(Marchetta: questo articolo è stato di ispirazione al mio ebook “Un Gaijin in Giappone”, tra il diario di viaggio e e l’epopea demenziale. Se vi interessa, lo trovate a 2.99€ su tutti gli store di ebook).
Come probabilmente saprete, visto che sono andato avanti a menarla per mesi (che senso ha fare un viaggio figo se poi non te ne vanti?), sono da poco tornato da due settimane a zonzo per il Sol Levante.
Risparmiandovi l’esperienza post-adolescenziale del diario di viaggio e di tutte le kose fike che ho fatto e che voi non farete mai, preferisco ragionare in senso induttivo, partendo dal particolare per arrivare al generale, sulla società giapponese, sulle sue stranezze e le sue contraddizioni, che indubbiamente, ancora più di anime, manga e videogiochi, racchiudono molto del fascino del Giappone agli occhi di così tanti occidentali.
Cessi – Le leggende più o meno fondate sui WC giapponesi ultratecnologici sono note un po’ a tutti. Non lo nego, tra le mie prime curiosità da appagare sul Giappone i cessi erano in pole-position. E, dopo una ricerca effettuata in diverse abitazioni private e locali pubblici, da una parte posso confermare l’inquietante presenza di svariati tasti a corredo della quasi totalità dei troni di ceramica nipponici, dall’altra mi duole constatare che molte delle voci a proposito sono probabilmente esagerate. La killer application dei WC in Giappone è il washlet, un getto d’acqua regolabile che funge da sostituivo al bidet (e pertanto risulta estremamente comodo). Per il resto, le funzioni più bizzarre che ho avuto modo di sperimentare sono un rumore finto di sciacquone, utilissimo nel momento di sgancio del “dirigibile marrone”, e un relativamente bizzarro dispositivo di pulizia della tavoletta. Purtroppo niente di drammaticamente esotico.
Costo della vita – Tra i luoghi comuni sul Giappone, uno dei più diffusi è che sia un posto carissimo. Dal momento che questo nei fatti non è assolutamente vero, penso che sia in parte un’eredità della bolla economica degli anni ’80, quando il Giappone sembrava destinato a fagocitare l’economia mondiale e l’affitto di un trilocale a Tokio faceva a gara col pil di una nazione africana, e in parte una leggenda metropolitana diffusasi in seguito alle inculate prese da turisti ingenui che si fanno imbonire da una fanciulla e finiscono per spendere mille dollari per un drink in un bar della yakuza. In realtà, con un minimo di buonsenso, la vita in Giappone costa sorprendentemente poco per l’occidentale medio, considerate anche le ottimo promozioni che si trovano in giro; in quasi tutti gli izakaya, i pub giapponesi, ci sono offerte all you can eat e/o all you can drink davvero interessanti, per non parlare delle sale giochi con free play per tempo illimitato o il Japan Rail Pass per spostarsi in treno a prezzo fisso.
Anime e manga – Un otaku occidentale, come ho scritto in questo articolo sui giappominkia, si aspetta di trovare nella società giapponese un perfetto corrispettivo di quello che ha “imparato” su di essa dai manga e dagli anime. Beh, per quanto mi costi fatica ammetterlo, spesso è proprio così. Ovviamente l’immaginario culturale dell’animazione nipponica la fa da padrone nei luoghi espressamente dedicati al culto degli eroi e (più spesso) delle eroine bidimensionali, come Akihabara a Tokio, Nipponbashi a Osaka, i negozi dell’usato o di noleggio, le sale giochi, i karaoke e quant’altro. Tuttavia, come presto ci si accorge, prima con divertimento e poi con un certo sgomento, ti ritrovi i personaggi degli anime in qualunque prodotto da supermercato, nella pubblicità, nei volantini informativi e salcazzo cos’altro. Per un turista tutto ciò è molto figo, ma mi chiedo se dopo un po’ uno non si rompa un po’ il cazzo di vedere la pur gnocca tipa di Vocaloid in tutte le salse.
Lingua – La cattiva notizia è che i giapponesi, con qualche eccezione, sono un disastro con l’inglese: anche tra i giovani è raro incontrare qualcuno che lo parli decentemente. Quella buona è che l’anglofobia del nipponico medio non è un ostacolo per un turista: se nei negozi basta fare finta di ascoltare la profusione di ringraziamenti dei commessi buttando lì un “hai” o un “arigato gozaimasu” quando capita per concludere le transazioni, e nei ristoranti spesso basta indicare l’immagine della pietanza desiderata sui coloratissimi menù, anche in contesti sociali come i pub non è difficile intavolare una bozza di conversazione, spesso estremamente divertente, nonostante l’inglese stentatissimo dei giapponesi (l’alcool diminuisce le inibizioni, come dovreste ben sapere).
Konbini – I convenience store, “konbini” nello slang dei più ganzi tra gli autoctoni, non sono altro che gli onnipresenti minimarket, che nell’immaginario urbano italiano stanno a metà tra l’edicola, la latteria e il “paki”. Beh, che cosa rende i konbini un prezioso punto di riferimento durante la vostra permanenza in Giappone? Il fatto che sono letteralmente ovunque (Seven Eleven e Lawson le catene più diffuse) e permettono di soddisfare il 99% delle vostre esigenze 24 ore su 24 (evidentemente in Giappone i sindacati rompono poco i coglioni). Nei konbini trovate, a prezzo abbordabile, snacks di vario genere (immancabili gli onigiri, ma dopo una serata come si deve il karaage, pollo fritto alle erbe, è un must), bevande, alcolici, sigarette, manga, pornografia e altri beni di prima necessità. Non mancano poi mai il bancomat internazionale (ocio però che le mastercard spesso hanno problemi, informatevi prima di partire) e un cesso (pulito) a disposizione. Che altro si può volere dalla vita?
Regole sul fumo – Nelle città giapponesi è in teoria proibito fumare per strada, è possibile farlo solo in prossimità di un posacenere pubblico o in apposite zone. Da fumatore, trovo ciò giustissimo e appropriato per un paese civile e pulito come il Giappone, se non fosse per il fatto che in molti luoghi pubblici, come ristoranti, pub o sale giochi, è tranquillamente possibile fumare in mezzo alla gente. Questo fatto crea situazioni del tutto paradossali, come dover entrare in un posto chiuso se si ha voglia di una paglia e non si trova un area per fumatori in giro. Vabbè.
Razzismo – Altro classico dei luoghi comuni sul Giappone, c’è chi presenta i giapponesi come un popolo estremamente xenofobo e ostile ai gaijin (appellativo di fatto non denigratorio, che equivale al nostro straniero), mentre altri parlano di grande rispetto se non persino di venerazione per i caucasici. Come spesso accade in questi casi, la mia impressione è che la verità stia nel mezzo: è indubbio che l’uomo (o donna) occidentale sia qualcosa di esotico per il giapponese medio, soprattutto fuori dai posti smaccatamente turistici e quindi infestati da americani e australiani. L’atteggiamento degli autoctoni nei miei confronti mi è sempre parso in bilico tra la diffidenza e la fascinazione; se a volta è capitato che gli occhi a mandorla preferissero stare in piedi piuttosto che sedersi di fianco a me sul treno (forse semplicemente a causa della mia eccessiva sudorazione, l’umidità delle estati giapponesi è una brutta bestia), in altre occasioni i nipponici si sono dimostrati genuinamente entusiasti del mio essere gaijin riempiendomi di domande in inglese sgrammaticato e trattandomi con genuino (o almeno, così pareva) rispetto.
Beh, se queste quattro storielle sul Giappone non vi sono bastate, state tranquilli che continuerò a menarvela sul mio viaggio per un altro paio di articoli.
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