Esistono dozziliardi di manga e quindi anime su tematiche sportive, a tal punto che hanno dovuto inventarsi un genere, gli spokon, che a me suona più come una parolaccia detta da un tedesco incazzato, ma vabbè. Più o meno la totalità di questi spokon narrano le epiche vicende di un gruppo di sfigati ultratalentuosi che, contro ogni aspettativa, vincono il campionato liceale, o qualcosa del genere.
Slam Dunk, apparentemente, rientra a pieno titolo in questa definizione. Squadra di giocatori sgangherati ma fortissimi? Check. Rivali snob e arroganti che se la prendono in quel posto? Check. Maturazione dei personaggi nel corso della serie, da veri e propri teppisti che sembrano usciti da un “delinquent manga” a bravi ragazzi con in testa solo il basket? Check. Liceali giapponesi con fisici e abilità di gioco che non vedi neanche all’NBA? Check. E allora, perché Slam Dunk viene spesso e volentieri considerato il miglior manga sportivo di sempre?
Partiamo dalle origini. I cinque giocatori di punta dello Shohoku, liceo di quart’ordine pieno di teste calde, iniziano come dei completi cazzoni. Mitsui, talento delle medie, è un vero e proprio delinquente. Rukawa, un viziato egocentrico con un hobby che gli sta più a cuore del basker: dormire. Akagi, apparentemente il più serio, è in realtà un buzzurro e pure più scarso di quello che crede. Miyagi è un teppista e un morto di figa. Sakuragi è un teppista, un morto di figa e non sa neanche giocare. Sì, come ho detto, nel corso dei volumi (e delle puntate dell’anime, che rende vagamente giustizia all’originale ma viene tagliato sul più bello) l’evoluzione dei personaggi è palpabile: Mitsui capisce che il basket è la cosa che ama più di tutte e si dà una regolata, Miyagi diventa un po’ meno cazzaro, Akagi si rende conto dei propri limiti, Rukawa impara a giocare non per se stesso ma per la squadra, Sakuragi impara a giocare. Ma l’evoluzione dei personaggi non è irragionevole ma graduale e credibile, né imparano mosse al limite della fantascienza come Holly e Benji o diventano irragionevolmente più forti come negli shonen: i loro progressi nel gioco sono effetto di duro allenamento, sacrifici e risoluzione di conflitti interiori che si manifestano anche durante le partite. Volendo, è l’etica giapponese del “se vuoi aspirare a qualcosa nella vita, devi farti un culo tanto” in azione, ma in fondo quelli che si sbattono sono personaggi bidimensionali mentre noi stiamo in panciolle sul divano, quindi va bene così.
Ci sono altre due aspetti che rendono Slam Dunk memorabile: il primo è che, almeno all’inizio, non sembra un manga sportivo, ma più un “Delinquent Manga” che tratta di liceali che passano le giornate a scambiarsi mazzate tra gang come fossero yakuza (mi sono sempre chiesto se esistono davvero delle scuole giapponesi così efferate e crudeli), sul genere di Due come Noi, Shonan Junai Gumi o Worst, al massimo con qualche ambizione da commedia romantica. Entrambi queste sfumature si diluiscono man mano che il manga tratta sempre più di basket, ma continunano ad avere un certo peso, rendendo i capitoli “filler” tra una partita e l’altra particolarmente esilaranti o con scenette demenziali tra un’azione e l’altra.
Ma soprattutto, ciò che rende Slam Dunk migliore delle sue controparti calcistiche, pallavolistiche o quel che é, sono le partite. Lunghe, eh, in alcuni casi sono raccontate tutte le giocate, senza neanche un’ellissi. Ma mai, o quasi, pallose: questo perché ogni partita importante vede la risoluzione progressiva di una serie di tematiche legate ai personaggi, a volte anche con dei flashback (senza abusarne come, ehm, tutti gli altri spokon), ma sempre con un certo equilibrio tra sviluppo dell’azione e della trama. Ciò raggiunge la sua consacrazione, nell’ultima, lunghissima partita, contro il fortissimo team di pelatoni Sannoh Kogyo: oltre a un concatenarsi di scene discretamente epiche, l’evoluzione di tutti i giocatori dello Shohoku raggiunge qui il culmine. E non vi dico altro per evitare spoiler.
Slam Dunk in Giappone è stato più di un manga bestseller, un vero e proprio fenomeno culturale, al punto da portare un boom di iscrizioni ai prima sfigatissimi club di basket. Dalle nostre parti non ha mai goduto di una diffusione mainstream (come del resto per nessun spokon dopo Holly e Benji e Mila e Shiro), in compenso la pubblicazione del manga nei volumi ultrasottili della Planet Manga alla fine degli anni ’90 e la trasmissione dell’anime su MTV nel 2000-2001 lo hanno portato a una discreta popolarità tra i giappofili che in qualche modo è sopravvissuta fino ai nostri tempi, se pensate che al Lucca Comics un paio di Sakuragi li beccate sempre.
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