Mentre la campagna elettorale per le presidenziali americane si appresta a giungere alla sua fase finale, il confronto fra Hillary Clinton e Donald Trump non vede ancora emergere un vincitore chiaro e definitivo.
Sarebbe ingenuo affermare altrimenti, nonostante la maggior parte dei sondaggi veda quale favorita la candidata democratica: l’utilità degli strumenti di proiezione è più che mai relativa, e più utile sul piano mediatico che su quello della statistica oggettiva: ciò a causa sia dei campioni che dei metodi utilizzati. Molti di essi, infatti, sembrano tenere in considerazione categorie socio-economiche che appaiono obsolete, inaccurate e non in grado di predire la reale incidenza della variabile Trump, tendenzialmente estranea alle logiche classiche del bipartitismo statunitense. Si pensi, a titolo di paragone, all’exploit condotto da Beppe Grillo alle elezioni italiane del 2013. In molti casi, per di più, il campione utilizzato è eccessivamente ristretto per poter calcolare adeguatamente un distacco nell’ordine dei cinque o dieci punti percentuali.
In sostanza, la battaglia è ancora aperta ad ogni possibile scenario ed è facile intuire che, nelle tre settimane che separano gli Stati Uniti dall’8 novembre, i due candidati giocheranno ogni carta a propria disposizione per giungere alle urne con il margine più netto possibile.
Battaglia, questa, condotta principalmente a colpi di delegittimazione dell’avversario, piuttosto che con la reale propugnazione del proprio programma politico. Certamente i periodici dibattiti stanno producendo discussioni politiche interessanti, ma il reale confronto sta avvenendo a furia di colpi sotto la cintura da ambo le parti, amplificati dall’estremo calore dei riflettori dei media e dell’opinione pubblica mondiale. Non si tratta certamente di una sorpresa, data la tradizione culturale americana, che già dalla campagna “Yes, we can” di Barack Obama ha assistito all’estremizzazione di una politica nazionale già molto improntata al personalismo.
Nella presente occasione, però, i tratti scandalistici e gli attacchi diretti all’avversario si fanno sentire ben più di quanto mai sia avvenuto nella storia delle presidenziali statunitensi. L’espressione “circo mediatico” sta trovando la sua migliore realizzazione nei pesanti fardelli che ciascuno dei candidati si trascina dietro, quali la misoginia di Trump e i segreti della Clinton. Quando si ha a che fare con due protagonisti così facili da mettere in imbarazzo, il fatto che le discussioni sul programma passino in secondo piano è una triste normalità ed un fatto di convenienza.
Basti pensare alla carenza di dichiarazioni da parte dei due sfidanti riguardo l’uragano Matthew, che nei giorni scorsi si è abbattuto sulla costa orientale del Paese: solo la Clinton ha fatto un timido tentativo in tal senso. Ma, in qualsiasi altro contesto, uno sciacallaggio mediatico sull’argomento sarebbe stato una manna dal cielo per qualunque candidato che avesse voluto mettersi in buona luce rispetto agli argomenti del riscaldamento globale e della protezione civile. Il punto è proprio che non ve ne sia stato bisogno, essendo i media già saturati dall’ultimo scandalo a sfondo sessuale di Trump e dal rilascio da parte di Wikileaks di nuove mail private della Clinton. A risentirne, ovviamente, è il dibattito politico.
Per l’appunto, è probabile che le prossime tre settimane si svolgeranno seguendo la consueta falsa riga: cristallizzato da tempo – salvo che in occasione dei faccia a faccia e dei comizi – il dibattito sui programmi, è ora ufficialmente aperta la caccia allo scandalo di maggiore rilievo.
Trump, a tal proposito, sembra messo in scacco: il suo personaggio è costantemente alla mercé delle proprie abitudini volgari, che travalicano spesso e volentieri i confini della misoginia e del razzismo, ed ultimamente perfino di occasioni che lo vedrebbero protagonista di presunta violenza sessuale ai danni di più donne. Rimane inoltre da chiarire la sua posizione in merito all’evasione dei tributi federali, nonché dei flop finanziari che ridimensionerebbero fortemente il ruolo di grande imprenditore che egli si attribuisce da sempre. È probabile che i media “pro Clinton” continueranno a battere questo terreno ben collaudato, il quale difficilmente mancherà di fornire altri scoop nel breve periodo.
Ma sarebbe altresì sbagliato ammettere l’invulnerabilità della Clinton agli scandali: sebbene l’ex first lady non sia in questo senso un bersaglio facile come può esserlo Trump, una sua caduta rovinosa può provocare, potenzialmente, molto più rumore. A tal proposito è ancora da verificare l’impatto mediatico dell’ultima tornata di mail rese pubbliche, ed in particolare quella in cui la Clinton affermerebbe di essere a conoscenza del finanziamento all’ISIS da parte di Arabia Saudita e Qatar. La stessa Arabia Saudita, peraltro, assieme ad una serie di altri eccellenti donatori tra i quali giganti della finanza e dell’industria, finanzia la Bill, Hillary & Chelsea Clinton Foundation, l’organizzazione a scopo umanitario della candidata democratica, in quella che risulta essere una grave assenza di trasparenza, oltre ad un diretto finanziamento da parte di un Paese le cui politiche sociali sono direttamente contrarie all’ideologia progressista di una Hillary che si sta ritrovando ad essere condottiera del femminismo, contro la misoginia del suo avversario. È proprio l’attitudine all’eccessiva segretezza dimostrata nelle vesti di Segretario di Stato, nonché nel recente episodio riguardante la sua polmonite, il potenziale ordigno che potrebbe deflagrare qualora ulteriori documenti illeciti o compromettenti facessero la loro improvvisa comparsa. Sarebbe impossibile risollevarsi da un colpo di questo tipo, specialmente se ricevuto a pochi giorni dall’Election day, ed in particolare nei confronti di un personaggio come Trump che della segretezza non ha mai fatto la sua arma, preferendo mostrare pubblicamente le grottesche fattezze del suo personaggio.
Sulla base di questi elementi propagandistici, e non potendo prevedere le reazioni di Hillary e Donald ai futuri avvenimenti programmati o inaspettati, non è ancora possibile individuare l’esistenza di un chiaro vincitore. È tuttavia possibile ribadire la presenza di un piccolo sconfitto, in realtà mai favorito in un’elezione per molti improntata alla scelta del “male minore” ed alla prepotenza mediatica: il dibattito politico, quello costituito dal confronto di idee e posizioni avverse.
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