Clint Eastwood, attore e regista di fama mondiale, è uno di quegli artisti che nei primi dieci anni del nuovo millennio ci ha regalato delle perle cinematografiche indiscusse. In un decennio segnato da commedie e parodie come Scary Movie (2000) e American Pie (1999) – le quali, insieme, hanno portato a ben undici altre tragedie – sono ben due i film indimenticabili del registra americano: Million Dollar Baby (2004) e Gran Torino (2008). Chiaramente non si può dimenticare Mystic River (2003), né si possono tralasciare i due film sulla battaglia di Iwo Jima: Flags of Our Fathers (2006) e Lettere da Iwo Jima (2006). Il vecchio regista cade alla fine degli anni 2000 con un flop, Hereafter, nel quale fatica a dirigere un Matt Damon non in piena forma, e attraverso il quale si comprende come il fantastico non sia proprio il suo genere. Azzardata la scelta di produrre un film così diverso dal suo standard, ma senza dubbio lodevole il tentativo di dirigere una nuova tipologia di film all’età di ottant’anni.
Ma qual è lo standard eastwoodiano? In una parola: l’Eroe. In quasi ogni film del regista sono presenti uno o più eroi, i quali – pur essendo spesso controversi – alla fine fanno la cosa giusta, salvando la situazione o comunque compiendo gesta memorabili.
Clint Eastwood non ha mai nascosto la sua preferenza politica: il suo partito è sempre stato quello Repubblicano. Nixon è stato il primo presidente che il regista ha sponsorizzato, e negli anni la sua idea non è cambiata, fino a sfociare – nelle elezioni di quest’anno – in una preferenza per il neo eletto presidente Donald Trump. Il patriottismo è una caratteristica fondamentale di Clint Eastwood: in ogni suo film è presente. Possiamo vedere, per esempio, come in American Sniper si raggiunga il massimo ideale americano, giustificando addirittura le uccisioni del cecchino più letale d’America – tra cui anche quella di un bambino e di sua madre. Il film, insomma, veicola l’idea che gli americani – in Iraq e Afghanistan – uccidessero per esportare la democrazia e per proteggere il loro paese dal male, senza però considerare che erano stati proprio loro a invadere questi paesi. Addirittura questo sentimento è enfatizzato rispetto al libro, dove la first kill del cecchino non è quella di un bambino, anzi: egli ci tiene a precisare che non ha mai ucciso bambini. Il finale, invece, ci porta una carrellata di bandiere americane, patriottismo ed esaltazione militare. Sì, perché “L’America ci tiene ai propri eroi”.
Successivamente – 2016 – il bersaglio si sposta su un altro eroe nazionale, che al di fuori degli USA è praticamente sconosciuto. Il fatto che ci viene mostrato è risalente al 2009, quando il capitano e pilota di un volo in partenza da New York si vede costretto a un atterraggio d’emergenza nel fiume Hudson per via di una collisione con uno stormo di uccelli e per il successivo danneggiamento di entrambi i motori dell’aereo. Il pilota è niente meno che Tom Hanks (Forrest Gump, Cast Away), il quale, tinti i capelli di bianco, è l’indiscusso eroe del film. Il capitano Sully, soprannome di Chesley Sullenberger, pilotava il volo US Airways 1549 nel giorno 15 gennaio 2009, e fu costretto a effettuare un atterraggio d’emergenza con il suo Airbus A320, salvando così tutti i 155 passeggeri, compreso il personale di bordo. Il co-protagonista della vicenda, Aaron Eckhart (Il cavaliere oscuro, Ogni maledetta domenica), interpreta il ruolo di Jeff Skiles, copilota del volo.
L’intero film si svolge come un flashback, attraverso cui si può rivivere esattamente come sono accaduti gli eventi di quella giornata. Non manca una critica su come la compagnia aerea e la compagnia assicuratrice accusarono i due piloti del danneggiamento doloso dell’aereo. Le compagnie erano convinte del fatto che Sully fosse vecchio e oramai vicino al pensionamento, e potesse dunque aver commesso un errore dovuto alla mancanza di lucidità: arrivarono a sostenere che sarebbero potuti, invece che atterrare in un fiume, tornare indietro all’aeroporto internazionale di New York. L’intero film verte sul fatto che Sully, invece, è un pilota straordinario che ha optato per una scelta estremamente azzardata e rischiosa, la quale tuttavia si è rivelata quella corretta. Il pilota si difende infatti ad ogni inchiesta, sia quella interna alla compagnia, sia quella durante un processo pubblico nel quale viene dimostrata la sua totale innocenza, ma soprattutto la sua estrema bravura e talento nel pilotaggio.
La figura di un eroe è molto importante in questi tempi: un uomo che riesce a far prevalere la sua esperienza rispetto al pilota automatico, che fa scelte difficili, ma efficaci. La potenza degli eroi è – ed è sempre stata – fondamentale. Le persone, soprattutto nei momenti di difficoltà, hanno bisogno di qualcuno che le salvi. Un esempio importante sono i politici. Proprio Trump, ad esempio, viene visto dal suo elettorato come un eroe, l’unico a poter sostenere il grande compito: “Make America Great Again”. Chiaramente non si possono paragonare i due personaggi, ma è importante vedere come, proprio in America, si enfatizzino spesso queste figure.
Questo film, oltre a presentare una storia scadente e piuttosto fine a se stessa, si percepisce come se fosse uno spot pubblicitario, fatto solo per promuovere la qualità e la bravura americana. Tutto si riduce al patriottismo: la guardia costiera salva i passeggeri in tempo record, il pilota fa la mossa che nessun altro avrebbe fatto, si assicura che tutti siano salvi e tutti vissero felici e contenti. Manca quasi completamente il pathos, soprattutto. Indubbiamente la scena della collisione in acqua tiene sulle spine, ma sapendo già come finisce la storia reale non ci si sconvolge più di tanto. La cosa fa pensare che il film si sarebbe potuto sviluppare maggiormente sul tentativo di raggiro delle compagnie, invece nemmeno questo: il tema è quasi tralasciato, dato che il pilota risponde sempre tenendo testa negli interrogatori. Probabilmente sarebbe stato diverso se il film fosse stato più incentrato sul tema del pilota: i suoi sentimenti, le paure, le emozioni, le esperienze passate e magari qualche flashback di inizio carriera. Quest’ultimo effettivamente c’è, ma veramente breve e per nulla esplicativo.
L’esaltazione della figura del pilota viene lasciata a un Tom Hanks molto al di sotto delle sue capacità attoriali. La performance che regalò in Salvate il soldato Ryan fu assolutamente magistrale: bilanciò la paura del personaggio con la necessità dello stesso di essere un leader. Qui, al contrario, è quasi banalizzato, e in più scene sembra interdetto e non molto credibile. Si ha quasi l’impressione che anche lui sappia già come andrà a finire la storia. L’unico momento quasi credibile si verifica quando i due piloti, riascoltando il dialogo contenuto nella scatola nera, hanno bisogno di un momento per distendere la tensione che hanno appena rivissuto. La scena calza a pennello, forse perché anche nella realtà successe così. Oppure, ancora, quando il pilota vede le immagini dell’aereo che cade tra i grattaceli di New York: indubbiamente una scena dal forte impatto e sicuramente azzeccata. Avviene però in troppi punti che le emozioni, che sarebbero servite a rendere il personaggio più autentico e umano, manchino clamorosamente.
Concludendo, bisogna constatare che l’ultima fatica di Clint Eastwood è un po’, quantomeno nei fini, fallimentare. Si può apprezzare il lavoro di ricostruzione e la sua voglia di promuovere il suo paese, ma purtroppo manca la sostanza. Siamo ben lontani dal Kowalski di Gran Torino, che ancora cova in cuore lo spettro delle sue azioni compiute in Corea e che si redime salvando i suoi innocenti vicini di casa. E siamo ben lontani pure dal Frankie di Million Dollar Baby, che si dispera quando vede la sua atleta – quasi la figlia che avrebbe sempre voluto avere – morire. Che sia la fine del Clint Eastwood che conoscevamo?
Nato nel 1991, vivo in Germania, scrivo articoli su IMDI per passione.
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Nato nel 1991, vivo in Germania, scrivo articoli su IMDI per passione.
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