Il calcio ha fatto passi da gigante da quando, il 26 ottobre 1863, i dirigenti di alcune squadre si riunirono alla Fremasons’ Tavern per fondare la Football Association e stabilire le regole ufficiali. È passato dai campionati giocati in una sola giornata, come il primo titolo italiano assegnato l’8 maggio del 1898 al Genoa Cricket and Athletic Club (la denominazione Football al posto di Athletic è del 2 gennaio 1899) a campionati lunghi un anno intero, che iniziano a metà agosto e finiscono il giugno dell’anno dopo, diventando un appuntamento che scandisce le proprie stagioni. Il calcio, vuoi per la propria semplicità, vuoi perché imprevedibile, è diventato lo sport più popolare di tutto il mondo. E se tutto il mondo guarda il calcio, è naturale che gli sponsor facciano a gara per apparire. Ma quando hanno iniziato ad apparire sulle maglie, a sponsorizzare i palloni, a legare il proprio nome ai giocatori garantendo soldi a quest’ultimi e tanta pubblicità?
Se pensate che le ultime maglie del Napoli pecchino di buon gusto con i colori degli sponsor che fanno a pugni con l’azzurro,
Non avete mai visto le maglie dell’Evian, squadra francese che ha militato in Ligue 1, con più toppe pubblicitarie che colori sociali.
L’entrata degli sponsor nel mondo del calcio è avvenuta in modo graduale. La FIGC, a differenza delle altre federazioni sportive italiane, nel proprio regolamento aveva questo articolo, ora soppresso:
«durante qualsiasi gara non è permesso ai giocatori portare sulle maglie distintivi di natura politica, confessionale o scritte pubblicitarie. Eventuale deroga, limitatamente alle scritte pubblicitarie, è ammesso per le società del settore giovanile e dei dilettanti, sempre se debitamente autorizzate dal proprio comitato regionale»
Ma si sa, fatta la legge, trovato l’inganno. E se nel 1973 in Germania l’Eintracht Braunschweig, in seguito a un accordo commerciale tra le parti, dopo averne fatto simbolo societario scese in campo con il simbolo della Jägermeister, l’azienda produttrice del noto liquore alle erbe, in Italia per ovviare al divieto della Federazione si fece strada la formula dell’abbinamento, ovvero l’abbinare il nome di una azienda alla denominazione societaria del club sportivo. Uno degli abbinamenti più famosi è tutt’ora senza dubbio il Lanerossi Vicenza, con la caratteristica “R” della ditta tessile che campeggia sulle maglie della società. Degni di nota e precursori del Lanerossi furono, durante la seconda guerra mondiale, l’abbinamento Juventus Cisitalia e Torino Fiat. Questo connubio, secondo le regole allora vigenti, permise alle due società di trasformare i propri tesserati in operai per le ditte con cui erano abbinati, evitandogli deportazioni nella Germania Nazista in quanto necessari al fabbisogno nazionale.
La pratica dell’abbinamento fu abolita dalla Federazione a fine anni cinquanta, e gli sponsor per apparire nel mondo del calcio erano limitati soltanto alla cartellonistica negli stadi e alla pubblicità nei mass media. A metà degli anni settanta arrivarono le prime aperture, con l’esposzione degli sponsor tecnici di maglia e le sponsorizzazioni personali dei calciatori, a patto che non vestissero i colori sociali e che fossero lontani dal campo da calcio. Gli anni settanta videro due casi di sponsorizzazione che hanno segnato la storia, come i pantaloncini dell’Udinese, sponsorizzati dall’azienda di gelati Sanson, il cui proprietario era anche il patron della squadra friuliana. Il regolamento della FIGC infatti riguardava le “maglie”, ma dopo qualche gara e una multa da 10 milioni di lire il marchio sparì dai pantaloncini. La caduta del tabù e la conseguente liberalizzazione arrivò nel 1979, a Perugia.
Franco D’Attoma, l’allora presidente dei grifoni, per ottenere i 700 milioni necessari al prestito della punta Paolo Rossi, fece un accordo con il gruppo alimentare Buitoni Perugina, che in cambio avrebbero potuto inserire il nome del loro pastificio Ponte sulle divise della squadra. Il regolamento della FIGC, che si era aperto pochi anni prima agli sponsor tecnici, non contemplava l’inserimento di uno sponsor extrasettore, e il presidente D’Attoma aggirò il regolamento federale fondando un maglificio con il nome del pastificio, che sulla carta figurava come fornitore tecnico, ma che di fatto fu il primo sponsor di maglia del calcio italiano. La FIGC, di fronte all’ennesimo escamotage per far apparire uno sponsor tra i buchi del regolamento, in un primo momento impose l’esclusione dalle divise del logo e una multa da 20 milioni, ma al termine di una serie di ricorsi i grifoni ebbero la meglio e l’esordio ufficiale della divisa sponsorizzata avvenne il 23 marzo del 1980. Il processo divenne inarrestabile, e la stagione 1981 1982 vide 28 squadre su 36 tra serie A e serie B con un proprio sponsor di maglia. I connubi Juventus – Ariston, Inter – Misura, Napoli – Buitoni sono figli di quegli anni 80 e che senza dubbio sono rimasti impressi nei ricordi dei tifosi che hanno vissuto quell’epoca.
Epoca che prosegue tutt’ora, con i fornitori tecnici come Nike e Puma che forniscono i palloni rispettivamente alla Lega Serie A e Lega Serie B, a loro volta sponsorizzate da TIM e dall’assicurazione ConTe.it. Il giro di affari generato dal mondo del calcio è cresciuto sempre più nel corso degli anni, arrivando a quasi 14 miliardi di Euro, contro gli 8,5 milioni della stagione 1920/1921. È una grande torta da spartire e di cui abbuffarsi, e per cui le aziende non possono che avere interesse nel ritagliarsi uno spazio che sia su di un cartellone all’interno dello stadio o che sia su di una maglia, anche a costo di rovinare l’estetica delle divise, come la maglia del Bochum, che rinunciò ai propri colori sociali per lo sponsor. Come si dice, “Business is business”.
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