Amici dell’internet, è estate e molti di voi han probabilmente seguito la grande migrazione delle droghe spinellabili verso il Salento. Altri di voi, invece, sono costretti ad apprezzare sandali ortopedici pur di rimorchiare quella vostra amica così sensibile nei confronti delle prime pellicole russe o fare più volte il giro delle rotonde a Marina di Ravenna aspettando di incontrare la tedesca giusta, è capitato a tutti, anche l’estate ha una propria routine. Cosa ci impedisce di vivere il tutto in maniera non-alienante? Qualcuno di voi dirà la buona compagnia, altri le droghe leggere, noi (che siamo qui a scrivere di dischi del mese) diciamo la musica. Ecco quindi una serie di dischi usciti recentemente che non potete perdere.
Guè Pequeno & Marracash – Santeria
La bolla del rap che va di moda a tutti i costi si sta inesorabilmente (e finalmente) sgonfiando, il rap in Italia è stato sdoganato (almeno tra i giovani e le pubblicità pensate per i giovani) e così, consci di tutto questo, due dei rapper più forti della penisola hanno deciso di unirsi in un disco che si aspettava da anni. Il risultato, vagamente ispirato dal Sud America (dove il disco è stato effettivamente scritto), si presenta benissimo sin dall’inizio e continua in salita fino a “Cantante italiana”, spartiacque del disco che anticipa “Instalova”: singolone estivo del disco. Da lì, troviamo ancora un paio di buoni episodi come “Tony” e “Film senza volume”. Santeria è un disco in cui i due non hanno paura di confrontarsi con le sonorità più attuali e dare la propria personale interpretazione, da gamechanger quali sono stati. Tra un Guè Pequeno in stato di grazia e un Marracash capace di scrivere per immagini efficacissime (In “Salvador Dalì” su tutte), una delivery sempre “on point” e una rosa di produttori eccezionali, Santeria si attesta tra le uscite più rilevanti dell’anno. (Raffaele Lauretti)
Swans – The Glowing Man
The Glowing Man è l’ultima, colossale fatica degli Swans: un doppio album di quasi due ore che lascerà sicuramente soddisfatti i fan della band americana.Un lavoro sperimentale sulla falsa riga dei dischi precedenti di Gira e compagni, The Glowing Man sembra rivestito di un’energia nuova e oscura, con atmosfere che ricordano il kraut rock spaziale dei Tangerine Dream e cori da canti gregoriani. I brani sono appena otto, tre dei quali della durata superiore ai venti minuti: ognuno di essi è un inesorabile crescendo di tensione che accompagna l’ascoltatore di brano in brano. A differenza dei loro ultimi lavori, dove la band faceva di intensità e violenza i loro marchi di fabbrica, in The Glowing Man sembra emergere una concezione della musica più rarefatta, ma non per questo meno angosciante e sofferente. Una delle tracce più convincenti del disco è “When Will I Return?”, un’oscura ballata in cui la moglie di Gira, Jennifer, racconta di essere stata stuprata: alla luce delle accuse di violenza sessuale mosse allo stesso Gira, questo brano si contorna ancora di più di un’aura inquietante e spettrale.
Se questo, come annunciato in precedenza, dovesse essere veramente l’ultimo album degli Swans con questa formazione, allora lo si può accogliere come un ottimo addio, in attesa di ascoltare cos’altro Gira sarà in grado di tirare fuori dal cilindro. (Vittorio Comand)
The Strokes – Future presente past
Il nuovo ep dei The Strokes è composto da tre canzoni, che rappresentano rispettivamente il futuro, il presente e il passato della band (da qui il titolo). Il sound cambia quindi da canzone a canzone, seppur rimanendo sempre facilmente riconducibile alla visione musicale di Julian Casablancas. In tal modo ci viene fornita una piccola anticipazione dei futuri lavori del gruppo con Drag Queen, uscita anche come singolo, un riassunto delle produzioni più recenti con Oblivius, e una retrospettiva atta a richiamare i primi dischi con Threat of Joy. Le nuove tracce non si inventano niente di nuovo (no, nemmeno la “futuristica” Drag Queen) ma è una buona reinterpretazione della miscela vincente che ha portato i The Strokes al successo. Risulta quindi una produzione piccola quanto piacevole e curata. Molto apprezzato anche il remix di Oblivius da parte del batterista Fabrizio Moretti, inserito nel disco come quarta traccia. Tutto sommato, la curiosità che girava intorno al nuovo lavoro di Casablancas e co. è stata soddisfatta. (Samuele Raffa)
[‘selvə] – eléo
eléo, secondo album dei [‘selvə], trio post-black / screamo di Lodi, si presenta come un lavoro abbastanza breve, solo 4 tracce per un totale di 32 minuti circa. L’album apre con “soire”, un pezzo dove le influenze post-black e screamo sono presenti e preponderanti soprattutto nella prima parte, mentre sul finale si sentono alcune classiche sonorità tipicamente post-rock. Il secondo brano, “alma”, si presenta come meno “coerente”, rispetto a soire, in quanto si passa da un attacco molto aggressivo, sporco, distorto, a sonorità via via più definite e chiare, fino a ritrovarsi di botto a sentire un piccolo, piacevolissimo intermezzo d’archi suonati da Nicola Manzan che introduce un finale molto vicino al post-rock più di buon cuore. Terzo pezzo è “indaco”, un brano che sicuramente dà il meglio di sé su un palco: più brutale di quelli che lo precedono, la prima metà è un continuo attacco che non dà la possibilità di respirare all’ascoltatore, concedergli improvvisamente un ampio momento di calma e farlo poi ripiombare nella fitta atmosfera iniziale. Infine “nostàlgia”, che parte collegandosi al finale di indaco e conclude l’album su una nota di dark ambient niente male; brano molto atmosferico, riesce a suo modo a essere liberatorio senza mai però permetterti di lasciarti andare davvero, buona conclusione per un buon lavoro.
In generale l’album è realizzato discretamente, i membri dimostrano chiaramente di non essere dei novellini e lo fanno a più riprese, anche se eléo, nonostante tutto, manca un po’ di aggressività, di mordente. Da apprezzare la coesione di tutto il progetto e le inaspettate influenze di sonorità a la Mono/Mogwai, che insieme a tutto il resto contribuiscono a un suono che alla fine, tutto sommato, funziona eccome. (Marco Meloni)
The Avalanches – Wildflower
Dopo ben 16 anni di pausa dal loro album di esordio, questo gruppo elettronico australiano ha pubblicato Wildflower. Il fatto che sia pubblicato proprio a luglio non credo sia casuale data l’atmosfera estiva che si sente per tutto il disco. Un album capace di essere un viaggio fra generi ed epoche diverse, un mix riuscito di diverse influenze, dal rap al folk, passando addirittura per la disco. Un disco rilassato, da ascoltare in spiaggia, perfetto per combattere questo caldo afoso. Ottimo punto di forza dell’album sono l’uso dei sample, grande caratteristica del gruppo, che ha il coraggio di campionare canzoni storiche, come “Come together” dei Beatles e “My favourite things” dall’immortale “Tutti insieme appassionamente”, oltre che brani dei Beach Boys. Una scelta rischiosa quella di usare dei classici ma calibrata, poiché capaci di regalare un ottimo suono. Un lavoro che pare ricordare i Daft Punk o Kanye West, ma mantenendo una propria identità molto forte. Oltre a questi sample eccellenti, troviamo delle collaborazione con alcuni dei più importanti cantautori della scena americana attuale come Toro Y Moi e Father John Misty.
Un disco rilassato che sa rischiare quando deve senza mai eccedere e perfetto per l’estate, poiché privo di quei soliti cliché di chi cerca l’hit della stagione. Tra le tracce migliori da ascoltare troviamo “Frankie Sinatra” (che vede l’ottima collaborazione di MF DOOM), “Saturday night inside out” e “The noisy eater”, anche se è tutto l’album a meritare ben più di un ascolto. (Gianni Giovannelli)
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