La prima stagione di Mr. Robot rappresentò un successo di pubblico e di critica impressionante per il canale USA Network, che fino ad allora non era mai stato considerato al pari di altri canali televisivi più noti, quali HBO, AMC o Netflix. Mr. Robot, tuttavia, fu un vero e proprio exploit.
Il 2015 fu veramente l’anno di questa serie, creata da Sam Esmail, che racconta di Elliot Anderson, un giovane tecnico con problemi di depressione e droga impiegato in un’agenzia di sicurezza informatica. Elliot viene avvicinato dalla fsociety, un gruppo di hacker del tutto affine ad Anonymous, ma con un obiettivo ancora più estremo: cambiare il mondo in maniera definitiva, distruggendo il sistema capitalistico attraverso un attacco hacker alla E Corp, una gigantesca multinazionale che detiene un ampio controllo su qualsiasi cosa. Ovviamente l’attualità degli ultimi anni ha rappresentato un terreno fertile per la serie, tra crisi economica, guerre di hacker e fughe di informazioni, fino ad arrivare a movimenti come Occupy Wall Street, ma Mr. Robot è una perfetta opera postmoderna.
Il postmoderno, nel cinema, consiste in citazioni o in collage di opere preesistenti, come per ottenere un superamento della realtà: un chiaro esempio è il cinema di Quentin Tarantino, che viene citato nella serie insieme a tantissimi altri film. Vedere Mr. Robot, infatti, allo spettatore medio può ricordare diverse opere, da Fight Club al cinema di Kubrick, e non si parla solo di citazioni in piccole scene, quasi delle strizzate d’occhio allo spettatore, ma proprio di intere svolte di trama.
Molti urlerebbero al plagio, ma Esmail gioca con le carte scoperte: lui stesso ha ammesso di essere un grande cinefilo, e di citare e rielaborare i film che adora. Ma, soprattutto, lo fa con rispetto e con una spigliata rielaborazione della fonte. Un collage, si potrebbe chiamare, ma Mr. Robot è più di un insieme di citazioni e rielaborazioni. Il punto di forza maggiore, oltre alla regia che pure è ottima, sono i personaggi. Si tratta della prova che le serie televisive stanno diventando sempre più simili al cinema d’autore, ma con più libertà lasciata agli autori. La dicotomia tra il bene e il male è completamente stravolta, tanto che non si sa più chi sono veramente gli eroi, e nemmeno chi sono i cattivi. Molti fan hanno preso questa serie come il classico scontro tra il manipolo di ribelli e l’impero malvagio; Mr Robot, invece, mostra alla perfezione l’estrema confusione e paranoia di questi tempi, dove gli intrighi di potere sono all’ordine del giorno, e niente è del tutto bianco o nero.
I personaggi e le interpretazioni sono ottime, sopratutto quella del protagonista Elliot Anderson, ruolo affidato al giovane e veramente talentuoso Rami Malek, cui è valso pure l’Emmy per il miglior attore. Malek riesce ottimamente a trasmettere il disagio e i conflitti interiori di questo hacker con problemi di morfina.
Ottimo pure Christian Slater, forse nel miglior ruolo della sua vita: meglio non entrare nei particolari, per evitare spoiler a chi non avesse ancora visto la prima stagione, ma chi l’ha vista sa già di cosa si parla. Una grande nota di merito va fatta al carismatico manager della E Corp, e antagonista della serie, Tyrell Wellick, portato sul piccolo schermo da un talentuoso attore svedese, Martin Wallström: un personaggio che ricorda molto Patrick Bateman di American Psycho.
Per non parlare poi del cast femminile, che è a dir poco perfetto e ben congegnato, sopratutto per quanto riguarda Darlene (Carly Chaikin), Angela (Portia Doubleday), Joanna, la moglie di Tyrell Wellick (Stephanie Corneliussen, che assomiglia molto a una giovane Angelina Jolie), e – dalla seconda stagione – anche l’agente FBI Di Pierro (Grace Gummer). Della seconda stagione, è da sottolineare l’importanza – per quanto la sua apparizione sia di breve durata – di Leòn, interpretato dal rapper Joey Bada$$, che si mostra perfetto per la parte.
Un altro pregio di Mr. Robot è una rappresentazione del mondo dell’informatica più realistica. In molte serie TV e film, l’hacking viene rappresentato come una specie di videogioco con strani effetti speciali e sonori. Mentre, in questo caso, i nostri protagonisti sono alle prese con codici, host, boost, bust, DoS, che a un profano può sembrare complicato ma la regia riesce a rendere avvincenti questi attacchi informatici anche se sono verosimili e meno spettacolari agli stereotipi che ci ha dato Hollywood negli anni.
Le prime due stagioni non hanno grandi cali, né presentano alcun momento morto. La trama è abbastanza intricata per entrambe le stagioni, anche se la seconda ha uno dei migliori plot twist visti recentemente, sia al cinema che in televisione. Mr Robot, soprattutto, fa qualcosa che non viene più fatta per i colpi di scena: ti accompagna. Non ti butta rivelazioni a casaccio solo per sorprenderti, ma lancia indizi sui possibili sviluppi, portando il fan a ideare teorie e a guardare le varie puntate con un occhio critico, per poi andare su Reddit per tessere insieme tutti gli indizi possibili: tutto ciò riesce a rendere il pubblico parte attiva della serie. Questa costruzione della suspense si sposa perfettamente con la serialità, visto che in questo modo si ha più tempo per le spiegazioni, aspetto che un film non potrebbe avere. Nel complesso, la prima stagione è di ottima fattura, ma la seconda stagione è una conferma del fatto che Mr. Robot ci riserverà molte sorprese in futuro.
Una altro grande aspetto positivo è la colonna sonora veramente eterogenea, che spazia da Sonic Youth fino a Phil Collins, passando per alcune scelte azzardate come la cover al pianoforte di Where is my mind dei Pixies – che fa parte dei vari riferimenti a Fight Club – nella prima stagione, o la cover in versione carillon di Basket Case dei Green Day nella seconda.
Mr Robot, per concludere, non è solo un compendio di citazioni, ma è un riassunto delle paranoie che viviamo in questa epoca complicata. C’è il governo che ti spia attraverso il computer e ci sono gli attentati a Parigi, c’è Bill Cosby sotto processo e c’è la crisi economica, c’è Anonymous e c’è Steve Jobs; soprattutto, c’è il bene e c’è il male, solo che sono molto confusi.
Ha cominciato a scrivere a 12 anni per il giornale della parrocchia. Poi per qualche strano motivo, è finito a scrivere su Imdi dopo la classica adolescenza complicata. Studente universitario, admin a tempo perso di Matthew Mr. Renzie e appassionato di cinema, musica, serie tv, fumetti, cultura pop e tante altre cose che non stiamo a dire che senno non è più una descrizione dell'autore ma diventa una biografia.
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