La NBA è iniziata da pochissimo e già dalle prime partite si è generata un’assurda quantità di previsioni a lungo termine e giudizi su singoli giocatori e squadre.
La valenza dell’inizio di stagione, in una lega di 82 partite, è abbastanza relativa ed è facilissimo incorrere in errori marchiani o valutazioni errate, sulla base di dati che inevitabilmente verranno smentiti o si evolveranno nel lungo cammino verso i Playoffs.
Il seguente articolo prenderà quindi in esame i 6 giocatori che più si sono distinti in questo avvio di stagione, cercando di dare una visione il più possibile obiettiva e ponderata sugli esiti della loro cavalcata NBA.
Venendo immancabilmente smentito nell’arco di poche partite.
Segnare 95 punti nelle prime due partite della stagione non è un qualcosa di normale, nemmeno in una lega straordinaria quale è la NBA, e diventa ancora più impressionante se questo ti permette di battere un record, siglato da Michael Jordan, che durava dal 1986.
In queste prime due partite (contro Denver e Golden State) l’assurda mobilità di Davis sul pick and roll e nel gioco in post, unite a un gioco dalla media distanza che ha pagato dei buoni dividendi (una FG% totale in entrambe le partite intorno al 50%) sono state le chiavi di queste mostruose prestazioni offensive.
A tutto ciò si è aggiunto un discreto lavoro a rimbalzo (33 totali in due partite) e un buon effort a livello difensivo (9 steal totali, in virtù di un’apertura alare impressionante), pur se con qualche amnesia nell’arco della partita.
Nonostante quanto di buono fatto, però, entrambe le partite sono risultate in una sconfitta per i Pelicans e già dalla terza partita contro gli Spurs (e un ben diverso approccio difensivo alla gara rispetto a Golden State e Denver) le cifre personali di Davis sono in calo, con solo 18 punti e 5 rimbalzi.
La quarta partita contro i Miami Heat, ha visto il ritorno del solito Davis (35 punti al netto però di una FG% intorno al 42%) e del solito binomio buona prestazione/sconfitta.
L’impressione è che purtroppo, nonostante il suo grande talento, Anthony Davis non abbia una squadra e un supporting cast adeguato per il prosieguo della stagione e che questa, al netto di trade di un certo tipo, rischi di essere abbastanza interlocutoria, per lui e la franchigia.
Kawhi Leonard è una di quelle strane storie di riscatto e abnegazione che permeano la NBA.
Arrivato nel 2011 agli Spurs via trade dagli Indiana Pacers, mediante un lento e metodico miglioramento Leonard è riuscito a divenire, nell’arco di un quinquennio, anima e erede di Duncan a San Antonio.
La media di 28 punti a partita che sta tenendo in questo inizio di stagione è la dimostrazione di quel costante evolversi che ha contraddistinto finora la carriera di Leonard, che ha saputo trasformarsi da eccellente difensore a giocatore completo su entrambi i lati del campo.
Vera e propria superstar “costruita” dagli Spurs, anno dopo anno Kawhi ha aggiunto al suo repertorio delle mosse che lo hanno reso la macchina da punti odierna, tutto questo senza mai far venir meno la mostruosa pressione difensiva sul suo diretto avversario.
Tiro perimetrale, fadeaway e da quest’anno anche il tiro in corsa con una sola mano, tutto questo con una naturalezza nell’apprendimento quasi “demoniaca” a soli 25 anni.
Leonard è capace anche quando la partita e le situazioni lo richiedono, come la scorsa notte contro Utah, di trasformarsi in un efficiente tiratore perimetrale dalla lunga distanza (5 su 7 da dietro l’arco per un 71% al tiro da 3 complessivo.
Insomma le incertezze sul post-Duncan e sul futuro di Lamarcus Aldridge potranno anche essere un peso capace di minare, in parte, la stagione degli Speroni; ma se del doman non c’è certezza, Kawhi ha le idee abbastanza chiare sul futuro suo e della squadra.
L’idea che Russell Westbrook potesse approcciare l’imminente stagione NBA in maniera “poco ortodossa” dopo la trade Durant in estate, era abbastanza scontata; che però lo facesse in questo modo era francamente al di fuori di ogni prospettiva.
Dopo la quasi tripla-doppia all’esordio contro Philadelphia, il nativo di Long Beach esplode nella seconda partita stagionale contro i Phoenix Suns siglando, questa volta si, una tripla-doppia da 51 punti (unico a riuscirci dai tempi di Kareem Abdul Jabbar) e ripetendosi con un’altra tripla doppia nella partita successiva.
Fino adesso Russell sta sostanzialmente dominando, grazie a doti atletiche e offensive, qualsiasi squadra/avversario gli venga messo contro, con delle statistiche individuali pazzesche che mettono in luce anche la qualità delle sue letture offensive (11 assist di media per un Ast/TO di 2.50) e l’impatto complessivo che ha sulla partita (leader nella lega con un PIE di 28.7).
Viaggiando a 38 punti di media in queste prime 3 partite, il messaggio che Westbrook ha mandato alla lega è forte e chiaro: OKC è sulla cartina e a questa squadra basto io.
I dubbi che hanno accompagnato il passaggio di Durant ai Golden State Warriors sono stati il leitmotiv del periodo antecedente all’inizio della stagione, con molteplici dubbi riguardanti la sua intesa in campo con i compagni, l’adeguamento al sistema di gioco di GS e il riuscire ad acquisire determinati automatismi difensivi.
Nonostante uno scivolone iniziale di squadra contro San Antonio (dove Durant ha comunque piazzato una doppia-doppia da 27 punti e 10 rimbalzi) nelle successive due partite, KD ha messo a tacere qualsiasi dubbio gravitasse ancora intorno a lui.
L’acme è stato raggiunto nella partita contro Phoenix, dove ha siglato una prestazione di 37 punti e il 62% complessivo al tiro (con un numero economo di 16 tiri tentati) e sempre mantenendo una produttività mostruosa sia in difesa che a rimbalzo.
Nella partita della scorsa notte, contro Portland, ha accusato una leggera flessione con “solo” 20 punti e nessuna tripla segnata, cosa che ha comunque permesso a Golden State di vincere.
È indubbio che Golden State debba e possa far meglio, limando qualche piccolo dettaglio e arrivando a una ancora più alta conoscenza e intesa dei suoi interpreti, soprattutto nella fase difensiva; ma se le premesse sono queste, anche quest’anno, sulla Baia, ci sarà da divertirsi.
La mancata convocazione all’All Star Game dello scorso anno per Lillard, rappresenta l’ennesimo sgarro al nativo di Oakland dopo il ripescaggio nell’edizione del 2015, causa infortunio di un titolare.
Naturalmente quando uno sportivo, razza assai vanitosa, viene offeso in questo modo, è quasi certo che la sua reazione non sarà per nulla pacata e controllata, ma anzi verrà condita (sopratutto nel contesto sportivo americano) con un certo grado di spettacolarità, tipo dissare la NBA in un album rap.
Per quanto riguarda quel che accade sul parquet, Lillard ha impostato il suo avvio di stagione sul mettere in chiaro da subito una cosa: di appartenere alla partita, e alla categoria, delle stelle.
34 punti di media in 4 partite e un exploit di 39 punti all’esordio contro Utah (con un 65% complessivo al tiro!) mostrando lampi di dominio assoluto, incappando nella sua unica sconfitta la scorsa notte contro i Warriors.
Se continuerà a mantenere questi picchi di rendimento fino a Febbraio, dubito che Damian dovrà far uscire un nuovo singolo di protesta.
Il Re ha portato il titolo nella terra promessa e mantenuto il suo giuramento, donando felicità a una città intera.
Ma al contrario di Dio, che almeno un giorno si è riposato, il figlio di Akron ha messo in chiaro sin da subito le sue intenzioni sull’imminente stagione.
Da campioni in carica e potendo contare su un gruppo solido e rodato, i Cleveland Cavaliers non hanno bisogno di dimostrare nulla in stagione regolare e, complice il solito livello della Eastern Conference, veleggiare tranquilli verso uno scontato accesso ai Playoffs.
Tuttavia era necessario un messaggio forte, almeno in fase d’apertura, a dire:”Ragazzi, non sarà una passeggiata e io sono sempre il più forte del mondo”.
E il messaggio è arrivato forte e chiaro con una prestazione monstre contro i New York Knicks del rivale universitario, Carmelo Anthony.
Tripla-doppia con 19 punti, 11 rimbalzi e 14 assist e una squadra coesa che gira a meraviglia, anche nelle successive partite, vinte, contro Toronto, Orlando e Houston.
In tutte le partite giocate finora LBJ ha dimostrato la sua estrema versatilità sul campo, dominando le due fasi di gioco con delle statistiche individuali da proto tripla-doppia o tripla-doppia in quanto tale e dominando il gioco in ogni su aspetto.
Il Re e i suoi seguaci sono pronti a ripetersi e nessuno è al sicuro perché ci sono solo due certezze: la NBA è la più bella lega del mondo e LeBron James è il suo padrone.
Gioco a pallacanestro da quando ho 5 anni e mi piacciono i libri scritti da gente morta almeno un secolo fa. Per il resto tutto bene.
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