Ho già trattato di sfuggita la storia di Icaro, però, restando sempre un tema attuale, ho deciso di ritornarci. Stavolta, come la scorsa, il tramite saranno alcune opere d’arte.
I greci avevano le idee ben chiare su quelli che ritenevano i limiti dell’uomo e tentare di scavalcarli significava commettere hybris («la colpa di chi supera il limite imposto dalla divinità alla sua condizione» [*1]), il che portava a una conseguenza tragica. D’altronde la spiegazione della sconfitta dei persiani nell’omonima opera di Eschilo avviene tramite l’accusa a Serse di aver commesso hybris nel tentare di conquistare l’intero Egeo e nell’aver creato un ponte di barche sull’Ellesponto.
Nella stessa logica avviene la morte di Icaro. Egli osò sorpassare i limiti e fallì. Ma la sua storia è solo un monito da parte di una classe sociale dominante che voleva la stabilità o una grande intuizione con fondamenta ben solide? D’altronde chi conosceva meglio dei greci l’uomo? Dal momento che non è questo il luogo per parlarne (e anche fosse non è mia intenzione farlo ora) lascio a voi la risposta.
Piccola premessa: i commenti ai dipinti non sono vere e proprie analisi (mancando di fonti), ma mie semplici impressioni che voi potete condividere o meno.
In questo dipinto seicentesco del Saraceni il dramma è già concluso, Dedalo infatti procede al seppellimento. Egli guarda il cielo con suo figlio tra le braccia, quasi stesse chiedendo il perché agli dèi. L’autore del dipinto non sembra schierarsi con Icaro e se lo fa comunque è solo per empatia, ma sembra accettare i limiti che abbiamo (d’altronde gli artisti italiani dovevano volare tendenzialmente bassi durante il periodo della Controriforma vista la repressione che ne derivava) perché l’opera sembra più un monito che una celebrazione.
Il tema in questo caso, pur restando la morte di Icaro anziché il suo volo, è più tinto di romanticismo (inb4: ma non mi dire). Draper sembra prendere posizione sul destino dell’Individuo che osa e sembra voler partecipare anch’egli ai suoi funerali. Ne deriva un’immagine di Icaro più eroica e maestosa che mai.
In questo capolavoro del preraffaellita Leighton la volontà di Icaro è più forte che mai. A nulla valgono le raccomandazioni di Dedalo. A nulla valgono le raccomandazioni della vecchia generazione. Infatti la storia di Icaro può essere parzialmente letta anche nell’ottica di un contrasto intergenerazionale (tema molto fortunato nella letteratura Occidentale che vede una delle sue massime espressioni in Padri e Figli di Turgenev).
Icaro guarda oltre, la sua mente non intende più arrestarsi, il fuoco che sarà causa della sua morte è già acceso in questo dipinto.
Qui Icaro è ripreso nella fase finale della caduta. Tuttavia è ardente di vita. Non sembra voler accettare la morte. La sensazione che ne deriva non è di sconfitta nonostante tutto. I pugni chiusi, il corpo in tensione che sembra torcersi su se stesso (come se volesse invertire la rota e tornare in cielo) e le ali magnifiche sono elementi di grande forza e impatto. Chini sembra volerci trasmettere lo spirito dell’Individuo ardito che ci prova fino in fondo.
Una sensazione diametralmente opposta a quella del capolavoro di Chini ci viene data dall’opera di Gowy (presa tra l’altro da un bozzetto di Rubens [fonte]). È di circa trent’anni successiva al lavoro Saraceni, ma il secolo rimane lo stesso e la cosa è chiaramente percepibile non solo da un punto di vista tecnico, ma anche iconografico. L’autore più che una personalità combattuta e complessa sembra attribuire a Icaro la personalità del bambino viziato che vuole qualcosa che non può maneggiare. Icaro in questo caso è disperato di fronte alla morte. Non sembra esserci stata nessuna sfida contro il destino, ma semplicemente la vanità di chi non ascolta i consigli altrui. Per sfizio provò a volare come un uccello e le conseguenze sono queste.
Forse nell’antica Grecia questo dipinto sarebbe stato più apprezzato degli altri poiché la condanna per aver commesso hybris qui è ben chiara.
Cambiano i colori e la forma delle figure (più giocosi, più allegri), d’altronde si tratta di Chagall, ma la percezione è comunque quella di una storia finita male. L’aria del nostro eroe è di sgomento, le mani vogliono proteggere (l’esatto contrario dei pugni chiusi nel dipinto del Chini) il tutto ci fa pensare che a nulla sono valsi i tentativi di Icaro (metafora dell’artista stesso probabilmente) dal momento che si finisce sempre e comunque spiaccicati nell’indifferenza della frivolezza.
Questo capolavoro sembra non avere niente o poco a che fare con i precedenti, forse perché è l’unico percepibile come libero dalla morale. Matisse sembra fregarsene di quello che c’è stato prima e di quello che ci sarà, Icaro semplicemente ha il cuore che pulsa e di conseguenza abbraccia le stelle.
Per problemi fisici dovuti alla mancanza di salute e all’avanzamento dell’età (ovviamente di fondo c’è sempre il genio di un artista che non smise mai di sperimentare) Matisse iniziò a dedicarsi sempre di più al découpage:
«Solo uno come Matisse, che sapeva dominare l’arte della pittura come quella della scultura, avrebbe potuto applicare la tecnica dell’arte statuaria alla sostanza della pittura, intagliando blocchi di puro colore. A Matisse venne naturale disegnare con un paio di forbici senza alcun mutamento sostanziale di ordine estetico.» [*2]
Ebbene Icaro è parte di un libro illustrato intitolato Jazz (1947) «Era costituito da una seria di “improvvisazioni ritmiche e cromatiche” come potevano essere quelle di Louis Armstrong o di Charlie Parker». [*3]
Il messaggio credo sia positivo, perché sembra volerci dire che aldilà di come andrà a finire bisogna pulsare insieme al proprio cuore, vivere la Bellezza al massimo. Anche se Icaro crollerà, intanto abbraccia le stelle. Non tutti possono farlo quindi perché rinunciarci?
*1 C. Bearzot, Manuale di storia greca, Bologna, 2011, p. 100
*2 G. Néret, Matisse Köln, 2006, p. 209
*3 G. Néret, Matisse Köln, 2006, p. 209
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