Chiunque abbia un account Twitter nelle ultime settimane avrà sentito parlare del #TCOA14, ovvero i Twitter Che Odia Awards. Se invece non ne avete sentito parlare evidentemente come propic avete un uovo e allora potete tranquillamente chiudere qui l’articolo. Questi simpaticoni hanno parodiato i premi dei più conosciuti MIA14 (ora Festa della Rete, di cui il buon Spina ha sparlato a sufficienza qui) e i #TA14, tra l’altro consegnati proprio in contemporanea con l’ “odiosa” manifestazione, strabattendoli in termini di traffico generato. E senza neanche una mortadella. https://twitter.com/tcoa14/status/520938554407809024 Lo scopo però non è solo quello di prendere in giro i “colleghi” più famosi, anzi, è ben più nobile, come dichiarano sul loro Tumblr: “
Stanchi dei premi su Twitter organizzati da gente che di Twitter non ci ha capito una sega? Candidati improponibili che vengono candidati da altri improponibili organizzatori? Finalmente abbiamo la soluzione, il vero premio di Twitter: Il TwitterCheOdia Awards2014
” Per il funzionamento del premio, però, devo lasciare la parola al fido @Anonimoconiglio, che ha ben spiegato con un suo articolo l’intera vicenda (con tanto di immagini a colori). Anche perchè noi di IMDI abbiamo fatto di meglio: siamo andati nell’antro infernale dell’odio per farci spiegare le sensazioni del day-after. Un po’ come il Dopofestival di Sanremo. https://www.youtube.com/watch?v=uMeo6SIHsyA
– Una domanda affligge il popolo: chi siete e perchè avete organizzato i TCOA?
Per rispondere bisogna prima spiegare cos’è il “Twitter che odia”.
“Twitter che odia” è una definizione divulgata da VIP e parlamentari di vario schieramento in una epoca recente (anche se sembrano secoli) in cui per rivoltare l’opinione pubblica contro una categoria di individui bastava additarli come “odiatori”.
Erano tempi in cui politici e personaggi che parevano scongelati da una ibernazione annata 1986, erano stati illusi da sedicenti “web media ultra photonic mega advisor” che i social fossero un palco gratuito su cui affacciarsi e raccogliere automaticamente consensi a palate.
Twitter però non funziona così.
Su Twitter puoi avere 450000 follower, essere il Dalai Lama o il figlio di Mazinga, ma nulla impedirà a un neo-iscritto di farti una mention in cui ti manda affanculo. Puoi ricevere vagonate di complimenti, ma quell’unico “fanculo” detto dall’ultimo dei pirla ti farà capire che non è vero che tutti ti amano e brucerà come il tarallo posteriore di una meta-vergine che giusto dieci secondi prima si era sentita dire: “Rilassati amore, ci appoggio solo la punta”.
Minacciare querele, a quel punto, non avrà altro effetto che pubblicizzare l’accaduto mettendo ulteriormente in ridicolo lo sbertucciato, e il tutto si moltiplicherà esponenzialmente qualora la denuncia venga effettuata davvero.
Di fronte a tanta impotenza pochissimi politici e VIP cominciarono a capire e ad attribuire alle parole dette su Twitter da utenti anonimi il loro reale valore: zero.Altri hanno deciso di chiudere l’account, parecchi si sono blindati nella loro cerchia di leccapiedi compiacenti ed altri ancora hanno giocato la carta “dell’amore che vince su tutto” cominciando ad etichettare come “Twitter che odia” quegli utenti a cui non piaceva stare muti di fronte ai babbei.
Chi siamo? Siamo la nemesi di quel tipo di babbei. Facile.
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, parlare di “organizzazione” ci sembra quantomeno esagerato.
I TCOA sono l’ultima spiaggia per dimostrare quanto siano ridicoli quegli “award” (fenomeno tutto italiano) che da qualche anno scatenano gare fra svantaggiati a caccia della coroncina di più simpatico, bello, intelligente, ecc. in preda a un bisogno di notorietà partorito dall’ultimo ventennio televisivo.
Sembrerebbe roba da poco, invece tocca sorbirsi mesi di campagne elettorali, “votantonio-votantonio”, ultraquarantenni barbuti che si selfano nel cesso manco fossero delle bimbeminkia del New Jersey e sciacallaggio di top-tweet stranieri da parte di utenti che cercano di recuperare simpatia.
Se infine aggiungiamo il contorno di sponsor, paraculi e presenzialisti, raduni a invito e raggelanti iniziative di brand (si va dai liquori ai trasporti statali) che raccattano “influencer” e li convincono a farsi baciare le socialchiappe a suon di panini alla mortadella: il quadretto raccapricciante è completo.
Alla fine sono stati i TCOA ad implorarci di essere messi al mondo, non noi ad organizzarli. Erano inevitabili.
– Vendommerda vi ha appoggiato, non è che c’è uno di voi dietro l’account più famoso di Twitter (a noi potetete dirlo, siamo tra amici)?
Sì ci ha appoggiato, ma no, non c’è nessuno di noi dietro Vendommerda. Ci siamo trovati a condividere una filosofia comune: quella del fare emergere il peggio. Quando ha deciso di non fare i Vendommerda Awards ha pensato che era bene darci il suo appoggio.
– Ci sono stati dei premi a cui avreste cambiato il destinatario?
No. Non avrebbe avuto senso.
– L’iniziativa ha funzionato alla grande, siete arrivati addirittura nei TT a scapito dei “più ufficiali” #TA14: l’odio paga.
Dire che i TA siano l’iniziativa ufficiale fa sembrare i TCOA una specie di contro-iniziativa, e siccome non ci risultano casi in cui la contro-iniziativa abbia avuto più successo della sua controparte ufficiale pare ovvio che le cose stiano diversamente.
Chiunque conosca Internet conosce anche quelle regole non scritte che lo governano dalla nascita: Internet premia merito, originalità, imparzialità, generosità, porno, gattini e LOL (soprattutto porno e gattini), ed è il motivo per cui una raccolta fondi, per quanto sia stracarica di testimonial eccellenti, non raccoglierà mai i milioni generati da una stupidata come il gettarsi acqua ghiacciata in testa.
Se 10 anni fa i Macchianera Award potevano avere un minimo di senso come premio letterario per blog utili o divertenti, i Twitter Award ci sono sembrati da subito una colossale vaccata basata su competizione, parzialità, avidità e vanità (senza inoltre la minima traccia di LOL, figa e teneri micetti). Era quindi evidente che non appartenessero ad Internet ma a quel bizzarro universo a metà strada fra Maria De Filippi e Barbara D’Urso che tutti preferiremmo non esistesse. Poteva durare? No.
Il TCOA invece è no-profit, imparziale e solidamente costruito su una immane base di LULZ (che è come il LOL solo un po’ più stronzo), ed in assenza di concorrenti qualificati è palesemente l’unico vero premio di Twitter.
In pratica, l’odio qui non c’entra un gran che.
Il TCOA ha smerdato i TA nella classifica dei Trending Topics perché i TA erano nient’altro che la sua misera contro-manifestazione, non il contrario.
Nei TA, l’onesta cattiveria del TCOA viene sostituita da un delizioso frullato di stronzate socialmente accettabili, spacciato per “gioco” ed impacchettato in una confezione gentilmente offerta dallo sponsor, ma poi si rivela il solito intruglio di ipocrisia che avvelena Twitter da ben 4 anni. Dopo 4 anni, anche i più tonti, quel frullato cominciano a non digerirlo più ed i TT ne sono stati lo specchio.
Tralasciamo poi il fatto che quest’anno i TA fossero organizzati persino peggio del solito.
– Avete nuovi progetti per il futuro?
Non al momento.
– Per i #TCOA15 avete pensato di farvi appoggiare da un eventuale sponsor da menzionare in ogni tweet? Avete una lista di candidati in mente?
Non è in programma nessun TCOA15, e conseguentemente nessuno sponsor, in quanto crediamo che nel 2015 la concorrenza (Festa Della Rete ma soprattutto i già citati Twitter Award) avrà fatto tesoro della lezione e desisterà, restituendo a Twitter la pionieristica innocenza dei primordi.
Qualora le nostre aspettative andassero invece deluse (e sicuramente lo saranno) toccherà organizzare nuovamente tutto alla cazzo di cane in mezza giornata.
I LORO sponsor sono avvertiti.
– Vi aspettavate questo successo?
Sì.
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