Il primo videogioco di cui ho memoria è PC Calcio 97: un Football Manager ante litteram, che mi iniziò alle vie calcistiche fin dalla più tenera età. Per qualche ragione la squadra che prendevo sempre era la Roma di Carlos Bianchi. Non perché fossi romanista e di certo non perché si trattasse di una squadra affascinante: quell’anno finì solo dodicesima e solo perché fu guidata alla salvezza da un provvidenziale Nils Liedholm.
Il motivo per cui quella Roma mediocre fosse sempre la mia prima scelta era un ragazzetto che indossava il 17, che partiva dalla panca e che io schieravo da interno di centrocampo al posto dell’illustre (?) Jonas Thern: Francesco Totti.
Prendiamoci qualche momento per riaverci dal trauma derivato dalla raffigurazione mentale di Totti col numero 17, e deleghiamo ad altra sede le spiegazioni per la mia innovazione tattica nello schierarlo tra Di Biagio e Checco Moriero.
Già allora un bimbo di cinque anni, con scarsissime nozioni calcistiche, conosceva abbastanza bene Totti al punto da mal tollerare che facesse panchina: un po’ come il tifoso medio della Roma in questi ultimi anni. Quello che è importante notare è come, già allora, Er Pupone fosse entrato nella enciclopedia tribale del nostro calcio: il classico stop di petto elegante, il cucchiaio, l’inconfondibile dialetto, l’aria sbarazzina, le barzellette, i colpi di testa (in tutti i sensi) sono tutti rimasti impressi nel nostro immaginario.
Il suo modo di vivere la vita e il calcio lo hanno reso un personaggio forse più grande della Roma stessa, che non ha mai avuto una figura del genere tra le proprie file.
Ci sono stati, sì, tanti eroi locali, come Pruzzo, Graziani e Giannini, ma mai un’icona nazionalpopolare del calibro di Totti, che ha legato indissolubilmente il proprio nome a diversi fotogrammi memorabili del calcio italiano.
A ben pensarci, potremmo raccontare la carriera di Totti proprio con dieci istantanee, dieci come il suo numero di maglia, rimaste nella nostra memoria:
“Mo’ je faccio er cucchiaio“, mormora Totti ad un Di Biagio sudato e allibito, ma fortunatamente la palla spiazza impudentemente Van Der Sar.
Degno di nota il CT Zoff, che non ride dal 1985, colto dalle telecamere mentre lancia evidenti minacce al numero 20.
Palla filtrante di Candela (doppio passo e se ne va), Totti controlla di suola e mette a sedere prima il portiere del Torino Bucci, poi Delli Carri e infine anche me. Uno dei goal più eleganti di sempre.
Totti che si destreggia come un leone in mezzo ad almeno sessanta coreani che gli entrano sugli stinchi; il suo sguardo attonito dopo l’espulsione da parte dell’arbitro Moreno, della cui madre l’Italia intera mise in dubbio le abitudini coniugali.
Realizza un rigore, dipinge calcio con Cassano (che mette a segno due reti e una bandierina rotta) e al termine dell’incontro ricorda gentilmente a Igor Tudor il risultato finale e lo invita a dirigersi al più presto verso la propria abitazione.
Dopo un acceso dibattito sociologico col medianaccio danese Poulsen, Totti viene preso dal suo lato dionisiaco e gli sputa in faccia come in un’opera di Verga. La successiva squalifica peserà moltissimo sul destino della nazionale in Portogallo. Sullo sfondo, degno di nota un rarissimo Alessandro Nesta privo di infortuni durante una competizione internazionale.
Cross di Cassetti dalla destra, Totti calcia al volo col sinistro da posizione laterale. Antonioli, per deformazione professionale, spera che la palla vada fuori, ma invano: il tiro è perfettamente incrociato sul lato opposto, alla Van Basten. Anche i tifosi avversari, ammaliati da cotanta bellezza, applaudono.
Rigore regalato a Fabio Grosso a partita finita, sul dischetto va Totti. L’Italia intera è sudata e allibita come un sol uomo (nello specifico come un sol Di Biagio), ma stavolta non je fa er cucchiaio e segna. Il suo ultimo gol in nazionale che vale anche l’accesso ai quarti.
In una partita in cui l’arbitro Tagliavento aveva dimenticato come si usava il fischietto, Totti entra dalla panca visibilmente irritato e prima rifila un pestone al docilissimo Diego Milito, poi un calcione a Mario Balotelli dopo averlo inseguito da centrocampo. Altro esempio di un temperamento non sempre esemplare.
Totti realizza una doppietta, punendo due volte la difesa avversaria su cross, e diventa il miglior marcatore di sempre nel derby capitolino.
Dopo il secondo gol, in mezza rovesciata su assist di Holebas, va sotto la Sud e si scatta un selfie con i tifosi, spezzando il cuore ai numerosi “nostalgici” del nostro calcio.
In un periodo di polemiche (che riguardano anche il suo rapporto con l’allenatore), Totti risolve la partita segnando il primo pallone che tocca e realizzando successivamente un rigore. Spalletti applaude sorridendo. O ringhiando, non è chiarissimo dalle immagini.
Qualunque opinione si possa nutrire su Totti, è innegabile che il calcio italiano non sarà più lo stesso dopo il suo ritiro, sancito dal toccante discorso tenuto qualche giorno fa, al termine della sua ultima partita. È stato un messaggio evidente che il “maledetto tempo” trascorre inesorabile, ma anche che il calcio è in continuo cambiamento. Totti rappresentava, in un mondo di registi che partono in mediana e di attaccanti esterni, l’ultimo grande fantasista in grado di creare e crearsi occasioni partendo da fermo sulla trequarti.
È dunque concesso guardare al futuro col giusto timore che va riservato all’ignoto, ma anche con fiducia.
Non abbiamo perso l’ultima bandiera del calcio italiano: proprio alla Roma c’è ancora De Rossi, che da 13 anni attendeva, come gli eredi al trono inglese, di sedere sul trono e diventare Capitan Presente. Il vivaio nazionale ha diversi giovani in rampa di lancio, pronti a raccogliere l’eredità del Pupone e a declinarla, a modo loro, in questo calcio moderno.
Chi vi scrive non è necessariamente stato un estimatore di Francesco Totti: col senno di poi, tuttavia, non mi pento di averlo preferito a Jonas Thern su PC Calcio 97.
Davide Romeo
29 Maggio 2017
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