Pochi giorni or sono, il 30 dicembre 2016, è stato proiettato nelle sale italiane un nuovo adattamento cinematografico del libro per ragazzi “Il GGG”. L’opera, dal celeberrimo autore britannico Roald Dahl e pubblicata originariamente nel 1982 col titolo The BFG, nel 1989 ha avuto un primo adattamento cinematografico – sempre d’animazione – intitolato Il mio amico gigante. Ed ecco che, ventisette anni dopo, la storia torna in sala in vesti tutte nuove, donate da quella meravigliosa invenzione che tutti noi chiamiamo CGI. Il progetto di questa pellicola inizia nel 2011, quando la Dreamworks annuncia di aver comprato i diritti cinematografici del testo di Dahl. Nel 2014 viene confermato come regista Steven Spielberg, la cui casa di produzione Amblin Entertainement prende il posto della sopracitata Dreamworks, la quale non verrà minimamente accreditata all’interno del progetto.
La trama, dai contorni fiabeschi, narra di un’orfana inglese di nome Sofia che, soffrendo d’insonnia, tende a fare molto tardi la notte. Una di queste notti, mentre Sofia è sveglia, un gigante si aggira per le strade di Londra cercando di non farsi notare da nessuno, ma la protagonista lo vede: di conseguenza il gigante la rapisce, e dopo un lungo viaggio la porta nella sua abitazione. Una volta che i due sono giunti a destinazione, Sofia viene a scoprire che il gigante non è affatto cattivo, e in realtà non è neppure particolarmente gigante: con i suoi sette metri e venti, infatti, altro non è che un nano tra gli altri giganti, veri colossi mangia-bambini, i quali prendono spesso in giro il nostro GGG (Grande Gigante Gentile), la cui dieta – composta di cetrionzoli – non rispecchia minimamente quella dei suoi compaesani. La bambina scoprirà anche il vero segreto del gigante, cioè quello di poter catturare i sogni e innestarli nelle persone. Dopo varie peripezie, il curioso duo deciderà di unire le forze per porre fine alle malefatte degli altri giganti.
L’apice più alto raggiunto da questo film è senza ombra di dubbio quello della CGI, che ricopre un ruolo fondamentale in tutta la pellicola. Le realizzazioni più interessanti sono sicuramente le interazioni dei giganti con l’ambiente circostante: si pensi ai movimenti del GGG all’interno della sua abitazione, o a quelli degli altri giganti nel prato dove dormono. Nonostante questo incredibile uso degli effetti speciali, il resto del film non ha riscosso lo stesso successo; anzi, si potrebbe quasi parlare di un flop per Spielberg.
La pellicola – come e forse più dello stesso libro – è esplicitamente rivolta a un pubblico di giovanissimi, ma vengono tralasciati dettagli che potrebbero dare al film molto più corpo. Assai spesso – nel corso della trasposizione di un romanzo – vengono tralasciate intere parti, ma questa volta, essendo un racconto piuttosto breve, non è ben chiaro per quale motivo si sia deciso di dare così poca evidenza a determinati ruoli e temi. Uno tra tutti, ad esempio, è quello della fame di bambini che hanno i giganti, i quali, quelle poche volte che parlano di carne, fanno riferimento quasi unicamente agli esseri urbani, senza specificare la preferenza per i più giovani, preferenza che diventa invece la chiave per il finale.
A proposito del finale, non si può non notare come questo sia stato enormemente ritoccato, quando – se mantenuto più simile a quello del libro – avrebbe veicolato un messaggio decisamente più grande. Purtroppo, che sia stato per le scelte di regia o per quelle di tempistica, sono state fatte modifiche che hanno creato una certa delusione in chi credeva in questa trasposizione. In definitiva, Il GGG non potrà mai essere il nuovo E.T. né il nuovo Hook, ma rimarrà comunque un prodotto discreto, per quanto destinato esclusivamente alla visione dei più piccoli.
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