Tanto tuonò che piovve: come indicato da tutti i sondaggisti nelle ultime ore, alla fine ha vinto l’opposizione governativa, unita sotto il vessillo del No. No alla riforma costituzionale voluta dal Premier Matteo Renzi e dal Ministro per le Riforme Costituzionali Maria Elena Boschi. No finanche al governo, che rassegnerà oggi le dimissioni. E ora cosa ci aspetta?
Uno dei temi che ha – forse in modo definitivo – influenzato questa campagna referendaria è stato quello riguardante la stabilità o meno del governo Renzi: questa personificazione del tema del referendum ha coagulato le minoranze con la speranza che un voto contrario a quello sponsorizzato dal capo di Governo portasse alle sue immediate dimissioni. Ecco le parole di Matteo Renzi, pronunciate il 2 maggio dal teatro Niccolini di Firenze: parole che di fatto hanno dato il via alla lunga cavalcata del referendum.
“Io girerò come un globetrotter, noi gireremo come dei matti, ma non saremo noi a vincere questa battaglia, dovete essere voi a mobilitarvi. Io non cambio idea, se perdo vado a casa, perché la rottamazione vale anche per me”
Matteo Renzi
Partendo dalla situazione economica, molti sostenitori del Sì hanno affermato che in caso di bocciatura della riforma il sistema bancario italiano sarebbe sul punto di crollare, punto di vista appoggiato anche dal britannico Financial Times. Secondo Mario Monti, ex Presidente del Consiglio tecnico nel 2013, in piena bufera spread, non ci sono grossi rischi per l’Italia anche in caso di vittoria del No. Parere di fatto confermato dal Ministro dell’Economia Padoan che ha ribadito che il sistema bancario italiano «è solido».
A livello politico la situazione è meno prevedibile: il nodo cruciale è la questione della legge elettorale, l’Italicum, che riguarda esclusivamente le modalità di elezione della Camera dei deputati. Se vincesse il No, si andrebbe a votare per il Senato con la legge Calderoli (cd. Porcellum) modificata dalla sentenza 1 del 2014 della Corte Costituzionale, che aveva dichiarato incostituzionali sia il premio di maggioranza sia le lunghe liste bloccate senza preferenze.
Dall’opposizione berlusconiana si è ventilata l’ipotesi di un «governo di unità nazionale per una emergenza» insieme al PD, in sostanza un governo di scopo il cui obiettivo sarebbe quello di formulare una nuova elegge elettorale.
Renzi ha così deciso di dimettersi in seguito al risultato, ma l’ultima parola spetta al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha davanti a sé tre chances:
In questo caso il problema resterebbe la legge elettorale: si avrebbe una Camera eletta con un sistema fortemente maggioritario (almeno fino al giudizio della Corte Costituzionale anche sull’Italicum) e un Senato eletto con un sistema proporzionale. Il ‘Consultellum’, come è stata chiamata la legge elettorale Calderoli dopo la sentenza, cancellerebbe l’opzione del premio ottenuto con la maggioranza dalla coalizione più votata; ad essere mantenute sarebbero però le soglie di accesso. In un sistema sostanzialmente tripolare come quello attuale, il risultato sarebbe una forte maggioranza alla Camera e la sola possibilità di una coalizione di “unità nazionale” tra opposizioni (FI e PD?) al Senato.
Già, ma a chi? Eliminando Renzi da questo scenario si avrebbe un PD spaccato al suo interno (e, forse, non solo al suo interno), un Movimento 5 Stelle fermo nelle sue intenzioni di non allearsi con nessuno dei “vecchi partiti”, Forza Italia e Lega Nord in rapporti alquanto freddi, con giudizi poco lusinghieri di Berlusconi nei confronti del leader del Carroccio Matteo Salvini.
Questo è lo scenario a cui faceva riferimento Silvio Berlusconi: un governo di scopo che approvi la legge elettorale e un successivo ritorno alle urne, da fissare o a fine legislatura (primavera del 2018) o nell’autunno del 2017.
Se poi sembra scongiurata l’idea di un governo tecnico, mal visto da tutte le fazioni politiche, c’è in realtà un’ulteriore ipotesi: nella prima mattinata di questo 5 dicembre Matteo Renzi si reca al Colle a consegnare al Presidente Mattarella le sue dimissioni, con quest’ultimo che le potrebbe respingere per garantire una stabilità al sistema ed evitare un vuoto istituzionale proprio durante le festività natalizie. Il respingimento sarebbe legato alla formazione di una legge elettorale che valga anche per il Senato: il Premier sarebbe incaricato quindi di guidare un governo che abbia come compito solo quello di scrivere un “Italicum” che valga anche per il Senato, di concerto con le opposizioni (Berlusconi in primis, che farebbe la parte del salvatore delle istituzioni), per poi tornare successivamente alle urne.
Come si suol dire, chi vivrà vedrà.
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