Dualità onda-particella. Il concetto fondante della Meccanica Quantistica, uno degli ambiti della scienza che ha portato cambiamenti più radicali alla vita umana, e che di sicuro ne promette ancora molti più. Elettronica, telecomunicazioni, scienze dei materiali, e molti altri ambiti puramente applicativi non avrebbero ragione di esistere senza. Computer quantistico, superconduttività e fusione nucleare, a loro volta, non sarebbero neanche sorti nell’immaginario umano se non fosse per la Meccanica Quantistica.
Vale la pena chiedersi come sia nata. Storicamente, i padri della Meccanica Quantistica sono Max Planck, Albert Einstein, Werner Heisenberg e Erwin Schrödinger. È importante soffermarsi soprattutto su Schrödinger e sulla sua famosissima equazione, che formalizzò matematicamente il concetto della dualità onda particella, che rappresenta le fondamenta di maggior parte della Fisica successiva.
Un concetto così assurdo in principio, in quanto la nostra concezione di onda e di particella sono in netta contraddizione; la logica ci dice che magari siamo solo noi che non riusciamo a capire come sia fatta la materia, ma questa incomprensione sia dovuta alla nostra limitatezza.
Possiamo però mettere ordine ai concetti per poter comprendere cosa si intende quando un Fisico afferma che la materia ha sia proprietà ondulatorie che particellari.
Ciò si ottiene, come spesso succede nella Scienza, facendosi le giuste domande.
“Cosa intendiamo per particella? Cosa intendiamo per onda? Come mai sono inconciliabili? O meglio, lo sono veramente?
La Meccanica precedente alla Meccanica Quantistica si occupa tendenzialmente di disegnare le traiettorie di particelle mosse da forze, spesso approssimandole con punti.
In linea di principio, avendo l’informazione sul moto di ogni particella dell’Universo sarebbe possibile ricostruire sia il passato che il futuro di quest’ultima.
L’onda è un qualcosa di più complicato, e in parte da questo deriva la nostra avversione per la dualità onda particella. Senza neanche definirla, le caratteristiche che per prime saltano all’occhio fanno a pensare a un fenomeno più che a un oggetto.
Prima di tutto pensiamo a un’onda come generata da qualcosa che “vibra”, che si propaga tramite la vibrazione di un supporto. Nella nostra idea, è più un effetto di qualche avvenimento che un oggetto a se stante, qualcosa di passeggero. Quest’idea non è sbagliata: solitamente per onda si intende una perturbazione che si propaga in un mezzo senza che il mezzo si muova effettivamente.
Questo potrebbe far pensare, a torto, che i due concetti siano effettivamente inconciliabili. L’onda è una perturbazione di qualcosa che esiste a sé stante. Ma se una particella è un’onda, che cosa vibra? Ma questa è un’altra storia, e si dovrà raccontare un’altra volta.
In secondo luogo un’onda è in grado di interagire con l’ambiente circostante, anche se spesso impercettibilmente: è in grado di spingere gli oggetti che urta. Basti ricordare il prototipo delle vele solari, fatte proprio per essere spinte dalla luce del sole.
Ma soprattutto, nessuno ha mai detto un’onda non possa essere ben localizzata nello spazio e nel tempo.
Prima di proseguire, è necessario chiarire per bene cosa sia un’onda. Un’onda è un fenomeno ondulatorio caratterizzato da:
– una lunghezza d’onda che funge da “firma” dell’onda e ne definisce le modalità di interazione con il mondo circostante.
– l’ampiezza della perturbazione.
– la modalità di propagazione.
Generalmente un’onda è una soluzione di un’equazione ben precisa. Tale equazione ha come incognita la “forma” della nostra onda. Se l’equazione è abbastanza “bella” si ha che la somma di due onde è ancora un’onda, caratteristica che porta ai fenomeni di interferenza.
A questo punto si può intuire la direzione del ragionamento. Facendo il salto logico, si può dire che ogni oggetto descritto da un’equazione d’onda è a sua volta un’onda e ora non sembra più così strano dire che una particella possa esserlo, sempre a patto di rinunciare di descriverla come un punto. Questo è proprio ciò che fece Schrödinger a suo tempo, inserire a mano le caratteristiche delle onde nella descrizione delle particelle. Poi vide che questo consentiva di ottenere in modo molto pulito ciò che prima di allora si riusciva a teorizzare solo facendo un gran numero di assunzioni ad hoc per spiegare i dati sperimentali, già esistenti da tempo. Si guadagnava, insomma, in eleganza e in possibilità di effettuare previsioni.
Con queste premesse, Schrödinger arrivò a formulare la sua famosa equazione, che di fatto tratta la particella come un’onda.
Il carattere delle interazioni della luce con il mondo circostante dipende, come già detto, dalla lunghezza d’onda. Da essa dipende la nostra capacità di descrizione dell’onda. Se pensiamo alla luce, possiamo intuire che affinché essa sia descrivibile in raggi è necessario che l’oggetto non provochi interferenze.
Se questo non succede, vi è una vasta gamma di fenomeni che entra in gioco quando lunghezza d’onda e dimensioni sono simili, e tutti implicano l’abbandono l’approssimazione dell’ottica geometrica e il raggiungimento della cosiddetta ottica fisica.
D’altro canto, anche la descrizione del moto delle particelle tramite le traiettorie creava non pochi problemi: ai tempi di Schrödinger, era già stata proposta un’associazione tra materia e onde da parte di De Broglie e Bohr, in relazione a problemi inconciliabili tra la Meccanica Classica e la descrizione degli atomi.
Schrödinger si interrogò perciò se il fallimento della descrizione della luce in raggi dell’ottica geometrica per certe lunghezze d’onda non avesse un analogo in Meccanica, tramite un meccanismo ondulatorio a livello microscopico non comprensibile macroscopicamente. Questa intuizione non fu l’unica cosa che supportò Schrödinger nella proposizione della trattazione ondulatoria della materia. C’era anche la fiducia profonda, tipica di fisici e matematici, nelle equazioni che descrivono la meccanica con equazioni molto simili a quelle descriventi l’ottica fisica.
Le equazioni che governano le traiettorie delle particelle e quelle per i raggi di luce non erano per nulla prive di analogie. I princìpi di Fermat e Maupertuis, che meriterebbero tutto un articolo a parte, sono i cardini della comprensione dei fenomeni meccanici e ottici.
Il principio di Fermat afferma che un raggio di luce, per arrivare ad un punto B a partire da un punto A sceglierà la traiettoria che gli consente di arrivare dal punto iniziale a quello finale nel minor tempo possibile. Il principio di Maupertuis invece afferma che ogni corpo percorrerà la traiettoria che gli consente di minimizzare la fatica spesa nel corso del moto.
La cosa più bella è che sono princìpi, ovvero affermazioni non dimostrate su cui si basa tutto l’edificio teorico, derivati dalla convinzione di un buon comportamento della natura.
L’analogia tra i due principi spinse Schrödinger a collegarli, a dire che che la particella debba avere anche un aspetto ondulatorio.
Ciò che ottenne è proprio la sua famosa equazione, che descrive gli oggetti del mondo quantistico tramite funzioni d’onda. State attenti, però. Ciò non vuol dire che l’aspetto particellare è stato completamente abbandonato. Anzi, al contrario, gli aspetti particellari e ondulatori sono ben collegati. Energia e frequenza, velocità dell’onda e velocità della particella hanno legami ben definiti dalla famosa costante di Planck h.
Una volta acquisita abbastanza dimestichezza con la Fisica, si riconosce inevitabilmente che equazioni simili portano a similitudini tra fenomeni. Banalmente perché l’equazione è il prodotto finale di un processo logico in cui si combinano vari aspetti fisici di un fenomeno per ottenerne una descrizione matematica.
La domanda che rimane da porsi è: ha veramente senso tentare di distinguere l’aspetto particellare e ondulatorio imbarcandosi in un’inutile dualità?
I concetti contenuti in quest’articolo si riveleranno utili per tentare di dare una risposta a questa domanda.
Eterno studente di Fisica. Momentaneamente devoto al culto dei formaggi, delle baguettes e del vino.
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