Dopo aver capito che cos’è il referendum e di cosa tratta la riforma Renzi-Boschi, è legittimo porsi qualche domanda.
Le ragioni a sostegno di entrambe le possibilità sono molteplici, come si fa però a scegliere? Per qualcuno è sufficiente sapere che alla vittoria del no il Governo rassegnerà le dimissioni; per altri è un voto di ideologia; per altri ancora è un modo per dare finalmente una svolta al Paese.
Andiamo con ordine. Una consistente fetta dei dubbi sull’opportunità di questa riforma derivano dal modo in cui è arrivato all’approvazione il disegno di legge: il giorno della votazione decisiva quasi tutta l’opposizione ha lasciato l’aula al momento del voto. Denunciavano un atteggiamento eversivo del Governo, che avrebbe forzato il cammino del ddl fino all’approvazione e soprattutto i rischi che potrebbero derivare dalla nuova Costituzione insieme alla legge elettorale in vigore (l’Italicum), da individuarsi soprattutto nell’eventualità di consegnare la maggioranza alla Camera a un unico partito, indipendentemente dal volume di consensi ottenuti dal partito stesso.
Il comitato per il no, oltre a criticare le modifiche strutturali, fa leva proprio sull’illegittimità della riforma e sulle sue modalità di attuazione: sarebbe prodotta da un Parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale e sotto la dettatura del Governo.
Anche la qualità del nuovo testo è stata bersaglio di alcune critiche, che ravvisano la deturpazione di alcuni articoli.
Sulle modifiche all’assetto costituzionale le censure sono le più disparate: non si ritiene superato il bicameralismo perfetto, ma solo nascosto dietro un caos di attribuzioni di competenza tra Camera e Senato, tra Stato e Regioni; il nuovo iter legislativo per i sostenitori del no rischierebbe di rallentare ulteriormente l’approvazione delle leggi, poiché non si tratterebbe di un unico procedimento ma di circa dieci, a seconda della materia di cui trattasi o della decisione del Senato di presentare una proposta di modifica del ddl, ecc.; nemmeno il nuovo Titolo V è esente da critiche, le modifiche infatti sembrerebbero andare a danno delle autonomie locali, le quali si ritroverebbero prive di risorse.
A tutto ciò si aggiunge la scarsità del risparmio sui costi della politica, che si quantificano in un quinto del costo attuale del Senato.
Lo schieramento opposto, quello del sì, propone una visione completamente diversa del nuovo testo. Dove i sostenitori del no ravvisano una lesione al principio democratico, nell’aumento del numero di firme necessarie per proporre un disegno di legge di iniziativa popolare da 50mila a 150mila, i sostenitori del sì, forse più attenti, vedono un rafforzamento della partecipazione popolare, poiché l’aumento delle firme necessarie è accompagnato anche da un nuovo obbligo per la Camera di discutere in aula i ddl di iniziativa popolare.
Il bicameralismo perfetto, sostengono, è al capolinea e questo non può che portare a un procedimento legislativo più snello, nonostante le varianti criticate dal comitato per il no, poiché si evita la spesso infinita “navette” tra Camera e Senato.
Il taglio ai costi viene accompagnato dalla speranza di ridonare nuova credibilità alle istituzioni, eliminando gli sprechi: i senatori passano da 315 a 95; il CNEL è abolito.
Sul Titolo V il diverbio è quanto mai aspro, i sostenitori del sì ritengono infatti che l’eliminazione delle competenze concorrenti sia essenziale per chiarire i livelli di competenza di Stato e Regioni. L’obiettivo è quello di attribuire allo Stato centrale tutte le materie di interesse nazionale, diminuendo anche il carico di lavoro della Corte Costituzionale per i conflitti d’attribuzione.
Per quanto riguarda il nuovo Senato, in particolare, si ritiene che la sua partecipazione all’attuazione delle decisioni dell’Unione Europea potrà giocare un ruolo molto importante nel rispetto degli obblighi comunitari del nostro Paese, evitando le infrazioni di cui siamo campioni.
Vari sono i costituzionalisti a favore sia dell’uno che dell’altro schieramento. I più rappresentativi, perché più noti alle cronache, sono sicuramente Gustavo Zagrebelsky, per il no, che nella riforma non vede altro che una complicazione strutturale, che a lungo andare potrebbe compromettere la democrazia nel nostro Paese; per il sì invece si schiera Sabino Cassese, che al contrario ritiene che questo “monocameralismo temperato” non tradisca la Repubblica.
Le ragioni per votare da una parte o dall’altra sono quindi varie, entrambi gli esiti avranno dei pro e dei contro, a ognuno di noi sta dunque il compito di formare il proprio convincimento in libertà e di esprimere tramite il voto un’opinione che in entrambi i casi segnerà la storia del Paese.
Studente di Giurisprudenza, videogiocatore, appassionato di boardsports.
19 Aprile 2017
15 Marzo 2017
7 Dicembre 2016
5 Dicembre 2016
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Studente di Giurisprudenza, videogiocatore, appassionato di boardsports.
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