Anche quest’anno gli Oscar si avvicinano e l’Italia presenta la rosa dei film candidati alla nomination per il Miglior film straniero. Oltre che un premio di prestigio, è anche un modo per vedere le novità dell’attuale cinema italiano, bistrattato dal pubblico ma che ultimamente sta vivendo una sorta di rinascita. L’anno scorso fu nominato Non Essere Cattivo del compianto Caligari, che però non entrò trai nominati finali. In quell’edizione vinse l’ungherese Il figlio di Saul.
Sperando quest’anno di avere più fortuna, ecco a voi i 7 film italiani che potrebbero concorrere agli Oscar recensiti dalla nostra redazione.
Questo film di Massimiliano Bruno è tratto dall’omonimo spettacolo teatrale, e interseca due trame che si incrociano all’inizio e alla fine della pellicola. Da un lato seguiamo le crescenti difficoltà di una coppia affiatata ma sul lastrico, dall’altro la vicenda di un agente di polizia veneto che viene trasferito a Roma dopo la morte di un collega. Luciana (Paola Cortellesi) e Stefano (Alessandro Gassmann), dopo anni di tentativi, stanno per avere un figlio, ma il lieto evento finisce per far licenziare Luciana dalla fabbrica in cui lavora. Stefano, disoccupato, avendo sempre contato sul sostegno economico della moglie, si invischia, tra una schedina e l’altra, in piccoli affari che non vanno mai in porto. Antonio (Fabrizio Bentivoglio) è invece un poliziotto che ancora risente del trauma della morte del suo pupillo, e cerca di rompere la solitudine con un’amicizia sui generis. Il film si muove inizialmente in un clima comico, a tratti forzato, ma dà il suo meglio nella parte drammatica, che culmina nello straziante finale preannunciato a inizio pellicola.
Tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Ferradino del 1993, Pericle il Nero racconta la storia di Pericle Scalzone, un uomo che agisce sotto il comando del mafioso Don Luigi, e la cui peculiarità è sodomizzare i gestori dei locali che si rifiutano di cedere l’attività al suo capo. Un giorno, però, si trova a commettere un errore che lo costringerà a nascondersi per mantenersi vivo. Da Bruxelles, in cui è ambientata la vicenda, scappa in Francia, dove incontra una donna, Anastasia, con cui ha una breve storia. Pericle, interpretato da un convincente Riccardo Scamarcio, è un uomo solo, con un disperato bisogno di affetto, ma incapace di allontanarsi dal mondo squallido e criminale di cui fa parte. Nonostante non sia uno dei candidati più forti per rappresentare l’Italia agli Oscar, Pericle il Nero rimane un noir godibile dai risvolti sorprendentemente introspettivi.
Stefano Sollima, già noto per Gomorra, dirige il suo secondo lungometraggio tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo. La pellicola è ambientata a Roma nel 2011, e tratta della criminalità organizzata nella capitale. Pierfrancesco Favino interpreta Filippo Malgradi, politico di centrodestra lussurioso e corrotto; Claudio Amendola invece interpreta Samurai, una sorta di deus ex machina della criminalità romana; Elio Germano veste i panni di Sebastiano, un PR proprietario di una villa per eventi. La successione di eventi narrata nel film è una sorta di conto alla rovescia per l’Apocalisse, che porterà allo sconvolgimento degli equilibri nella criminalità e nella politica romana. Tutti i personaggi sono collegati tra loro, e ogni azione si ripercuote inesorabilmente sulle esistenze di ciascuno, creando così un vortice pericoloso e intrigante, nel quale sono presenti mafia, zingari, centrodestra, droga, sesso e il Vaticano. Notevoli gli esercizi di stile, come la scena della sparatoria vicino al mare o la caratteristica del Samurai che, grazie al suo impermeabile, non viene (quasi) mai bagnato dalla pioggia – metaforica e non – che imperversa intorno a lui: una prova ulteriore della qualità e dello stile del regista.
Lo chiamavano Jeeg Robot è un film di culto nel suo genere: parla di un ladruncolo romano, interpretato da Claudio Santamaria, che riceve i superpoteri dopo un incidente nel Tevere e deve decidere cosa farne. Il classico dilemma, ma senza nessuna banalità. Il film riesce in tutti i suoi obiettivi: dal rendere credibile un supereroe italiano all’intrattenere lo spettatore, dandogli qualcosa di diverso. Finalmente, ecco un vero e proprio film di genere, che in Italia mancava da tempo. Primo vero lungometraggio per Gabriele Mainetti, è lontanamente ispirato all’anime Jeeg Robot D’acciaio. Jeeg Robot è, per il protagonista Enzo, quello che il pipistrello è per Batman: un simbolo. Ma un film di supereroi non è niente senza un cattivo, e Lo Zingaro, interpretato egregiamente da Luca Marinelli, buca lo schermo, e rimane impresso attraverso una costruzione del personaggio cristallina. Da non dimenticare poi la scelta della colonna sonora e l’ambientazione, una Roma lontana dagli stereotipi ma più vicina ai film di Caligari. Dopo aver sbancato ai David di Donatello, tra cui miglior regia e tutti i premi legati alla recitazione, la pellicola ha ricevuto recensioni positive, un ottimo incasso e persino la benedizione di Go Nagai, creatore dell’anime. Speriamo che Mainetti e tutto il cast abbia anche l’onore di rappresentare l’Italia agli Oscar, anche se gli Academy preferiscono un altro genere di film a questo.
Due storie, apparentemente inconciliabili, sono quelle presentate da Gianfranco Rosi in Fuocoammare: la vita dei Lampedusani, quasi sospesa all’infuori del tempo, in una calma apparente che stride violentemente con l’altra realtà presente sul territorio: l’immigrazione. Un film privo di retorica, crudo e agghiacciante, senza nessuna presa di posizione, e caratterizzato dalla mancanza totale di un imprinting documentaristico d’inchiesta. Vincitore per il miglior film alla Berlinale 2016, Fuocoammare non vuole commuovere il pubblico, quanto semmai dare uno spaccato pressoché verista della tragica situazione lampedusana. La magistrale esecuzione di fotografia e montaggio parla da sola, senza bisogno di voci narranti o spiegazioni superflue. Un solo passaggio è impiegato, per collegare i due contesti: la presenza dell’ufficiale sanitario dell’isola, amareggiato dalla situazione, lascia intendere che se da un lato provvederà a curare l’occhio pigro del bambino protagonista, dall’altro è costretto alle tantissime ispezioni cadaveriche su donne, uomini e bambini, che sempre più spesso falliscono nel tentativo di fuggire dal proprio Paese.
Cosa accadrebbe se il contenuto del nostro cellulare cadesse nelle mani di altri? I segreti ivi contenuti sarebbero in grado di mettere a repentaglio le nostre relazioni? Queste sono le domande che fanno da premessa a Perfetti Sconosciuti, commedia messa in scena da Paolo Genovese. Un po’ per sfida, un po’ per gioco, alcune coppie di amici decidono di mettere al centro del tavolo il proprio telefono e, quindi, di leggere ogni sms ricevuto nel corso della serata. Il risultato è prevedibile: continui colpi di scena, litigi e baruffe. Il film si svolge quasi interamente in un unico interno, dandogli un taglio quasi teatrale. Ed è proprio il cast (Kasia Smutniak, Marco Giallini, Valerio Mastrandrea, Giuseppe Battiston, Edoardo Leo, Alba Rohrwacher, e Anna Foglietta), oltre al soggetto intelligente e mai banale, a permettere all’ora e mezza di film di scorrere liscia come l’olio senza annoiare mai, e anzi portando lo spettatore ad interessarsi alle vicende dei protagonisti e a bramare sempre più dettagli sulle loro vite private. Perfetti sconosciuti è un film ben riuscito. Le vicende sono piacevoli da seguire, i personaggi sono tutti ben caratterizzati, plausibili e non banali. Allo stesso tempo, non è difficile riconoscere in loro i comportamenti e il carattere di quel nostro conoscente, o di qualche amico di famiglia. Un film, in definitiva, molto piacevole, ma certamente ben lontano dell’identikit del tipico film che normalmente può aspirare all’Oscar per il miglior film straniero.
Un film che uscirà nelle sale italiane il 29 settembre e che già promette molto bene. La pellicola, di Edoardo De Angelis, già regista di Perez e Mozzarella Stories, parla di Daisy e Viola, delle gemelle siamesi napoletane costrette dalla loro famiglia a cantare a matrimoni, comunioni ed eventi vari sfruttando la loro condizione finché queste non provano a ribellarsi alla famiglia. Il film è stato presentato al festival di Venezia di quest’anno nella giornata degli autori, dove ha ricevuto molte critiche positive, sopratutto per la regia e l’interpretazione delle due attrici, vere gemelle siamesi, Angela e Marianna Fontana.
Contrariamente agli stereotipi a cui ci ha abituato l’Academy – film per lo più drammatici riguardanti grandi tragedie storiche – i nominati per l’Italia mostrano film molto diversi e che potrebbero tutti avere una chance. Un’altra grande nota positiva di questi nominati è la rinascita del cinema di genere, che in passato ha fatto l’Italia grande ma che ultimamente era come scomparso. È a prova che il cinema italiano può finalmente risvegliarsi da quel periodo stagnate, tranne alcuni exploit, che è stato lo scorso decennio.
Speriamo che l’academy scelga uno di questi film, tutti meritevoli: non resta che augurare buona fortuna.
Ha cominciato a scrivere a 12 anni per il giornale della parrocchia. Poi per qualche strano motivo, è finito a scrivere su Imdi dopo la classica adolescenza complicata. Studente universitario, admin a tempo perso di Matthew Mr. Renzie e appassionato di cinema, musica, serie tv, fumetti, cultura pop e tante altre cose che non stiamo a dire che senno non è più una descrizione dell'autore ma diventa una biografia.
18 Maggio 2017
28 Aprile 2017
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Ha cominciato a scrivere a 12 anni per il giornale della parrocchia. Poi per qualche strano motivo, è finito a scrivere su Imdi dopo la classica adolescenza complicata. Studente universitario, admin a tempo perso di Matthew Mr. Renzie e appassionato di cinema, musica, serie tv, fumetti, cultura pop e tante altre cose che non stiamo a dire che senno non è più una descrizione dell'autore ma diventa una biografia.
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