È nei cinema europei dal 26 ottobre Doctor Strange, quattordicesima pellicola del Marvel Cinematic Universe, che oltreoceano dovrà essere attesa fino al 4 novembre. Sicuramente oggi si tratta di un personaggio meno celebre rispetto a colleghi come Thor e Hulk, ma non è sempre stato così.
Nella sua versione cartacea il protagonista, nato a Philadelphia, è un neurochirurgo di fama internazionale, dal carattere edonista, egocentrico e arrogante, la cui carriera viene stroncata a causa di un incidente d’auto che gli danneggia irreparabilmente i nervi delle mani. Nel tentativo di curarsi dilapida il suo patrimonio, e quando arriva a sentirsi tradito dalla medicina tradizionale decide di intraprendere un viaggio in oriente sui monasteri dell’Himalaya. Qui segue gli insegnamenti del capo di una setta, chiamato L’Antico (Ancient One nell’originale), e scopre la vera natura del luogo: un avamposto atto a proteggere la Terra da forze oscure e mistiche. Armato di nuovi poteri e capacità magiche decide di non tornare alla sua vita di successi e agi ma di ergersi contro il male, e nel tempo diventa lo Stregone Supremo, principale protettore della Terra contro le minacce di natura occulta. Risiede in un palazzo denominato Sanctum Sanctorum, al 177A di Bleecker Street nel Greenwich Village, Manhattan, assieme al suo assistente Wong e a un vasto assortimento di potenti artefatti magici. Nel corso della sua lunga vita sarà affiliato a vari gruppi, tra cui Nuovi Vendicatori, Difensori e Illuminati.
Doctor Strange non è esente dai problemi, più o meno marcati, di cui in qualche modo sono colpevoli quasi tutti i film Marvel. Tuttavia, le performance del protagonista Cumberbatch e di Tilda Swinton, unite a molte sequenze impressionanti, lo rendono uno spettacolo meritevole di essere visto. D’altro canto, gran parte del tempo viene dedicata alle origini del personaggio, con una storia certamente ottima ma dove tutto va fin troppo secondo copione, rischiando di annoiare i fan di lunga data. Il limite del film è quello di rivolgersi esclusivamente al grande pubblico, quello che del Doctor Strange conosce poco o niente, lasciando agli altri solo lo spettacolo visivo di una prevedibile – ma pur sempre bellissima – storia.
Il regista Scott Derrickson, ingaggiato nel 2014, aveva finora lavorato sempre nel genere horror, dirigendo tra gli altri The Exorcism of Emily Rose e Sinister. Con questa sfida ci regala una tipologia di fantasy del tutto inedita, che mischia elementi classici mutuati sia dai film sulle arti orientali, sia dai film di fantascienza, calandoli in toto nella dimensione cui appartiene questo tassello del sempre più complesso e variegato mosaico Marvel. Il cast è di tutto rispetto, e tra i soli attori principali si registrano Benedict Cumberbatch (Sherlock, 12 anni schiavo), Tilda Swinton (premio Oscar per il suo ruolo in Michael Clayton) e Mads Mikkelsen (miglior attore a Cannes per Il sospetto). Tra i comprimari figurano poi Chiwetel Ejiofor (candidato all’Oscar per 12 anni schiavo), Rachel McAdams (Midnight in Paris, Il caso Spotlight), Benedict Wong (Kick Ass 2, The Martian) e Michael Stuhlbarg (Hugo Cabret, Blue Jasmine).
Come nella versione cartacea, anche qui il protagonista ricorda sotto certi punti di vista Tony Stark, con il suo egocentrismo, la sua saccenza e la sua presunzione. Gli elementi in comune con Iron Man (2008), tuttavia, sono molti di più nella pellicola, soprattutto per la struttura della trama: la grande differenza sta solo nella sostituzione degli elementi bellici e tecnologici con quelli medici e magici. Tutto ciò guadagna ulteriore significato con l’entrata in gioco di una star come Cumberbatch, proprio ora che Robert Downey Jr. si prepara all’addio. La performance dell’inglese, pressoché impeccabile, tiene incollati allo schermo per tutto il film. Cumberbatch dimostra ancora una volta un’incredibile capacità di entrare fisicamente nei personaggi che gli vengono assegnati, e qui riesce a mettere in risalto l’arroganza, la brillantezza e l’unicità del Doctor Strange nella stessa misura in cui lo aveva già fatto con il suo Sherlock. Si conferma, insomma, un maestro nell’interpretare personaggi insensibili e fuori dalla realtà, forse grazie anche al suo volto da alieno.
Il personaggio del Dottor Stephen Vincent Strange non è sempre stato ai margini delle pubblicazioni Marvel. Creato da Steve Ditko nel 1963, è apparso per la prima volta in Strange Tales (albo 110), mentre in Italia è arrivato solo nell’aprile del ‘70 sul primo numero de L’Uomo Ragno. È stato concepito da Steve Ditko per introdurre un diverso tipo di personaggio nell’universo della Marvel Comics, una sorta di collegamento tra due aree in conflitto come scienza e arti mistiche capace di padroneggiare entrambe alla perfezione. Nel numero 115 (dicembre 1963) della stessa testata vengono narrate le origini del personaggio, scritte dallo stesso Ditko e da Stan Lee. I due aggiunsero elementi narrativi ispirati al programma radiofonico degli anni trenta Chandu the Magician, oltre che il caratteristico lancio di incantesimi con nomi scioglilingua, i quali – per ammissione di Lee – sono stati composti senza un vero significato, ma solo per ottenere un suono mistico e misterioso. In breve tempo, il personaggio diventò uno dei più popolari tra gli studenti dei college, grazie ai surreali paesaggi mistici e alle immagini sempre più allucinogene mostrate da Ditko. Non a caso, nel film, per pochi secondi compare un certo uomo sorridente intento a leggere The Doors of Perception di Aldous Huxley.
Tutti gli elementi delle storie scatenavano grandi dibattiti, e venivano analizzati in ogni componente fino a trovare relazioni con miti egizi, divinità mesopotamiche e archetipi junghiani: Doctor Strange anticipò la controcultura americana di quegli anni. Il personaggio è stato molte volte al centro di casi travagliati durante la sua storia editoriale, e nei primi anni agli sceneggiatori vennero persino mosse accuse di utilizzo di sostanze stupefacenti. Un celebre caso avvenne dopo un arco narrativo comparso in Marvel Premiere tra il ‘72 e il ‘74, dove – per evitare polemiche religiose dovute a una trama in cui la Creazione viene presentata come l’opera di uno stregone divenuto onnipotente – gli autori Steve Englehart e Frank Brunner scrissero una finta lettera di plauso da parte di un pastore texano. Lo scrittore George R. R. Martin, notoriamente appassionato di fumetti Marvel Comics, lo ha definito il suo personaggio preferito, elogiando gli archi narrativi del periodo di Strange Tales: «Vive ai confini dell’Universo Marvel e protegge il mondo, la nostra dimensione e il nostro piano da pericoli e forze esterne di cui gli altri personaggi come l’Uomo Ragno e i Vendicatori non immaginano nemmeno l’esistenza. È il nostro baluardo contro Cthulhu, i Grandi Antichi e il temibile Dormammu. Quello è il Doctor Strange al suo apice, e Stan Lee e Ditko lo sceneggiavano proprio in questo modo».
L’abilità dei Marvel Studios nel reinventarsi ogni volta attraverso generi cinematografici diversi, per di più facendola sembrare una cosa semplice, è incredibile: qui, con l’azzardo di adattare un personaggio come Strange, l’abilità è ancora più marcata. Ciò non toglie, tuttavia, la certezza che questa non sia la loro miglior pellicola di sempre. È certamente un fantastico adattamento di Doctor Strange, con una componente visiva meravigliosa e sequenze che mandano lo spettatore al tappeto grazie alla vasta gamma di novità dal punto di vista della costruzione delle scene, ma nel complesso non è abbastanza originale, pur avendo a disposizione tutti gli strumenti per staccarsi dai cliché dei film dei singoli Vendicatori. È diverso da qualunque film Marvel uscito finora, ma non abbastanza; se si esclude il comparto visivo, le premesse dark fantasy vengono stipate nell’identica confezione dei suoi “cugini” su celluloide. Il vero problema risiede però nelle scene di humour, in alcuni casi molto azzeccate e in altri meno. Ci sono film volutamente leggeri, come Guardiani della Galassia o Ant-Man, in cui sotto questo punto di vista c’è molta meno pressione, ma il prodotto finale rimane apprezzabile. Non a caso i due citati sono tra i migliori cinecomics degli ultimi anni, e nel primo caso di sempre. Il problema è che, con un personaggio iconico come Doctor Strange, le scene fuori luogo ammazzano sul nascere lo spunto epico della situazione, rovinando alcune tipiche pose plastiche del personaggio che sarebbero potute essere di grande impatto.
Doctor Strange è decisamente il film Marvel più strano e selvaggio – nella migliore accezione dei due termini – che si sia visto ad oggi. Se Matrix ha rivoluzionato ciò che è possibile mostrare in una scena d’azione, qui succede lo stesso, ma per tre o quattro volte. Colori, luci e immagini al limite dello psichedelico ricordano alcune scene di 2001: A Space Odyssey ed Enter the Void, catturando l’attenzione dello spettatore e lasciandolo a bocca aperta. Aggiungiamo a tutto questo le prospettive ribaltate e le immagini assurde come quelle mostrate in passato da Escher – e già riprese da Inception – e il vostro cervello impazzirà.
Come da tradizione ci sono due scene nei titoli di coda: la prima anticipa ciò che avverrà nella pellicola stand-alone di un altro personaggio del MCU, e la seconda anticipa ciò che avverrà nel sequel diretto di questo film. Incredibile per un film Marvel risulta lo score originale, composto da Michael Giacchino, che riesce a essere davvero memorabile: fino ad ora, questo era successo solo con il primo Thor. Altro apprezzabile e raro evento cinematografico è il 3D, che come in pochi altri casi (per esempio Gravity e Pacific Rim) non risulta superfluo.
Magari non sarà tra i cinque migliori film Marvel, ma Doctor Strange è un film capace di grande intrattenimento e dotato di grandi idee, di una CGI da favola e di scene d’azione uniche, il tutto a contornare un’ottima storia che dimostra uno sviluppo e una conclusione architettati a dovere.
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