Quando, mercoledì sera, la stampa ha diffuso la notizia della morte di Ezio Pascutti, un velo di tristezza è calato su Bologna, ancorché illuminata dalle luci di Natale che ne decorano le strade in questo periodo dell’anno. La maggior parte di coloro che sono rimasti sbigottiti davanti agli articoli dei giornali e ai servizi di qualche emittente locale non ha nemmeno fatto in tempo a vederlo giocare. Ma questo non è importante. Perché, se vivete a Bologna, sulla parete di casa di qualche amico, sulla scrivania di un ufficio o in bella vista dietro il bancone di un bar, avete certamente visto almeno una volta quella foto di Pascutti. Magari non ci avete fatto caso, magari sì. E se per caso aveste chiesto chi era quel signore immortalato dopo un colpo di testa a meno di un metro da terra, questa è la storia che vi avrebbero raccontato.
Pascutti arriva a Bologna nel 1955, diciassettenne nato e cresciuto nella provincia di Udine. Qui resterà per tutti e quattordici gli anni della sua carriera, segnando 130 reti in quasi 300 presenze. E anche dopo, appesi gli scarpini, non abbandonerà mai la città cui diede tanto e che in cambio lo amò più di ogni altro. Più d’ogni altro, letteralmente, perché nel 2000 i tifosi rossoblu lo elessero giocatore più amato nella storia del club. Ritirando il premio, visibilmente commosso, dirà:
“Penso che una soddisfazione così non la proverò mai più. Io sapevo che i bolognesi mi volevano bene, ma non pensavo fino a questo punto.”
Sul volto, il sorriso che è un po’ la sua firma. Perché di Pascutti, oltre alla straordinaria abilità da rapinatore d’area, che gli consentiva di apparire d’improvviso esattamente dove la situazione lo richiedeva, si ricorderà un particolare piuttosto bizzarro: spesso, prima ancora di colpire il pallone e poi seguirlo con lo sguardo mentre finiva inesorabilmente in rete, Ezio sorrideva.
Nell’arco della stagione ’63-’64, nelle chiacchiere quotidiane dei bolognesi, resi scettici da più di vent’anni di campionati a medio-bassa classifica dopo l’ultimo scudetto, inizia a comparire con sempre più insistenza un elenco di nomi, mandato a memoria come una filastrocca: è la formazione della squadra cittadina, rilanciata tra i primi posti della Serie A da mister Fulvio Bernardini. Nei suoi tre anni sulla panchina del Bologna, Bernardini, che ha già vinto un campionato con la Fiorentina nel ’56, ha creato una squadra capace di incantare davvero, segnando goleade come quella inflitta al Modena in un derby finito 7-1. In quella partita, Pascutti ne insaccò tre. Correva l’anno ’62, e già allora, come premonendo l’imminente ritorno alla gloria del Bologna, Bernardini commentò con queste parole l’esito del derby:
“Così giocano soltanto gli angeli lassù in Paradiso.”
Il 7 giugno 1964, in un rovente stadio Olimpico, va in scena lo spareggio-scudetto contro l’Inter campione d’Europa. Il Bologna vince 2-0. Pascutti è infortunato, quella partita non la gioca. Ma nella filastrocca che ancora si tramanda di generazione in generazione tra i tifosi bolognesi, il suo nome c’è. Ed è per questo che un’intera città, anche chi lo conosce come un cortese signore che per quarant’anni anni ha calcato non campi di calcio, ma le vie del centro, si augura che davvero adesso Ezio giochi in Paradiso.
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