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«Secondo me avresti dovuto far crepare il marito», sentenziò Lipford.
Farner si girò spazientito. «Senti John, capisco la tua posizione, ma se faccio morire il marito la storia non sta in piedi. E questo è un mio romanzo!»
«Certo, tanto quello che si prende una coltellata nella schiena sono io», ribatté l’altro.
«Mi spiace, ma ti ho creato per farti morire al secondo capitolo e sei arrivato al quarto. Direi che ti ho concesso fin troppo tempo.»
«E il vicino di casa?»
«Il vicino, che?»
«Il vicino di casa, potrebbero trovare lui stecchito nel garage. E potresti anche farlo fuori nel secondo capitolo, qui in questo punto, vedi…»
«Non toccare lo schermo, ti prego, sai che è una cosa che non sopporto.»
John Lipford non si dava pace. Doveva trovare qualcun altro che avrebbe preso il suo posto. Era lì da una settimana, da quando era stato accoltellato in un vicolo buio di Philadelphia.
Nessuno prima di lui era stato escluso dalla storia per così tanto tempo. Sapeva che Farner avrebbe ceduto prima o poi; anche l’ispettore assassinato a pagina 31 era stato graziato. Ci aveva messo solo tre giorni per ritornare nel romanzo e forse sarebbe arrivato fino alla fine. Magari avrebbe anche risolto il caso.
Lipford si sarebbe accontentato di sparire a metà della storia. Qualsiasi cosa pur di non morire. Fosse stato semplicemente dimenticato dal narratore tra una pagina e l’altra sarebbe vissuto in eterno da qualche parte nelle pieghe di quel romanzo.
«Senti, se mi posso permettere…»
«Che vuoi adesso? Che ammazzi il protagonista?»
«No, il mio era solo un appunto su questo impermeabile», disse cercando di fare pressione con le mani per togliere tutte quelle grinze. «Ok, sono un investigatore privato, però la trovo un po’ stereotipata come immagine, non credi?»
«Hai un piccolo ruolo e saresti dovuto morire probabilmente a pagina 18. Quell’impermeabile va benissimo.»
«Sarà, ma sembro più un maniaco. Potessi almeno indossare qualcosa sotto, mi sentirei più a mio agio.»
«Cosa c’è che non va? Mi pare che sotto tu non sia vestito poi così male.»
«Guarda che sotto non ho proprio niente, non so se te ne sei accorto.»
Farner distolse per un attimo lo sguardo dal portatile e lanciò una breve occhiata di sufficienza a Lipford. «Non mi sembra proprio tu sia nudo lì sotto.»
«Allora è la tua immaginazione, perché se riguardi bene qui dove mi descrivi…»
«Ti ho già detto di non toccare lo schermo!»
«Scusa, volevo solo farti notare che gli unici capi di abbigliamento che citi sono un consunto impermeabile grigio chiaro e un borsalino dello stesso colore ma con un’ampia fascia nera. Magari avresti anche potuto aggiungere una lente di ingrandimento nella tasca, così per non uscire troppo dallo stereotipo», aggiunse sarcastico.
«Io ti vedo con degli abiti abbastanza normali sotto l’impermeabile e fidati, nessuno dei lettori ti immaginerà nudo. Avessi scritto che lo eri allora sì, ma non avendo aggiunto altri particolari tutti ti immagineranno con un abito addosso, magari non molto elegante, ma certo non come madre natura ti ha fatto.»
«Ah, su quello non c’è dubbio, mi hai fatto tu.»
«Senti John, sono due anni che non riesco a mandare al Creatore, intendo l’altro, quello con la C maiuscola, uno dei miei personaggi. Appena scrivo della loro morte, tempo qualche ora e me li ritrovo qui a rompermi le scatole, a ripetermi quanto stessero meglio nel romanzo e via dicendo. Maledizione! Sono uno scrittore di gialli. Farvi fuori è il mio fottutissimo lavoro.»
«Potresti cambiare genere…»
Farner non rispose. Era da tre notti che non dormiva, Lipford era troppo assillante, non sarebbe mai riuscito a terminare il romanzo con la sua ingombrante e ossessiva presenza.
Non c’era mai riuscito prima con le altre vittime designate. Sette giorni in compagnia di quell’insopportabile personaggio erano veramente troppi.
Prese il mouse e andò a pagina 46. Individuò il vicolo buio di Philadelphia, evidenziò cinque righe e pigiò sul tasto Canc.
Si girò, John Lipford era sparito. Poteva pranzare in santa pace.
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