“Mi sfottono per l’accento, per i modi, per qualche parolaccia. Se lo dice Valentino Rossi, col suo dialetto, tutti ridono; se lo dico io, sono un coatto, un ignorante, un burino. Forse dispiace che un giocatore importante stia a Roma e non altrove. Il potere del calcio non è un’esclusiva del Nord, ma la musica è sempre la stessa: noi romani siamo viziati, pigri, prepotenti. La pensino come vogliono, io sono nato romano e romanista. E così morirò“.
– Francesco Totti
Genuino e coerente, Totti ha sempre avuto le idee chiare su ciò che voleva essere e rappresentare da grande: un simbolo, per la sua città e la sua gente. Lo strumento per farlo? Il calcio, mondo ipocrita ma dalle immense soddisfazioni. Un piccolo universo nel quale le emozioni e i sentimenti spesso sono oggetto di bullismo mediatico, poiché adesso tra mercenari e interessi il romanticismo non esiste più. O quasi. Perché Roma-Totti è ormai un binomio indissolubile, fatto di luci e ombre, di gioie e dolori, di passioni e sofferenze. E adesso che Totti, all’età di 40 anni, è finalmente “diventato grande”, il suo destino è chiaramente delineato. E ha i colori giallorossi.
Dopo la “dipartita” sportiva di Maldini, Zanetti e Del Piero, Francesco Totti è di fatto l’ultima grande bandiera del calcio italiano. Il suo ritiro testimonierà l’impossibilità atavica di crearne altre, oltre che l’anacronistico tentativo di riemersione di una nostalgia ormai sepolta.
Con ogni probabilità, la stagione 2016-2017 sarà l’ultima di Totti. Il capitolo finale di una fiaba che aveva avuto inizio nel 1989, anno in cui un giovane talentuoso centrocampista offensivo approdò nelle selezioni giovanili giallorosse. Da allora, tra “gavetta” e prima squadra, sono 27 gli anni trascorsi con una sola maglia come seconda pelle. Una maglia che Totti, nonostante tutto, non ha mai voluto abbandonare: desiderio innegabile dei Galacticos madrileni, suggestione invitante per Berlusconi e il suo Milan, Totti ha compiuto una scelta di vita restando a Roma, sacrificando anche un importante pezzo di carriera, molte vittorie, grandi soddisfazioni e forse il Pallone d’Oro. Il suo merito più grande però è stato evidentemente questo: entrare nella leggenda senza mai smarrire la strada di casa.
“Adesso dicono che è stato un mio limite il fatto di non aver mai cambiato squadra. In realtà era il mio sogno fin da bambino. Qui ho tutto e sto bene, si vince poco ma è stata una scelta di vita. Quello che dice la gente non mi interessa, se mi criticano nonostante i miei 200 goal vuol dire che di calcio non capiscono niente”, spiegò lo stesso Totti in un’intervista rilasciata a Sky nel marzo del 2008. E dopo otto anni il sentimento non è di certo cambiato: la Roma è un tatuaggio sul cuore, Totti il suo portabandiera.
Durante l’esplosione atomica di Nagasaki, tutto ciò che vi era intorno fu distrutto senza pietà. Solo una struttura rimase in piedi: il portale del santuario di Sanno, la cui tempra fu capace di resistere persino ad una tale devastazione. La storia di Francesco Totti alla Roma è molto simile: quando tutto il resto è crollato, lui è rimasto in piedi, sempre pronto a ricominciare da capo.
Lo status di bandiera d’altronde deriva proprio da questo: Totti è rimasto quando altri sono andati via, guardando con gli occhi di chi non si tira mai indietro l’abbandono di allenatori vincenti, calciatori talentuosi, dirigenti più o meno competenti e proprietà altalenanti. Sono cambiati moduli, sponsor, regole, padroni. Ma la 10 resta sua. Ed è proprio per questo che Totti, ancora oggi, è l’unico e vero leader della Roma e spesso, per alcuni tifosi, ha persino assunto importanza superiore rispetto a quello del club stesso.
In tanti hanno provato nel corso del tempo a raccoglierne l’eredità: Daniele De Rossi ha ormai smarrito lo status di Capitan Futuro, Alessandro Florenzi nella sua bravura non sembra avere la stessa tempra del Pupone. Nel cuore dei tifosi giallorossi nessuno potrà sostituire la figura dell’attuale numero 10, condottiero e gladiatore di mille battaglie nel corso di questi anni.
Sarebbe in effetti tautologico star qui a fare una lista dei trionfi di un giocatore che, tra le altre cose, ha vinto Scudetto e Mondiale, anche perché molto spesso la grandezza di un giocatore non può essere misurata con il numero di trofei vinti. Meglio invece concentrarsi sul ruolo che forse non troppi riconosco a Totti nell’ambito del calcio italiano, cioè quello di un vero e proprio innovatore: il capitano giallorosso è infatti la rappresentazione calcistica della poliedricità, del sapersi “riciclare” in ogni situazione restando sempre al top.
In carriera Totti ha ricoperto praticamente tutti i ruoli offensivi: ha giocato da esterno, soprattutto ad inizio carriera. Ha dispensato magie ed assist da trequartista, è stato in grado di fare la seconda punta egregiamente come di svolgere attivamente il ruolo di centravanti. A tutti gli effetti è stato proprio Totti il primo “falso nueve”, come faro d’attacco della Roma di Capello e dello Spalletti 1.0, ben prima del concetto introdotto da Guardiola nel suo Barcellona. Addirittura Totti ha giocato da esterno nel 4-3-3 ai tempi di Luis Enrique, arrivando persino a ricoprire il ruolo di mediano nel 4-2-3-1 in situazioni di emergenza. Un’applicazione tattica esemplare, nonostante caratteristiche non sempre a braccetto con la disposizione necessaria sul terreno di gioco.
Più che dal punto di vista tattico, però, Totti è un innovatore soprattutto da quello tecnico. Nessun giocatore possiede la sua qualità nel passaggio di prima, specialmente da fermo. Sia in Nazionale che con la maglia di club è stato protagonista di assist magici, spesso incredibilmente stupefacenti proprio per il coefficiente di difficoltà e l’inumano senso della posizione del calciatore romano. Esempio lampante di quanto è stato detto viene ampiamente rappresentato da un passaggio che manda Vieri in porta verso il 2-0 durante una gara dell’Italia contro la Finlandia. Le parole non servono per descrivere una cosa del genere.
Impossibile, inoltre, dimenticare il vero marchio di fabbrica di Totti: imitato da molti e dallo stesso calciatore, che aveva preso spunto da Panenka, idolatrato da tutti, il cucchiaio è entrato nella storia sin dalla semifinale di Euro 2000 per poi restare impresso nell’eternità, anche nei rarissimi casi in cui il fallimento poteva essere dietro l’angolo (come durante una gara contro il Lecce, con Sicignano che beffò il giallorosso non tuffandosi sul tiro dagli undici metri).
Nel corso della carriera sono stati tanti i paragoni onerosi a cui Totti è stato sottoposto. Il dualismo principale è stato certamente quello con Alessandro Del Piero: i due, che si sono sempre rispettati in campo e che tutt’ora sono amici, hanno vissuto la rivalità in maniera esemplare, dando un grande messaggio di sportività e correttezza.
In molti considerano Totti il più grande calciatore italiano insieme proprio all’ex juventino e a Roberto Baggio. Difficile dire che sia stato realmente il migliore tra i tre, poiché contesti personali e attenuanti non possono che aver modificato i loro percorsi calcistici. Pare però evidente come il romano sia ormai da considerare uno dei più grandi interpreti nella storia del pallone in Italia e nel mondo. Zdenek Zeman, suo allenatore per molti anni nonché mentore del Pupone, rispose in questa maniera alla domanda riguardante i cinque giocatori più forti del mondo: “Totti, Totti, Totti, Totti e Totti”; John Arne Riise, ex terzino della Roma, spiegò invece che “Totti è la cosa più vicina a Dio in una squadra di calcio“.
Ciò che però balza all’occhio è la candida semplicità con la quale Totti sembra accettare questo ruolo, senza però screditare altri giganti del pallone. Ad esempio, parlando di Diego Armando Maradona, Er Pupone disse in un’intervista rilasciata due anni fa a Roma Tv: “È il calcio, è il pallone, come se ci fosse la sua faccia su quella sfera che gira. Quello che ha fatto lui con la palla non l’ha fatto mai nessuno e non lo farà mai nessuno. Ha fatto cose straordinarie, tutto quello che c’era da fare l’ha fatto. L’ho conosciuto e mi emoziona vedere la foto di noi due abbracciati”.
Fuori dal campo il capitano della Roma si è sempre distinto per la bontà delle sue iniziative di beneficenza, manifestando senza marciare troppo sul ritorno pubblicitario il suo animo nobile: attualmente ambasciatore UNICEF, ha devoluto sempre i proventi dei suoi libri in beneficenza e ha partecipato anche attivamente a iniziative riguardo l’adozione di bambini meno fortunati. Molto spesso, però, nel corso della carriera Totti ha mostrato in campo comportamenti da censurare, che rappresentano la più grande critica da parte dei suoi detrattori storici.
L’eccessivo trasporto ha spesso tradito il ragazzo in alcuni momenti passati poi involontariamente alla storia: le tacchettate su Ramelow o le tante espulsioni raccolte nelle competizioni italiane sono un esempio. Impossibile dimenticare, invece, il calcione rifilato a Balotelli in una finale di Coppa Italia persa contro l’Inter e lo sputo a Poulsen durante un Danimarca-Italia di Euro 2004, che gli valse una lunga squalifica e pesò molto sulla successiva eliminazione della Nazionale ai gironi.
Anche con gesti e dichiarazioni spesso Totti non si è fatto amare: sovente il suo atteggiamento da “complottaro” gli è valso l’antipatia di tifosi avversari e addetti ai lavori. Se resta memorabile il gesto del 4-0 rifilato ai bianconeri torinesi durante un Roma-Juventus, alcune parole sono risultate meno illuminate o comunque non troppo conformi ai valori teoricamente promossi dallo sport più bello del mondo. “Nel 2008 la squadra che doveva vincere lo Scudetto era la Roma. Poi per qualche episodio è riuscita a vincerlo l’Inter”, rivelò Totti in un’intervista al Tg1 dell’anno successivo.
Restano impresse nella testa anche le parole pronunciate dopo uno Juventus-Roma molto controverso di un paio di anni fa: “Sono dispiaciuto, quello che è successo ha condizionato la partita, da anni si verificano certi episodi che condizionano le annate. Non so se siamo stati battuti dall’arbitro, sicuramente non dalla Juve. Con le buone o con le cattive vincono sempre. Le immagini parlano chiaro. Tutta Italia dovrebbe dire questo. La Juve dovrebbe giocare un campionato a parte, ogni anno è così. Tanto arriveremo ancora secondi”.
In questi primi 40 anni della sua vita Francesco Totti ha irrimediabilmente cambiato il modo di fare e vedere il calcio in Italia. Il suo talento è come una Cometa di Halley, l’amore per la squadra e per la città resteranno un pezzo di storia indelebile per i destini di chi ha avuto il piacere di vederlo giocare. Eroico nonostante le difficoltà, Totti ha scritto un racconto che senza fronzoli bada soltanto ai sentimenti e lascia indietro tutto ciò che può essere considerato collaterale, superfluo, inutile.
Entrato di diritto nella cultura pop del nostro Paese, stimato come simbolo nelle altre nazioni calciofile della Terra, Francesco Totti a 40 anni forse guarda indietro e ammira l’impero che è stato in grado di costruire, con tutti i suoi sudditi pronti a rispettarlo. Perché proprio il rispetto è la prima forma conosciuta d’amore. E allora lunga vita al Re. Lunga vita a Francesco Totti.
2 Giugno 2017
29 Maggio 2017
10 Ottobre 2016
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