Vi sarete ormai di certo resi conto che il 4 dicembre prossimo si voterà tramite referendum per confermare le riforme sul testo costituzionale votate dal Parlamento in merito al Senato, al CNEL, al tanto vituperato Titolo V e molto altro, per un totale di ben 47 articoli modificati sui 139 complessivi della nostra amata Costituzione. Si sono detti e scritti fiumi di parole in merito al sanguinoso dibattito scaturito dal testo di questa riforma, riforma che sta spaccando in due fronti contrapposti il Paese fra i fautori del Sì, desiderosi di una maggiore stabilità governativa e di superare il bicameralismo perfetto, e i sostenitori del No, irriducibili sostenitori dello status quo o insoddisfatti delle modifiche proposte nel testo referendario. In questo fiume di parole voglio anche io contribuire con la mia umile quanto informata opinione: l’opinione di un giovane laureato che voterà SÌ, con estrema cognizione di causa e non pochi patemi d’animo.
1946. L’Italia, ancora spaccata in due dal voto che ha sancito la forma repubblicana e l’esilio dei Savoia, decide di basare il proprio ordinamento sulla scrittura di una Costituzione; il compito, arduo quanto oneroso, è affidato dal corpo elettorale per la prima volta al completo a uomini e donne i cui nomi saranno scolpiti nella storia del nostro Paese: i “Padri Costituenti“. L’Assemblea Costituente, i cui lavori iniziano il 25 giugno 1946, è chiamata a unire una nazione devastata dalla guerra e dilaniata da tensioni interne sotto l’egida di una Carta che sancisca diritti e libertà di ciascuno di noi; ma perché fra tutte le forme possibili di governo viene scelta l’instabile forma Parlamentare e non, per esempio, la solida forma Presidenziale?
La principale preoccupazione dei membri della Assemblea era, come è lecito aspettarsi dopo il Ventennio, la possibilità del ripetersi di una dittatura, eventualità molto meno remota di quanto non si possa pensare oggi; a questa eventualità è riconducibile l’origine del Bicameralismo paritario (anche noto come “perfetto” o “ridondante”) posto alla base della struttura del nostro parlamento: in buona sostanza, nell’ordinamento italiano Camera e Senato hanno identiche competenze e mansioni (da qui il termine “ridondante”) e per l’approvazione di una legge è necessaria la maggioranza in entrambe le Camere, cosa che porta sì un forte sistema di controllo dei poteri ma di contro ha causato la bellezza di 63 governi in 70 anni di storia repubblicana, impedendo di fatto l’esistenza di governi “monocolore” che indirizzassero in maniera definita e coerente un programma di governo senza ricorrere a compromessi, alleanze di dubbio gusto e coalizioni “arcobaleno“.
Falso, falso e ancora falso. È vero che nel 2013 la Corte Costituzionale si è pronunciata affermativamente riguardo la illegittimità costituzionale della Legge Calderoli (alias “Porcellum“), ma è altresì vero che nella stessa sentenza la Corte si è premurata di affermare la piena legittimità di questo parlamento, privando di qualsiasi fondamento questa timida quanto inesatta opposizione del Fronte del No; si può affermare che la legittimità strettamente politica dell’attuale Parlamento sia debole dato che la legge elettorale che lo ha eletto è stata dichiarata illegittima, ma non si può tacciare questa assemblea di incostituzionalità, e non si può dunque dubitare della capacità della stessa di produrre leggi.
Questa affermazione di per sé è assolutamente corretta, il problema è che il variegato Fronte del No la utilizza come termine di paragone con i precedenti governi, a suo dire eletti dal popolo, ed è a questo punto che tale affermazione diventa la prova della diffusa ignoranza del testo costituzionale propria di una larga fetta di chi vota No. L’Italia non è una Repubblica Presidenziale, ma una Repubblica Parlamentare: i cittadini eleggono il parlamento, il parlamento elegge il Presidente della Repubblica, il Presidente della Repubblica tramite consultazioni forma il Governo. Se chi difende la Costituzione Italiana non conosce nemmeno le basi della Costituzione stessa, come può schierarsi a sua difesa?
Anche questa affermazione dimostra una certa ignoranza da parte di chi la pronuncia: i Padri Costituenti stessi, consci della possibilità che il panorama storico e politico del Bel Paese potesse essere soggetto a mutamenti nel corso degli anni, hanno voluto dotare la Costituzione dell’Articolo 138, che stabilisce l’iter (tutt’altro che semplice) di revisione del testo costituzionale; l’unica parte della Costituzione che non può essere oggetto di revisione costituzionale è la forma repubblicana, come sancito dall’Articolo 139 che chiude la Costituzione. Tra l’altro, non è la prima volta che si fa ricorso allo strumento del Referendum confermativo per la modifica costituzionale: nel 2001 il popolo italiano confermò le modifiche al Titolo V della Costituzione volute dal Centro Sinistra, mentre nel 2006 bocciò il tentativo di presidenzialismo federalista auspicato dal terzo Governo Berlusconi. Chi non conosce questi due articoli mi ricorda i liceali sorpresi dal professore a non sapere l’ultima parte di un libro perché si sono stancati di leggerlo…
Poco da dire su questa stupidaggine. Secondo le disposizioni di questa modifica costituzionale i membri del cosiddetto “Senato dei 100” saranno scelti fra sindaci e consiglieri regionali (oltre ai cinque scelti dal Presidente della Repubblica). Indovinate un po’ chi elegge già oggi i sopra citati elementi? Tra l’altro, anche i giovani fra i 18 e i 25 anni avranno il diritto di votare per il Senato, privilegio che oggi è riservato agli over25. Le disposizioni sono definite “vaghe” dai più non a torto, ma ciò è dovuto al fatto che tali disposizioni andranno interpretate ed esplicate tramite una legge elettorale che, come è noto, sarà obbligatoriamente discussa dal Parlamento entro la fine della legislatura, tenendo ovviamente conto dell’esito del Referendum. La mia ipotesi è che verrà data la possibilità agli elettori di esprimere dei nomi sulla scheda elettorale delle Regionali e chi prenderà più voti sarà rappresentante delle istanze regionali nel nuovo Senato.
Definire in questo modo una modifica che conformerebbe alle principali democrazie occidentali la struttura data alle Camere dalla nostra Costituzione vuol dire non avere la minima idea di cosa sia la politica internazionale. E ciò desta non poca preoccupazione nella mente di chi scrive.
La prima ragione da tenere in considerazione in favore della conferma della legge di modifica costituzionale è indubbiamente che votando NO tutto resterebbe esattamente com’è. E non mi pare che le cose in questo Paese vadano alla grande…
Con la vittoria del NO continueremmo a tenerci il bicameralismo paritario che ha permesso a questo Paese di avere 63 governi diversi in 70 anni, con l’Esecutivo vittima del giogo delle diverse maggioranze del Senato; tutto questo aveva senso nell’epoca dell’immediato post-fascismo, non di certo negli anni dove la stabilità politica spesso va di pari passo con la stabilità economica. Facciamo un esempio banale: tutto resta com’è, si va a Bruxelles e si firma un qualsivoglia accordo con l’Europa che segue la linea del governo Renzi. Sei mesi dopo il governo crolla e Di Maio, novello primo ministro, si rimangia tutto stracciando l’accordo raggiunto con impegno dal suo predecessore: che credibilità può mai avere uno Stato la cui linea politica muta annualmente invece che quinquennalmente, come in tutto il resto dell’occidente civilizzato?
Un altro grave difetto della situazione attuale è l’impossibilità di ottenere una maggioranza monocolore congrua al conseguimento di obiettivi di un dato programma elettorale: questa caratteristica del Sistema Italia ha permesso a “morti che camminano” (partiti la cui percentuale è irrisoria ma che sono comunque al Governo) di condizionare la politica estera, economica e sociale pur non essendo rappresentanti di una reale volontà politica del Paese: chi dei (pochi) votanti di Alfano, ministro dell’Interno (!!!), immaginava un governo di larghe intese con Matteo Renzi? Chi dei votanti di SEL immaginava di votare una coalizione di Centro Sinistra e di trovarsi all’opposizione pur avendo vinto le elezioni? Tutto questo è permesso dall’instabilità politica causata dal peso eccessivo che il Senato ha nel nostro ordinamento: togliendo la Fiducia al Senato e limitandone le competenze (e aggiungendo un congruo premio di maggioranza alla Camera alla coalizione vincitrice delle elezioni) si potrebbe ovviare al problema e dare finalmente a questo Paese la possibilità di sviluppare quella continuità politica che renderebbe più certi e legittimi gli esiti delle elezioni politiche, “obbligando” chi vince le elezioni a governare per una legislatura intera assumendosi la responsabilità delle scelte politiche che prende.
Altra significativa motivazione per auspicare la vittoria del SÌ è la nuova modifica del Titolo V della Costituzione (che comprende gli articoli dal 114 al 133): la riforma della Costituzione del 2001 a opera del Centro Sinistra ha fatto aumentare a dismisura i conflitti di competenza fra Stato e Regione, oltre ad aver avuto spiacevoli conseguenze quali l’impennata del debito delle Sanità regionali (con le Sanità di ben dodici regioni su venti in bancarotta dal 2001 al 2015); le materie concorrenti (causa di circa 1500 contenziosi fra Stato e Regioni negli ultimi 15 anni) ritornerebbero nelle mani dello Stato, così da evitare conflitti e sproporzioni in seno alle Regioni. Si eviterebbero inoltre rallentamenti normativi relativi al conflitto di attribuzione di competenze simili a quelli che hanno portato alla bocciatura della riforma Madia sulla nomina dei dirigenti regionali. Ulteriori informazioni a riguardo sono disponibili qui.
Non vanno dimenticati altri aspetti secondari ma comunque positivi inclusi nel quesito referendario: primo fra tutti l’abolizione del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), organo costituzionale previsto dall’art. 99 che ha (o meglio, avrebbe…) potere di iniziativa legislativa per le materie di propria competenza: tutto bellissimo sulla carta, peccato che dal 1948 a oggi abbia portato alla approvazione la bellezza di ZERO leggi; tagliandolo si porrebbe fine alla sua inutile vita e si risparmierebbero anche un po’ di soldi.
Secondo ulteriore aspetto positivo è l’introduzione dell’obbligatorietà di discussione da parte del Parlamento delle leggi di iniziativa popolare: la normativa attuale prevede che la popolazione tramite 50.000 firme possa presentare una tematica da discutere ai parlamentari, ma come è noto a oggi le leggi di questo tipo discusse dal Parlamento sono ben ZERO; con la nuova normativa le firme necessarie diventano 150.000, ma subentra l’obbligo costituzionale per la Camera di discutere la legge proposta.
In ultima analisi, da considerare è il cosiddetto “quorum progressivo” inserito in costituzione per i referendum abrogativi; la norma attuale rimane, ma viene aggiunto un quorum pari al 50%+1 dei votanti alle ultime elezioni della Camera per i referendum che abbiano ottenuto almeno 800.000 firme: facendo un esempio, se si fossero ottenuti solo 1.000.000 voti in più al referendum sulle trivelle con questa tipologia di quorum la legge sule trivellazioni entro 12 miglia dalla costa sarebbe stata abrogata. Questo invoglierebbe le persone ad andare alle urne piuttosto che a restare a casa per sabotare il referendum. Oltre a questo, viene introdotto il “referendum propositivo“, con il quale la popolazione può chiedere alla Camera di discutere una legge su un tema specifico proponendo però già un testo completo provvisto di articoli (questa caratteristica lo differenzia dalle leggi di iniziativa popolare).
Non sarà la miglior riforma possibile (e ciò deriva dall’essere frutto di un compromesso), ma le caratteristiche di questa modifica costituzionale renderebbero l’Italia un paese più solido, funzionante e internazionalmente credibile; inoltre, chiunque salirà al governo dopo l’esecutivo di Renzi avrà l’onere e il peso di assumersi tutte le responsabilità delle azioni che porrà in essere non essendo più ostaggio della Fiducia del Senato che, come è noto, è la principale causa di caduta dei governi nostrani. Personalmente non sono contento del doppio incarico che verrà messo nelle mani dei consiglieri regionali e dei sindaci, anche se ci sono esempi virtuosi di amministratori con più incarichi in grado di svolgere egregiamente tutte le proprie mansioni; trovo però che questa formula sia una ottima interpretazione dell’art. 57 della Costituzione, che recita per l’appunto che “Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale“, norma al momento applicata in modo vago e discutibile.
Noi, in qualità di cittadini della Repubblica Italiana, abbiamo il diritto e il dovere di votare per questa scelta, e dalle nostre mani passa il futuro di questo Paese. Qualsiasi sia la vostra opinione, il 4 dicembre andate alle urne e siate parte della storia.
Nato in Abruzzo, vivo da sempre a Roma. Direttore editoriale della testata, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all'Università La Sapienza e studente magistrale LUISS, mi occupo del funzionamento pratico del giornale e mi diletto a scrivere articoli di carattere politico, storico e culturale.
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Nato in Abruzzo, vivo da sempre a Roma. Direttore editoriale della testata, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all'Università La Sapienza e studente magistrale LUISS, mi occupo del funzionamento pratico del giornale e mi diletto a scrivere articoli di carattere politico, storico e culturale.
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