Domenica 29 gennaio si è tenuto il secondo turno delle primarie della coalizione a cui appartiene il Partito Socialista francese, il partito di sinistra che al momento esprime il governo e il Presidente della Repubblica François Hollande, il quale non si è presentato alle primarie compiendo un gesto di responsabilità data la scarsa popolarità dell’attuale governo. Il gesto doveva servire anche a favorire la corsa di Valls che è riuscito ad arrivare al secondo turno per poi essere sconfitto con ampio margine dal candidato radicale Hamon (58 a 42), rappresentante dall’ala più estrema del partito.
Hamon si assicurò anche il primo turno delle primarie della Bella Alleanza Popolare, svoltosi il 22 gennaio, con il 38% dei voti. Al secondo posto si piazzò il primo ministro Valls con il 31% e al terzo l’ex ministro dell’economia Montebourg con il 17%. A seguire con percentuali inferiori al 10% l’ex ministro dell’istruzione Peillon, l’ecologista de Rugy e Sylvia Pinel, unica donna candidata alle primarie. Tutti i candidati sconfitti tranne Peillon hanno chiesto di supportare Hamon al secondo turno, sintomo anche di quanto il partito socialista francese stesse invocando un cambiamento di rotta sollevando istanze che partivano dalla propria base.
Il dato più importante che esce da queste primarie probabilmente è proprio questo: il candidato espresso dalla dirigenza del partito è stato sconfitto dall’outsider che è riuscito ad accattivarsi le simpatie dell’elettorato e a portare a casa la nomination socialista all’Eliseo. Hamon ha basato il suo programma su punti forti che Valls ha definito “utopici”: orario di lavoro a 32 ore settimanali, reddito di cittadinanza e tassa sui robot per le imprese. Hamon è stato da più parti definito come il “Sanders alla francese” e ha impostato la sua campagna sul motto “far tornare a battere il cuore della Francia”, basandosi su una retorica finalizzata a porre le distanze tra sé e l’attuale governo francese, disastroso sotto il punto di vista del consenso.
Guardando alle elezioni del 23 aprile (secondo turno fissato il 7 maggio) appare drammaticamente chiaro come tra l’establishment del partito Socialista e i suoi elettori vi sia una netta cesura dovuta probabilmente al fatto che i primi non riescono ad interpretare adeguatamente i bisogni e i desideri del proprio bacino elettorale. Hamon si è inoltre espresso su posizioni abbastanza estreme per quanto riguarda le proprie politiche e questo rischia di far perdere alcuni pezzi al Partito Socialista: alcuni dirigenti hanno già ventilato l’ipotesi di appoggiare il centrista Macron, precedentemente affiliato con il partito di sinistra e poi fuoriuscito per creare il proprio partito (En Marche, “In Marcia”), schierato su posizioni moderate e che intende portare tra i suoi elettori anche gli elettori socialisti delusi dalla sconfitta di Valls.
Con molta probabilità il futuro presidente francese non sarà Hamon, data la forza che sta acquistando Macron e il capitale elettorale messo da parte da Fillon e dalla Le Pen. Queste primarie hanno evidenziato una volta di più l’evidente crisi del partito Socialista in Francia, dovuta alla cattiva gestione della crisi economica e della crisi valoriale che sta attraversando la Francia. I risultati di queste primarie sono la migliore evidenza che il voto in tempi di crisi tende a polarizzarsi: i Repubblicani hanno scelto Fillon rispetto a Juppè e per i Socialisti è avvenuta la medesima cosa, con l’unica differenza che, al contrario del caso repubblicano, la dirigenza del partito è essenzialmente rimasta a guardare.
Per approfondire: Francia: il quadro a tre mesi dalle elezioni presidenziali
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