Con Derna caduta da diverso tempo e Sirte sotto assedio da oltre un mese, la fine della fase territoriale dello Stato Islamico in Libia era questione di tempo, sebbene ci sia voluto molto più tempo del previsto per eliminare determinate sacche di resistenza. Nelle ore successive alla presa di Sirte da parte delle forze del governo tripolino, il governo di Tobruk ha colto l’occasione per avanzare nella “mezzaluna petrolifera” libica, strappando sia alle Guardie Petrolifere che al governo di Tripoli i porti petroliferi di Ras Lanuf, Zueitina, Brega e Sidra. L’attacco è stato condannato immediatamente dal premier del governo di Tripoli Al Sarraj, che l’ha definito come dannoso per la riconciliazione nazionale, ha richiamato le forze a difesa degli impianti ancora in mano al governo riconosciuto ed ha annunciato che verrà preparata una controffensiva volta ad impadronirsi nuovamente degli impianti persi.
Il capo del governo di Tobruk, il generale Haftar, non aveva mai attaccato le aree sotto il controllo di Tripoli da quando il governo di Al Sarraj aveva preso il potere nel marzo di quest’anno, limitandosi a chiedere un ruolo più ampio nel nuovo governo. Le sue richieste sono rimaste inascoltate in quanto non è riuscito a convincere diplomaticamente le forze in campo di meritare un altro status in seno al nuovo governo libico. Nelle dichiarazioni post-offensiva si è rivolto in particolare al governo italiano dicendo che se prima Roma non li stava a sentire ora “ci ascolterà”. Le motivazioni sono da ricercarsi quindi nel lato economico (la possibilità di finanziarsi con i proventi del petrolio) ma anche e soprattutto politici, con l’aumento di peso del governo di Tobruk agli occhi della comunità internazionale.
L’attacco ha coinvolto le difese degli impianti petroliferi, affidate dalla Società Nazionale Libica del Petrolio (uno dei pochi enti statali rimasto in piedi) ai guerriglieri agli ordini di Ibrahim Jidran, un individuo equiparabile al classico “signore della guerra”. Questi ultimi hanno manifestato segni di cedimento negli ultimi tempi, chiedendo mazzette aggiuntive al governo di Tripoli per tenere aperti e funzionanti gli impianti. Durante l’offensiva degli scorsi giorni in molti casi hanno abbandonato le armi senza combattere e senza opporsi seriamente alle forze del governo di Tobruk.
Il governo italiano (insieme al resto d’Europa eccetto la Francia) fino ad ora ha avuto come pressoché unico interlocutore il governo supportato dall’ONU, ma nel caso in cui i militari riescano a tenere le posizioni conquistate in questi ultimi giorni, Tobruk diventerebbe un attore troppo forte sia politicamente che economicamente per essere ignorato, specie considerando che il portavoce Al Thani ha esposto la volontà del governo orientale di riprendere a pieno regime la produzione di petrolio “per poter donare ai libici un tenore di vita consono e dignitoso”.
Nonostante la recrudescenza del conflitto l’Italia ha dato il via all’operazione Ippocrate: sono state trasferite a Misurata circa 300 persone tra medici e militari (in prevalenza paracadutisti) che dovrebbero costruire un ospedale da campo con una capacità di 12 posti letto. L’iniziativa è stata pensata e messa in atto a seguito di una richiesta del governo di Tripoli. Oltre a tale operazione il governo ha stanziato mezzo milione di euro per lo sminamento dell’area di Sirte.
Concludendo, l’offensiva del governo di Tobruk (nel caso in cui questo riesca a trasformare i propri successi militari in peso diplomatico da poter spendere ai colloqui di pace) ha notevolmente incrinato le possibilità di vedere di nuovo una Libia unita: con il supporto dei governi a beneficio di Tripoli e le posizioni salde conquistate da Tobruk e mantenute grazie all’appoggio del governo egiziano la possibilità di vedere una rottura dell’impasse è davvero minima, ma qualche passo avanti si avrebbe se Al Sarraj concedesse un ruolo nel governo ad Haftar, ma anche questa possibilità sembra (ma il condizionale è d’obbligo) sfumata dato il repentino peggioramento delle relazioni tra le parti.
Se scissione deve essere, inoltre, gli scenari principali sono due. Il primo e più probabile prevede due stati: la Tripolitania ad ovest sotto il governo di Al Sarraj e la Cirenaica ad est in mano alle forze di Haftar. Il secondo scenario è più improbabile e prevede lo sfaldamento del paese in tre aree: Tripolitania a nordovest e Cirenaica a nordest con la Fasanìa espansa in tutto il sud. Quest’ultima possibilità appare di difficile realizzazione per l’opposizione delle potenze interessate e per la scarsa forza e coesione di cui sono dotate le tribù Tuareg e Tubu che dovrebbero costituire la forza portante di questo nuovo stato.
Considerando come maggiormente probabile il primo scenario, è interessante notare come i due governi e i loro sostenitori rispecchiano alla perfezione una dicotomia che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ha interessato i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente (la c.d. Area MENA): le forze liberali e democratiche sul piano politico e dei consensi si sono sempre trovate schiacciate tra gli islamisti e i militaristi. I primi, con diverse tonalità e intensità a seconda dei casi, desideravano un ritorno all’applicazione della legge islamica o addirittura auspicavano l’implementazione di una teocrazia. I secondi, invece, sono espressione delle élite militari cresciute ed educate in occidente di cui hanno assorbito i valori (nella fattispecie, quei valori che possono essere assorbiti all’interno di un’accademia militare).
Studente studioso delle Relazioni Internazionali, particolarmente interessato a temi vicini alla Sicurezza (Inter)Nazionale. Orologiaio che cerca di capire il funzionamento di un sistema composto da 7 miliardi di ingranaggi.
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