senz’anima e senza cuore. I più pragmatici possono giustamente sostenere che una azienda ha tutto il diritto di investire in realtà locali per portarle al successo, e che il soldo chiama il soldo, certo.
Ma resto dell’idea che nello sport più seguito al mondo, nonostante tutto, ci possa essere ancora un po’ di quella magia che mi fa esaltare per alcune imprese come il Leicester campione d’Inghilterra, il Nottingham Forest vincitore di due Coppe dei Campioni, la Grecia campione d’Europa o il Rostov in Champions League. Magia che una bevanda energizzante, per quanto buona, non può dare.
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