Ave IMDIani, non so se questo scritto riuscirà mai a essere letto dai vostri ricettivi neuroni, ma che succeda o no la cosa non m’interesserà minimamente.
Questo, spero, breve articolo nasce da alcune considerazioni che mi sono posto durante l’abituale viaggio di 45 minuti che devo subire tutte le mattine per giungere in quel nefasto luogo che è l’università, per seguire lezioni di cui dimenticherò tutto nella conseguente pausa sigaretta, su mezzi di trasporto indegni di una società civile o di un olfatto troppo sensibile chiamati treni pendolari. Ma andiamo con ordine.
Come presumo accada ai tre quarti della popolazione umana, io ODIO profondamente svegliarmi a un orario prefissato (tecnicamente odio svegliarmi in generale, ma se non lo facessi starei guardando le radici da sottoterra). Il trillo della sveglia alle 7.15 e il pensare a ciò che mi aspetta, tra cui lasciare quel confortevole utero caldo che è il letto, per giungere a una negazione TOTALE dell’attività cerebrale quale è il corso universitario medio, riempiono di gioia le mie mattine inducendomi particolari stati di blasfemia incontrollata che, almeno fino al terzo caffè della mattina, perdurano in maniera indipendente dalla mia volontà.
Espletate le varie funzioni fisiologiche e vestitomi secondo accostamenti rigorosi che comprendono annusata zona pacco, annusata zona ascelle e ispezione patacche, esco da casa e grazie a un rottame precedentemente appartenuto a mia madre mi dirigo al bar e, da qui, a quel luogo che tutti i pendolari odiano più della suocera o il tizio che ti scassa il cazzo per il canone RAI o il testimone di Geova: la stazione.
Immaginate un punto di attesa di massa, dove il rispetto per gli altri, per l’igiene intima e per le norme della convivenza civile è annullato, un po’ come in regione o all’Isola dei Famosi; dove l’arrivo del treno scatena anche nei soggetti più miti pulsioni killer che in confronto Hitler era solo un po’ tocco e la ricerca di un posto a sedere rivaleggia con il tentativo di Galileo Galilei di concordare scienza e fede.
Immaginate un luogo dove, pigiati come le sardine, avrete la possibilità di: ascoltare migliaia di conversazioni stupide o inutili spacciate per discussioni sui massimi sistemi, annusare odori capaci di farvi regredire allo stato larvale come un panino romeno alle cipolle, chiedervi con le lacrime agli occhi perché la gente abbia le orecchie e le inzeppi di musica di merda come il neomelodico napoletano, assistere a tentativi di stupro multietnici nell’indifferenza generale e molto altro.
Nel giorno in questione ero leggermente in ritardo per cause più che comprensibili (avevo spento la sveglia e mi ero nuovamente abbandonato a Morfeo) quando nel mio stesso vagone irrompe una squadra di 14enni preciclo-prepubertà in gita per andare a un museo non ben specificato, ammesso che sapessero cosa FOSSE un museo. Ora non so voi ma se di prima mattina, nel momento di massima incazzatura e paranoia, vedo entrare nel mio vagone una mandria di ritardate con vocine squillanti al limite dell’unghia sulla lavagna e il quoziente intellettivo di un paguro, io maledico Dio e cerco di reprimere il primordiale istinto che mi dice di ucciderle nel modo più atroce dei modi o di chiamare il controllore.
La riflessione iniziale nasce da un elemento del gruppo di zombie lobotomizzati che mi trovo davanti: bimba minchia, vestita in modo appariscente (jeans calatissimi, toppino ed extension fucsia), prolasso del peritoneo o grave disturbo alimentare, cuffie Hello Kitty nelle orecchie e incapacità di coniugare un qualsiasi verbo oltre al sovra utilizzo del fonema “cioè”. Il caso umano inizia a blaterare con insistenza con un suo pari – stato femminile, modello scopa in culo e impossibilità di passare attraverso il metal detector causa piercing, su quale tra 2 oscuri tizi, a me sconosciuti, sia il miglior rapper italiano.
Intonando una canzone che credo aver capito intitolarsi “Zoccolette”, insieme alla sua compagna di vita e abitudini masochiste, iniziano ad ammorbare i coglioni al resto del vagone che consiste in: me medesimo, un 30enne probabile seminarista e una vecchia rincoglionita; a un certo punto, il colpo genio della busta di fave con extension fucsia che con voce squillante esclama: ”Ah prof non se dimentichi che al ritorno se dovemo fermà al Mac-donald per forza, altrimenti sta gita non c’ha senso che a me del museo me frega poco”. Silenzio. Dentro di me qualcosa si rompe. Un lampo di consapevolezza attraversa il mio cervello e finalmente un pensiero, luminoso, attraversa il mio sistema nervoso, sconnettendomi dalla merda che mi circonda.
Il problema di queste ultime generazioni non sono loro, ma NOI.
Siamo NOI che pretendiamo da una massa di imbecilli nati a pane e Facebook e svezzati a cazzate un esercizio mentale che non sono in grado di compiere, stimoliamo una curiosità che non possiedono, cerchiamo delle considerazioni che non possono esprimere; il senso critico, la curiosità, il voler conoscere sono tutte azioni dettate da una degli impulsi più importanti legati all’essere umano: il voler essere liberi.
Se il desiderio di libertà decade automaticamente noi diventiamo proni, spenti, incapaci di deviare da una via che ci è già stata assegnata; guardate qualsiasi –fag.
I loro unici scopi nella vita sono limitati ad un benessere materiale (scopare/avere soldi/scopare/qualsiasiprodottoApple) che preclude, anzi, denigra la crescita intellettuale; se leggi un libro sei out, se non vai a puttane sei gay, se volontariamente vai a vedere una mostra d’arte sei un povero emarginato.
Più si andrà avanti di questo passo, più il mondo sarà abituato da una massa di idioti nulla facenti il cui unico scopo sarà trovare qualcuno che sappia dare un senso alla loro esistenza, da lavare un cesso a vendere il culo per strada; bellezze artistiche o naturali saranno demolite per far posto a luoghi come: palestre, fast-food o gamestop perché minchia cioè è uscito FIFA 13 devo fare un chiusino stanotte.
E infine verrà il diluvio, ma questa non dall’alto bensì dal basso: tutti i water, pozzi neri, fosse biologiche, latrine esonderanno seppellendo i resti di un pianeta bellissimo e vitale, abitato da genti capaci di pensare e creare cose bellissime in un mare di variegata merda che realizzerà, infine, l’utopia. Saremo tutti uguali, ugualmente imbecilli e maleodoranti privi di una qualsiasi differenza con qualsivoglia animale e costretti a un’estinzione che abbiamo noi stessi cercato.
Basta, la visione è finita e sono arrivato alla stazione d’arrivo. Scendiamo tutti e la vecchia attacca un sermone sul fatto che i tempi sono cambiati e i giovani d’oggi sono dei gran maleducati.
Penso a una citazione di Celine: “C’è ancora qualche motivo di odio che mi manca. Sono sicuro che esiste.”
Che giornata di merda!
Lorenzo Vagnoni
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