Mancano tre mesi alle elezioni presidenziali francesi che si terranno il 23 Aprile prossimo; a pochi giorni dalle primarie della gauche il quadro politico sembra delinearsi con sempre più precisione.
I socialisti sono in crisi, su questo tutti i sondaggi concordano; il partito esce da un quinquennio di governo non certamente facile, tanto che l’attuale Presidente della Repubblica, François Hollande, ha deciso di non ricandidarsi e di lasciare campo libero agli altri.
I candidati ammessi alle primarie (aperte anche ad altri partiti della sinistra, oltre al PS) sono sette: Manuel Valls è sicuramente il nome più noto, primo ministro fino a poche settimane fa (dimessosi a dicembre proprio per candidarsi), seguono Jean-Luc Bennahmias, François de Rugy, Benoît Hamon, Arnaud Montebourg, Vincent Peillon e Sylvia Pinel, unica donna. Persone provenienti da ambienti diversi, ma con una base politica molto simile.
La linea che è emersa dai due dibattiti televisivi della scorsa settimana è quella di mantenere il più possibile un basso profilo. La discussione c’è, alcune differenze ideologiche anche, ma nessuno vuole esporsi troppo; la sinistra sa di essere in svantaggio e non vuole dare un’immagine di sé divisa. Sembrerebbe che, più che la candidatura alle presidenziali, ci si stia giocando la leadership della coalizione.
Il dibattito si è concentrato soprattutto sul tema del “reddito universale” (il nostro reddito di cittadinanza), proposto da Hamon e appoggiato solamente da Bennahmias, mentre gli altri candidati si sono detti contrari a tale riforma.
Quando si è trattato, poi, di fare un’analisi più accurata del mandato governativo di François Hollande, Valls, si è trovato accerchiato dalle critiche degli altri. L’ex premier francese ha avuto il duro compito di difendere il suo operato al governo e, allo stesso tempo, fare nuove proposte.
La continuità con la linea di governo di Hollande non trova consensi tra i cittadini francesi e nessuno dei candidati, neanche Valls, sta basando la campagna elettorale sulla difesa dell’attuale governo.
Intanto, sul fronte della destra i sondaggi danno Marine Le Pen al 26% ancora in testa, ma in calo rispetto al passato.
La sua campagna elettorale si aprirà il 4 e 5 febbraio a Lione e la leader del Front National sembra pronta ad una battaglia all’ultimo voto. Il dubbio resta su chi sarà il suo avversario.
François Fillon, uscito vincente dalle primarie del Partito Repubblicano, sembrava essere l’unico in grado di poter sfidare Marine Le Pen. Cattolico, conservatore, contrario ai matrimoni omosessuali e vicino alle posizioni dell’estrema destra. Fillon propone una rivoluzione conservatrice in una degli Stati sociali più vecchi del mondo, ma lo fa con modi pacati e il suo viso pulito per cui si presenta come “l’alternativa moderata”. Strizza gli occhi a quegli elettori di destra che non sono ancora pronti per fare il “salto” che li porterebbe a votare per un partito come il FN che, nonostante la tentata “normalizzazione” degli ultimi anni, nell’opinione pubblica francese continua ad essere il partito di estrema destra per antonomasia.
Fillon sta però facendo fatica a far decollare la sua campagna elettorale, per cui, grande sorpresa di queste elezioni francesi potrebbe essere Emmanuel Macron. Candidato indipendente, trentanovenne, ex banchiere, ex consigliere di Hollande ed ex ministro dell’economia.
Il suo movimento En Marche!, che egli definisce né di destra, né di sinistra, ai francesi sembra piacere. Alcuni sondaggi lo danno tra il 16 e il 20%, il che vuol dire che, in caso di calo dei consensi su Fillon, potrebbe essere lui lo sfidante di Marine Le Pen al secondo turno.
Macron si sta facendo strada tra la gente, sfruttando il vuoto lasciato dai partiti maggiori, rivelatisi deludenti. Si rivolge a quella fetta di elettorato di sinistra “progressista” che, deluso dalla gauche tradizionale, cerca un’alternativa nel “liberale di sinistra”.
Il dato che tutti danno per certo è l’astensione che seguirà il trend degli ultimi anni. Sempre meno francesi andranno a votare e questo sbilancerà la situazione elettorale a favore dei partiti più estremisti, lontani da quelli tradizionali.
I francesi, come gli Statunitensi e gli inglesi che hanno votato per Trump e Brexit, cercano un cambiamento. L’establishment tradizionale non riceve più consensi, gli elettori sono stufi dei vecchi politici e degli scandali che si portano dietro (non ultimo: i presunti finanziamenti illegali per la campagna elettorale di Sarkozy del 2012).
Le forze antisistemiche premono anche alle porte dell’Eliseo, sarà di nuovo l’elettorato a dover decidere se farle entrare o meno.
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