Diciannove anni sono trascorsi, da quando Joanne Rowling iniziò a conquistare il mondo con il suo Harry Potter e la Pietra Filosofale, primo volume dedicato al celebre mago. E “Diciannove anni dopo” titolava anche l’epilogo di Harry Potter e i Doni della Morte, molto prima che si scoprisse che, in realtà, non si trattava affatto di un epilogo. Infatti, dopo quasi un decennio di silenzio – in cui le maggiori novità editoriali riguardavano tutt’al più qualche speciale edizione illustrata e qualche cambio di traduzione – ecco che finalmente, nel 2016, ha visto la luce il nuovo, attesissimo progetto: Harry Potter and the Cursed Child.
La pièce teatrale, dopo una speciale anteprima tenutasi agli inizi di giugno, ha debuttato ufficialmente al Palace Theatre di Londra il 31 luglio scorso – compleanno della Rowling e dello stesso Harry – e lo stesso giorno è uscita anche la versione cartacea dell’opera. Oggi, 24 settembre, è la volta dell’edizione italiana – curata, com’è tradizione, da Salani – e numerose librerie sono rimaste aperte nottetempo per consentire alle orde di lettori, fin dallo scoccare della mezzanotte, di mettere le mani sulle bramate copie, tra incantesimi, magliette serigrafate e beneducate frivolezze.
Pochi, in realtà, sono i fan che ancora ignorano la storia: informazioni piuttosto dettagliate sulla trama, infatti, circolano sul web sin dall’anteprima di giugno, e da quasi due mesi è disponibile, anche in Italia, la versione in lingua originale del copione. Nonostante l’intreccio sia ormai di dominio pubblico, schiere di avidi acquirenti sono state avvistate, ovunque nella penisola, accalcarsi fuori dalle maggiori librerie per accaparrarsi il nuovo volume, vuoi perché non ancora munite dell’edizione inglese, vuoi per puro spirito collezionistico.
Ma non erano tutti scontenti, delusi, persino indignati? Effettivamente, fin dalla diffusione delle prime indiscrezioni sullo spettacolo, che hanno prevedibilmente sabotato l’accorato ma ingenuo hashtag #keepthesecret della Rowling, il web è insorto, gridando allo scandalo. Le motivazioni? Numerose, a quanto pare, e di ogni genere. Anche sorvolando sulle polemiche legate alla scelta di Noma Dumezweni, attrice inglese nata in Sudafrica, per il ruolo di Hermione Granger – polemiche che la stessa Rowling ha liquidato come i vaneggiamenti di «a bunch of racists» – rimangono comunque diversi aspetti sui cui vale la pena riflettere.
In primo luogo, non si può non notare il desolante analfabetismo – non funzionale, per una volta: proprio analfabetismo puro e semplice – di tutti coloro che, sentendosi forse truffati, protestano per il fatto che “il libro non ha descrizioni”, “il libro è fatto solo di dialoghi”, e addirittura che “il libro non è un libro” (sic). Sembra che informarsi prima di acquistare un prodotto editoriale – anche solo leggendo ciò che recita la copertina – sia diventato appannaggio di pochi eletti: del tutto trasparente, infatti, è la dicitura Edizione speciale scriptbook, come anche la precisazione che trattasi di Un nuovo spettacolo di Jack Thorne. E se questo ancora non bastasse, ecco arrivare in soccorso degli acquirenti più confusi la ormai ridondante indicazione Parte uno e due. Nonostante questo, l’internet è straboccante di proteste, provenienti evidentemente da persone che ancora confondono il termine “libro” col termine “romanzo”, e che incontrano difficoltà insormontabili nell’esegesi di una prima di copertina.
Al gradino immediatamente successivo trovano posto coloro che sì, hanno compreso che The Cursed Child è una sceneggiatura, ma per qualche oscuro motivo non riconoscono a tale linguaggio la dignità di “storia”, sostenendo finanche una sorta di complotto: le case editrici starebbero mentendo senza pudore alcuno, arrivando illegittimamente a pubblicizzare la nuova opera come “l’ottava storia”, al fine di appioppare alle vittime ignare il maggior numero possibile di copie prima che la gente si svegli e capisca che no, questo non è un libro. I sostenitori di questo intrigo, sentendosi colpiti nel loro orgoglio di lettori svegli e avveduti, si improvvisano dunque paladini della verità, e commentando ogni singolo topic disponibile sull’argomento – dai countdown su Facebook, alle video-recensioni su YouTube, fino alle pubblicità degli eventi organizzati dalle librerie – protestano e schiamazzano in maniera confusionaria.
Si passa, a questo punto, alla schiera di quanti capiscono e accettano che il nuovo libro sia una sceneggiatura, e possono anche concedergli la dignità di “storia”, ma protestano per il solo fatto che la Rowling abbia consentito che lo spettacolo teatrale venisse riprodotto attraverso la stampa. La tesi, in questo caso, è che lo spettacolo va ancora bene, ma se proprio si deve trasporre Harry Potter and the Cursed Child su carta – cosa comunque evitabile – allora l’unico linguaggio permesso è quello del romanzo. Parere presuntuoso ma interessante, se non fosse che lo stesso si sarebbe potuto dire – e anche più legittimamente – quando i sette romanzi furono trasposti sul grande schermo. Non sembra, infatti, che tra rappresentazione teatrale e sceneggiatura intercorra una differenza maggiore di quella che separa il cinema dal romanzo, anzi; eppure, a suo tempo, non ci furono tutte queste lamentele.
La torma che segue è quella di chi, finalmente, evita in toto di sentenziare contro il linguaggio adottato, e si concentra al più sulla caratterizzazione dei personaggi. Il miglioramento in atto nella comprensione del testo, così come il leggero addolcimento del pensiero, è evidente e oltremodo lodevole, a patto però che le argomentazioni siano sensate e garbate: cosa che spesso, purtroppo, non accade. A questo girone appartengono per lo più i lettori reali della saga, coloro che hanno letto davvero i libri e che, bene o male, sono stati in grado di farsi un’opinione. Il punto è che, come talvolta accade quando si ha a che fare con fenomeni di tale portata, si viene a creare un curioso paradosso: i fan, qualora esagerino con il loro fanatismo, arrivano spesso a maturare l’insana convinzione di saperne più dell’autrice su ciò che lei sola ha plasmato, con la sua propria immaginazione, e su cui, dunque, lei sola ha il diritto di continuare a lavorare, senza subire rimbrotti e insulti. Il risultato? Chiunque, ormai, si sente autorizzato a mettere in discussione le scelte, e persino le dichiarazioni pubbliche, fatte dall’autrice – non solo in merito al suo Cursed Child, ma anche a qualsiasi altro argomento correlato.
Quello di non comprare un libro, come anche quello di lasciarlo perdere dopo poche pagine, è certamente un diritto inalienabile di ogni lettore, e ugualmente indiscutibile è anche il diritto di recensire negativamente quanto non è stato apprezzato. Tuttavia, quando la malsana hybris spinge gli scattanti e vendicativi Potterhead a esporre i propri pareri come se fossero delle verità incontestabili, si rischia di approdare a risultati pasticciati e ridicoli, fra cui la presunzione di arrabbiarsi perché l’insensibile Rowling ha osato definire canonica la nuova storia. Sorge spontanea la domanda: che cosa mai avrebbe dovuto essere definito “canonico” – e suscita sorpresa il fatto stesso che questa semplice definizione abbia causato tanto malcontento – se non un’opera partorita da colei che ha inventato questo mondo? Forse una qualche fan fiction, talmente bella e riuscita da superare Harry Potter and the Cursed Child?
A questo punto, e sempre a proposito di fan fiction, è arrivato il turno dei lettori che, a seconda della loro fazione, aborrono o bramano il cosiddetto fan service: entrambi i gruppi trovano da ridire, nel primo caso lamentando la non ufficializzazione di una certa coppia molto amata, nel secondo caso tuonando contro la malaugurata scelta della Rowling di inventare – o, nel linguaggio dei fan, di shippare – nuove coppie, che sarebbero eccessivamente distanti dallo spirito reale dei personaggi. Per non scendere nel dettaglio, che porterebbe inevitabilmente a sgraditi spoiler, si faranno notare due semplici dati di fatto: primo, è l’autrice a decidere se una “coppia” è o meno OOC; secondo, sono ormai state scritte talmente tante fan fiction che qualsiasi coppia la Rowling avesse deciso di inserire nello spettacolo sarebbe sicuramente già stata pensata, e descritta, da almeno qualche centinaio di fan dall’immaginazione e dagli ormoni galoppanti. Non è un’esagerazione: basti pensare che tra le categorie di slash reperibili online – i cui nomi basterebbero già da soli a fare innervosire il più serafico e bendisposto dei lettori – accanto alle caste e canoniche Romione e Harry/Ginny, non mancano le poco credibili James/Severus, le incestuose Fred/George, le zooerastiche Hermione/Padfoot, nonché l’indefinibile ma sempreverde Drapple, sul cui significato non si indagherà oltre. Ma allora, in un universo in cui probabilmente c’è chi ha “shippato” persino la coppia Strega del carrello/Ludo Bagman, cosa c’è di così strano nelle coppie che fanno capolino in Harry Potter and the Cursed Child?
Ultima, ma in certi casi non per sconcerto suscitato, è la falange di chi – pur riconciliatosi con tutte le possibili occasioni di lamentela di cui sopra – si lamenta per i difetti di trama. Si tratta, senza dubbio, del gruppo meno detestabile fra quelli analizzati, nonché di quello più ragionevole e aperto al dialogo. Di nuovo però, senza scendere troppo nello specifico, basti ammettere che Harry Potter and the Cursed Child non è in nessun modo distante dalle sette precedenti storie, neppure per quanto riguarda gli innegabili buchi di trama e le molteplici ingenuità riscontrabili nel corso dei libri: a tal proposito, per par condicio, si segnala il caustico parere, condiviso ormai cinque anni fa, della blogger Gamberetta. Bisogna allora che i fan si decidano: vogliono che l’ottava storia sia simile alle precedenti sette – nel qual caso si dovranno sorbire anche il Gary Sue di turno e tutte le ingenuità che contornano la trama – oppure desiderano qualcosa di diverso, nel qual caso però farebbero meglio a smettere di protestare per ogni minima novità?
Una volta analizzate le numerose tipologie di fan in assetto di guerra, ritornano alla mente gli interrogativi iniziali: ma non erano tutti scontenti, delusi, persino indignati? Sul web, senz’altro. A parole, sicuramente. Ma, per fortuna, il magico mondo dei social collima di rado con la realtà delle cose: molto più spesso – dando voce alle famigerate legioni di echiana memoria – ingigantisce i pareri e camuffa le proporzioni reali dei fenomeni. Solo così si spiega lo straordinario successo delle manifestazioni organizzate la scorsa notte in onore di Harry Potter and the Cursed Child; così si spiegano le file chilometriche; così si spiegano le migliaia di copie preordinate dai fan. Ridimensionate le critiche, dunque, non resta che festeggiare per questa ottava storia, e augurarsi che anche i più scontenti comprendano il significato dell’edizione a stampa: consentire, a chi non può recarsi a Londra, di godere lo stesso della nuova avventura, e, magari, incuriosire le nuove generazioni a imbarcarsi per questo viaggio.
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