Sugli Slipknot si sono spalati escrementi per anni e anni. E quasi mai a torto: commerciali, scarsi tecnicamente, inutilmente numerosi, bassista osannato per il solo fatto di aver tirato le cuoia.
Eppure, per quanto se ne voglia dire, l’omonimo album del 1999 si dimostra un prodotto di ottima fattura, se non un vero e proprio capolavoro (se messo a confronto con i mediocri lavori successivi).
Certi argomenti misantropici erano stati toccati a più riprese da fiumi di artisti, come certe sonorità vagamente Hardcore e vagamente noise (con spruzzate elettroniche) si erano sentite più volte: eppure Slipknot dimostra una marcia in più, che lo ha reso tra l’altro disco di Platino in tre mesi.
Stiamo parlando di quell’abissale ignoranza che solo 334 sbarbatelli incazzati dell’Iowa possono dimostrare; ignoranza che porta ad un’esasperazione ritmica quasi tribale ed ipnotica, strutture basilari e rette solo da un cantato arrabbiato contro il tutto mondo.
O tecnicismi, solo un enorme muro sonoro, nel quale non si riesce a notare nulla, se non l’insieme, che si schianta contro il viso dell’ascoltatore, con il supporto di testi da terza elementare, ma funzionali al fine.
Un’attenzione particolare merita 742617000027, l’intro, costituita da una velocizzazione e rallentamento di un nastro con parole di Charles Menson. Il livello è quasi amatoriale, non ha qualità musicali o artistiche e sembra solo un riempitivo (realizzato tra l’altro in meno di un ora): eppure si dimostra un intro perfetto, preludendo perfettamente all’atmosfera “primitiva” di tutto l’album, che sembra anch’esso vomitato di getto.
Seguono 5 tracce ((Sic) – Surfacing – Eyeless – Wait and Bleed – Spit It Out) costruite tutte sullo stesso canovaccio: un ritmo aggressivo che accompagna testi misantropici, intermezzi con pesanti influenze Hip-Hop e degenerazione finali, con risate isteriche, urla e e ansimi.
Fregandosene del concetto di varietas gli Slipknot mettono in fila 5 tracce molto simili, che però non stufano grazie all’estrema brevità e velocità delle stesse.
Nel momento in cui si pensa di aver compreso l’antifona dell’album, si viene spiazzati da Tattered and Torn, una sorta di Snuff movie musicale: lento, perverso, tirato avanti da un sample stordente ossessivo, al pari della voce di Taylor e dei cori, che sconfinano quasi nel pianto. Un pezzo decisamente più difficile da ascoltare, ma sicuramente più accessibile di certe atmosfere noise alle quali sembra rifarsi.
L’atmosfera snuff continua con Purity (testo non a caso dedicato ad un omicidia): ritorna un fortissimo elemento ritmico, insieme al secondo ritornello melodico dell’album (dopo quello di Wait and Bleed), l’elemento perverso rimane nel Verse, ma il resto della canzone ritorna alla forma dei primi 5 pezzi, una sorta di preannuncio delle traccie successive.
La successiva Liberate si evidenzia per un cantato decisamente più pulito e un’atmosfera più ritmata, probabilmente è il pezzo con più variazione dell’album, una delle quali sembra persino un accenno poliritmico, per quanto vocale.
Segue Prostetics, ennesima traccia “Snuff”, più lenta della precedente “Tattered and Torn” , ma leggermente inferiore per contenuto, seppure più brutale e con un piacevolissimo Build Up, che si apre con l’ennesima variazione Rap.
Seguono tre tracce (Diluited – No Life – Only One) basate sulla stessa struttura, con i soliti ritmi e suoni elettronici. Nonostante tutto l’album continua a non stufare, i Riff sono sempre trascinati, molto meno importanti rispetto alla sezione ritmica, al punto da esserne praticamente inglobati, ma, come già detto, nonostante le mancanze delle singole sezione, il totale risulta comunque compatto.
Uno pensa sia tutto finito qui: urla, omicidi, rabbia.
E invece no, l’ultima traccia si dimostra un vero e proprio capolavoro, di atmosfera e contenuto.
Le chitarre smettono di trascinarsi, permettendo alla batteria di complicare il proprio ritmo, i sample sorreggono perfettamente il baraccone, creato per sostenere la voce di Taylor, ispirata più che mai.
Una volta compreso come tale ignoranza e cattiveria repressa possano portare cash, i 334 hanno prodotto un album pretenzioso e noioso, dove il disprezzo è stato plastificato e venduto in comodi blocchi, per poi acquisire un sound tipicamente (e insopportabilmente) nu-metal nel terzo e nel quarto album.
Ad onor di cronaca alcune traccie di All Hope is Gone si dimostrano di buona fattura (Gematria – All Hope is Gone), ma per fattura tecnica più che per ispirazione. Evidente il tentativo di un ritorno alle sonorità perverse di “Slipknot”, tentativo che sembra infrangersi contro un’ignavia economica, perché in fondo, al ragazzino medio basta un poco di aggressività e qualche urlo, per essere contento.
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