Le truppe dell’esercito iracheno sono entrate a Mosul dopo quasi due settimane di offensiva, dando luogo a feroci scontri con i guerriglieri di Daesh nei distretti orientali della città. Roccaforte del gruppo Stato Islamico da quasi due anni, nella notte del 31 ottobre Mosul ha visto le proprie difese ad est sfondate dalle forze attaccanti dell’esercito regolare e Peshmerga. Le stesse fazioni premono verso i confini cittadini anche sui fronti settentrionale e meridionale, mentre le milizie sciite di al-Hashd al-Sha’abi stanno prendendo il controllo dei villaggi ad ovest del capoluogo di Ninive.
Seppur circondate, le forze di Is stanno opponendo una strenua resistenza quartiere per quartiere, di fatto ignorando l’invito alla resa espresso dal premier iracheno Haidar al-‘Abadi nella forma del chiaro ultimatum “Arrendetevi o morirete”. La resistenza di Daesh non si sta limitando solo allo sforzo bellico, estendendosi ai consueti atti di terrore che la delirante propaganda del gruppo ha abituato a vedere nel corso del presente conflitto. Oltre ad una serie di autobombe volte a rallentare l’offensiva dell’esercito regolare, nonché alla recente notizia secondo la quale giocattoli per bambini sarebbero utilizzati come ordigni improvvisati, Is si sta premurando di compiere stragi di civili ed ex membri delle Forze di sicurezza irachene, accusati di collaborazionismo con le forze occupanti ed il cui bilancio pare attualmente attestarsi sui 350 morti. Sempre per mano dei seguaci del sedicente Califfo, si parla altresì di 50 esecuzioni di propri guerriglieri colpevoli di aver disertato.
La situazione è estremamente pericolosa per i cittadini di Mosul, tanto che l’iniziale – e ben accolto – invito a ribellarsi a Daesh da parte dei generali iracheni si è progressivamente trasformato in un avviso a rimanere nelle proprie case ed evitare di essere coinvolti negli scontri a fuoco. Un rapporto dell’Onu segnala come l’Is abbia cercato di trasportare su camion 25mila civili su camion verso le zone dei combattimenti, allo scopo di utilizzarli come scudi umani.
Al momento, la battaglia vede in contrapposizione un organico di circa 50mila soldati fra iracheni, curdi e gli appartenenti alle milizie sciite, contro quelli che si stimano essere circa 6mila jihadisti, qui esclusi gli ausiliari che sembra continuino ad arrivare in difesa di Mosul dalla Siria. Nonostante l’alleanza “regolare” sia forte di numero, coordinazione e capacità logistiche di molto superiori, le difese serrate ed il gioco sporco di Daesh devono costituire un invito a non abbassare la guardia e credere che la battaglia si risolverà con poco sforzo e senza l’utilizzo di tattiche efficaci, altrimenti a pagarne le conseguenze sarebbe principalmente la già martoriata popolazione di Mosul.
Riguardo l’esito della battaglia, c’è già chi teme un'”ipotesi Aleppo”, ossia un assedio prolungato senza soluzione di continuità, similmente a quello di cui è caduta vittima quest’anno la città siriana. Ma si tratta di un’ipotesi azzardata, per due motivi. In primo luogo al-Baghdadi sa che la fine è vicina: l’Is sta dando il tutto per tutto già in questi primi giorni di conflitto interno alla città; di certo l’offensiva curdo-irachena è soverchiante e fuori portata per le forze jihadiste, ma le modalità “aggressive” della difesa di Daesh e le stragi di civili non lasciano intendere che l’obiettivo sia quello di una difesa a lungo termine. L’accerchiamento su ogni fronte da parte delle forze nemiche ha anche escluso, per le forze del sedicente Califfo, l’ipotesi di una fuga dalla città e conseguente riorganizzazione.
In secondo luogo, oltre alle risorse, l’elemento indispensabile per i difensori di un assedio è il morale: l’ideologia dello Stato Islamico, dal punto di vista sociologico, è basata su una frustrazione personale o collettiva che ha trovato la sua realizzazione in una fazione forte da sostenere verso un glorioso obiettivo a lungo termine, che precedentemente non veniva tradotto né sul piano psicologico né su quello geopolitico. Man mano che il potere di al-Baghdadi va riducendosi, la propaganda del gruppo – il potere che l’ha distinta dagli altri gruppi paramilitari dell’area – subisce la stessa sorte, verosimilmente conducendo a tumulti interni e al disfacimento di Is in bande alla deriva e disertori. Non a caso, parte consistente della strategia di difesa dell’Is si basa sul terrore e sulla propaganda continuata; ad esempio, dopo che le forze irachene hanno preso il controllo della sede della televisione, la risposta di al-Baghdadi è stata diffondere un video in cui si mostra Mosul sotto il saldo controllo di Daesh.
È pertanto probabile, seppur mai certo, che Mosul cadrà a breve; ma la fine dell’ideologia e dell’egemonia territoriale di Daesh condurranno ad una serie di altre problematiche che i diretti interessati e la comunità internazionale hanno l’obbligo di iniziare a risolvere fin da ora, con un occhio attento anche alla situazione siriana. La conseguenza più ovvia è il perdurare di caos nell’area, sia nella difficile ipotesi che i reduci di Is abbiano modo di ricostituirsi in una fazione maggiore, sia in quella più probabile che le violenze proseguano su scala locale, in modo non particolarmente dissimile dalla situazione irachena successiva all’ultima guerra statunitense contro Saddam Hussein.
Altro paio di maniche del quale sarà necessario occuparsi è costituito dalla forza e dall’identità acquisite dalle fazioni curde e sciite – le prime sostenute principalmente dagli Stati Uniti, le seconde dall’Iran – le quali, dopo aver condotto da protagonisti il presente conflitto, certamente non si disperderanno ma vorranno dar voce alle proprie velleità autodeterministiche. I Curdi hanno acquisito il controllo di vaste aree territoriali in Siria e in Iraq, ponendo le basi per la fondazione del Kurdistan e risultando così sempre più invisi al tradizionale nemico turco, che rimane sempre pronto all’azione. Anche l’attuale alleato iracheno, in futuro, si ritroverà facilmente col fucile puntato verso le forze Peshmerga, dal momento che le zone del Kurdistan iracheno sono ufficialmente parte dello Stato di Baghdad.
Allo stesso modo, il potere sciita costituisce un fastidio ben definito per la maggioranza sunnita della popolazione irachena; non solo per quanto riguarda gli equilibri di potere locale, ma in particolar modo per quanto riguarda il supporto iraniano e per la vicina situazione siriana, dove le ambizioni di Teheran – che sostiene il partito di al-Assad – sono tendenzialmente opposte all’agenda dell’Iraq e degli alleati statunitensi.
In sostanza, anche una volta risolta la situazione a Mosul, non si potrà parlare di fine del conflitto in tempi brevi. Corrette decisioni da parte delle fazioni in gioco e della comunità internazionale saranno indispensabili per garantire una svolta positiva a questa terra devastata.
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