Esiste un giochino simpatico da fare su Wikipedia: partendo da “una voce a caso” si deve arrivare alla pagina di Hitler in meno di sei click. A prima vista sembra difficile, ma quando si scopre che il trucco è cercare di arrivare prima a voci altamente generiche quali quelle della Germania o della seconda guerra mondiale, a quel punto si vince sempre. Sui mercati finanziari italiani ci si può svagare con un simile passatempo: si parte da un imprenditore di nota fama e si cerca di arrivare, passando tra partecipazioni e obbligazioni, ad RCS Mediagroup (anche qui esiste il trucco ovviamente: basta raggiungere Mediobanca, i cui interessi si estendono come edera sui muri, e il gioco è fatto).
Tendenzialmente tutte le case editrici italiane sono riconducibili ad un proprietario che ne tiene saldamente le redini: la famiglia Agnelli e La Stampa, De Benedetti e il Gruppo Editoriale L’Espresso, Cairo e Caltagirone con gli omonimi Editoriali, Berlusconi e Mondadori, Confindustria e IlSole24Ore, i Monti Riffeser per la Poligrafici Editoriale. Una tradizione a cui apparteneva anche Il Corriere della Sera, ma che è terminata nel 1984 dopo il salvataggio dell’azienda che stampava i due quotidiani simbolo dell’editoria italiana: il Corsera, appunto, e la Gazzetta dello Sport.
Si trattò di un modello di salvataggio tipico per i grandi fallimenti all’italiana; in soccorso del fu Gruppo Rizzoli venne la “cordata di imprenditori italiani”, concetto che tornò sulle prime pagine negli anni a venire, per la privatizzazione di Telecom, per la difesa di Alitalia e Parmalat dai passaggi a mani francesi. Basta poi pensare per un millisecondo alle condizioni finanziarie ed economiche post-salvataggio di questi esempi per far legittimamente dubitare dell’efficacia di un assetto proprietario che mescola interessi diversi e primedonne del mercato, troppo dive per poter vivere serenamente sotto un patto di sindacato. E tra queste, la famiglia Agnelli.
Fino a ieri gli Agnelli-Elkann contavano più o meno tanto quanto gli altri grandi azionisti di RCS: i Della Valle, i Ligresti, i Benetton, i Tronchetti Provera, assieme alla triade finanziaria Intesa, Generali e la Grande Madre delle operazioni straordinarie Mediobanca. Poi l’annuncio di venerdì: con l’acquisto di opzioni sull’aumento di capitale, la FIAT potrà arrivare fino al 20% ottenendo il pacchetto più pesante nell’assetto proprietario. Un bello scossone, insomma, che battezza per la famiglia torinese una settimana finanziariamente orgasmica, cominciata con l’acquisto di Tevez, seguita dalla quotazione con successo di Italian Indipendent (marchio dell’occhiale firmato Lapo), conclusa infine la miniscalata al Corriere. E se sul fronte finanziario non sembrano esserci problemi, qualche dubbio su quello strategico emerge legittimamente.
Cosa cazzo se ne fa la FIAT del 20% del Corriere? Diversificare il business? Difficile, visto che già possiede La Stampa, ed RCS non sembra più essere, dal 2009, una mucca dai dividendi facili; inoltre la FIAT non è più quella conglomerata che produceva frigoriferi e aeroplani, e per di più fatica a far bene nel suo core business. E’ molto più probabile che abbia fatto la sua mossa nei giochi di potere del mercato italiano, mostrando le unghie e facendo uno sgarbo a qualche ricca baldracca dell’imprenditoria – che so, quell’irriverente monella di Della Valle, per esempio.
Nel frattempo, proprio a causa di queste scaramucce stitiche e senza fine, al Corriere non si accorgono che quella fogna, quella cloaca che è la colonna destra sta perdendo e imbrattando di merda e piscio tutto il giornale: le grandi firme, come nella moda destinate agli outlet cinesi in periferia, se ne disinteressano e anzi ci giocano; gli editori addirittura sospetto che pensino che quella non sia merda, ma cioccolata o al limite gianduiotto, nel caso degli Agnelli.
Chi invece se n’è accorto, ha fatto la sua contromossa promuovendo sul web prodotti di qualità, e tra una decina d’anni ballerà sulle macerie di quel che fu RCS, mentre il vecchio modo di fare imprenditoria penderà nel buio con il collo avvolto nelle cordate italiane.
Update del Lunedì, ore 13.30:
Oggi RCS sta registrando sul mercato azionario un balzo del 30%. Allora tutto quello che ho detto sopra non è vero? Posto che mi tengo la riserva di dire stronzate, continuo a credere che la mossa degli Agnelli sia tutto fuorché l’inizio di un grande piano strategico. E’ un investimento che nulla ha a che vedere con FIAT (che nel frattempo galleggia al +1,4%), e che non promette nulla che esca al di fuori del braccio di ferro tra azionisti. Qualcuno scomoda Murdoch, ma è Della Valle la chiave di volta. E se i mercati esultano, non lo fanno certamente perché Elkann e Marchionne han trovato al cura ad un’azienda disastrata finanziariamente ed economicamente, con licenziamenti di massa in un mercato – quello editoriale – non particolarmente brillante; lo fanno perché uno scossone sulla governance è “divertente” agli occhi dei broker.
Ci rivediamo tra un paio di anni, spero di essere smentito.
Per quelli che la partita doppia è andare allo stadio ubriachi. Prendo un libro o un giornale di economia, lo apro a caso, leggo e – qualche volta – capisco l'argomento, infine lo derido. Prima era il mio metodo di studio, adesso ci scrivo articoli. Sono Dan Marinos, e per paura che mi ritirino la laurea mantengo l’anonimato.
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