Alfred Nobel, quando all’inizio del Secolo breve inventò il premio, stipulò che questo andasse alla «persona che si fosse distinta nel campo della letteratura producendo il miglior risultato possibile in una direzione ideale». Ecco, ufficialmente Bob Dylan ha vinto perché «ha creato una nuova forma di espressione poetica per quel che riguarda la grande tradizione compositiva nella musica americana». Questo è un fatto indubbiamente vero, ma qui il punto è un altro: siamo sicuri che questo abbia a che fare con la letteratura?
Due discipline come la Storia della scienza e la Filosofia del linguaggio, nonostante l’apparente austerità, partono da un assunto molto semplice e allo stesso tempo molto importante: viviamo nel confronto. Non vi è scienza senza una comunità scientifica né esiste un linguaggio senza qualcuno che lo parli e lo decifri di volta.
Hölderlin scrive che «Molto ha esperito l’uomo. Molti celesti ha nominato da quando siamo un colloquio e possiamo ascoltarci l’un l’altro» ed in fondo il senso di dare una definizione alle cose è proprio questo: poter confrontarsi, comprendersi.
Nessuno direbbe mai, nell’italiano corrente, che un cardiochirurgo è qualcuno che vende il pesce; semmai tutti saremmo d’accordo che la figura del cardiochirurgo serve a salvarci a 50 anni da una vita di abusi operandoci al cuore e installando un pace-maker e sturando le arterie. Allo stesso modo, tutti dovremmo essere d’accordo che la letteratura è quella cosa che si legge.
Nessuno mette in dubbio i risultati raggiunti da Bob Dylan (testimoniati, tra le altre cose, da 15 Emmy vinti su 46 nomination); nessuno qui si sta chiendendo: «Bob Dylan è davvero così fico?» quanto: «Avevamo bisogno di un Nobel per dircelo?»
Qualcuno obietterà che se, per definizione, la letteratura è ‘quella cosa che si legge’ allora potremmo comunque leggere i suoi testi. No, non funziona così. Concentrarsi esclusivamente sul testo di qualsiasi brano musicale è amputarne le intenzioni artistiche e non poter comprendere il “disegno” per il quale questo è stato pensato.
Certamente nessuno può vietarvi di leggere i testi dei vostri artisti preferiti, ma riconoscerete che se non si tiene conto della modulazione della voce, del tema musicale che accompagna il tutto, dell’atmosfera che questi due elementi insieme intendono suscitare.
Cosa sarebbe “Un ottico” di De André senza la psichedelia della sua composizione? Probabilmente qualcosa di molto simile al guardare la foto della tipa sognando di limonarci senza averlo mai fatto prima.
Certo, entrambi i media considerati utilizzano delle parole ma non tener conto della forma e del contesto in cui queste vengono usate è sicuramente un errore che sminuisce entrambi queste forme di espressione artistica.
Infine, per fare un esempio, quando Wislawa Szymborska vinse il premio Nobel per la letteratura aveva 70 anni ed era praticamente sconosciuta al mondo. Alla data della sua morte, il primo febbraio 2012, le sue poesie erano già state tradotte in molte lingue europee, in ebreo, giapponese e cinese. Non sta qui discutere l’ironia, la grandezza e la delicatezza unica che contraddistingue l’opera di una poetessa simile. Quel che bisogna sottolineare è che, forse, assegnando il premio Nobel per la letteratura a un’icona pop (per quanto influente) sa di “occasione sprecata”. Forse non conosceremo mai un altro scrittore grande quanto Szymborska.
Sappiamo già che Bob Dylan è un genio, ma non impariamo niente di nuovo dicendo che sì, molto bravo, abbiamo trovato lo Shakespeare del Rock and Roll.
Il Nobel è, in tutta onestà, un’occasione per far conoscere al mondo qualcuno che ha dedicato la sua vita a mettere delle parole su carta.
Un’occasione che, questa volta, è stata sprecata.
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