Quando ormai colleghi il fatto che a Roma pioverà a dirotto per tutto il week end e che ciò coinciderà con quella data segnata sul calendario sai che non hai scampo: ti prenderai la febbre, forse uscirai zuppo ed infreddolito, ma il concerto lo ricorderai come leggendario. Per gli Afterhours questo e altro, al cuor non si comanda.
Ed ecco che sotto ad un violento temporale nel caratteristico Forte Prenestino cominciano – nonostante tutto, ma prevedibilmente – ad affluire gli impavidi spettatori. Sono attese cinquemila persone, tante quanti i biglietti stampati, per evitare un probabile caso di sovraffollamento dato dalla enorme proposta artistica della serata; a difesa degli spazi liberati ed autogestiti di cui il Forte è da anni l’emblema si schierano gli Afterhours e gli Zu.
La band milanese capitanata dal magnetico frontman Manuel Agnelli è una vera istituzione, e non ha alcun bisogno di presentazione: viene dal tour in Italia a supporto dell’ultimo album uscito in estate “Folfiri o Folfox” e dichiara di voler concludere alla grande nella cornice del Forte Prenestino una tournee che ha inanellato sold out su sold out in tutte le città che hanno incrociato il suo passaggio.
Verso le dieci e mezza ecco salire sul palco gli Zu, non conosciuti dalla maggior parte del pubblico, che nonostante ciò apprezza la proposta musicale. Chi invece ha avuto già modo di ascoltarli sa che sono una band tanto venerata quanto “underground”, sempre che sia giusto etichettarli così quando da oltre vent’ anni questa calca i palchi d’Italia, Europa, Asia, America ed Africa.
La band romana è formata da tre membri – un basso distorto, una batteria indemoniata e un sassofono che fa da chitarra – che danno vita a un amalgama di suoni a metà strada da lo psichedelico ed il prog, a passaggi jazz si alternano sfuriate hardcore e deliri King Crimsoniani; “pestano” parecchio e sanno ricreare atmosfere “sulfuree” incontrate nel metal più crudele e nel punk più estremo. Sound dunque particolarissimo quello degli Zu, una band decisamente fuori dagli schemi, pronta ad andare contro tutto e tutti: del resto “Tom Araja is our Elvis” è il loro celebre slogan…
A questo punto inizia la lunga pausa di transizione dal gruppo di apertura alla band di copertina: persone intirizzite che si stringono fra loro per combattere freddo e pioggia, gente che testa la tenuta di improvvisati ripari contro il temporale, prevedibili monologhi da centro sociale degli organizzatori, con ben sette persone differenti a perorare cause a cui il pubblico risponde con scarso interesse e malumore visto il protrarsi dell’attesa per gli Afterhours, ma soprattutto una caratteristica ragazza che bestemmiando con il megafono inveisce contro il pubblico accusandolo di non prendersi cura dei “reali problemi del mondo” preferendo piuttosto ascoltare un banale gruppo musicale, il tutto condito da gestacci verso la folla che risponde con fischi e boati (del resto, il Forte è anche questo…); archiviate tutte queste pratiche, è finalmente il momento del gruppo che tutti aspettano.
Sale finalmente sul palco Manuel Agnelli che con un brevissimo cenno saluta il pubblico, imbraccia la chitarra ed intona “Grande”, brano tratto dal nuovo “Folfiri o folfox” – traccia di apertura dell’album – che ha avuto il difficile ruolo da opener degli ultimi live. L’acustica è davvero ottima e di volume altissimo: la potente voce del frontman degli Afterhours raggiungerà tutti, nessuno si lamenterà come spesso accade dei “volumi risparmiati”.
I musicisti, davvero in splendida forma, eseguono un paio di nuovi brani ed ecco che ringraziano gli organizzatori, il pubblico, la causa (“E’ importante spargere la voce, abbiamo tutti bisogno di posti come questo!”) ed i fonici che li hanno supportati durante il difficile tour estivo in Italia (che si conclude con questa data).
Parte il singolo strappalacrime “Non voglio ritrovare il tuo nome”, seguito dalla prima vera gemma per i più nostalgici: la “Ballata per la mia piccola iena”, che viene cantata da tutti; la tensione è palpabile e gli occhi sono lucidi.
Il chitarrista-polistrumentista Xabier Iriondo suona quasi in preda a una possessione demoniaca, come fosse stato appena morso da una tarantola e come del resto ha da sempre abituato il fedele pubblico. Tutta la band trasmette un’energia e una passione straordinarie: gli Afterhours sanno davvero tenere il palco e essere affiatati come pochi altri colleghi. La scaletta prosegue incentrata sugli ultimi due dischi, ma è durante il vero e proprio inno rock della band “Male di miele” che si registra un picco di adrenalina (e no, stavolta non verrà eseguita “Lasciami leccare l’adrenalina”, ndr.).
Dopo una breve pausa la band ritorna più carica di prima (se possibile) e pronta all’assalto finale. Manuel ormai senza maglietta diventa il giusto bersaglio di biancheria intima (che verrà anche indossata dallo stesso…): bisogna ammettere che in effetti il carisma è quello di sempre ed il fisico non sembra sentire il peso degli anni. Vengono eseguiti in batteria forse i due pezzi più vintage della band: “Strategie” manda il visibilio il pubblico mentre “Pop” nella sua versione acustica ed intima concede anche qualche fiammella di accendino, accesa e non spenta dalla pioggia che tende a diminuire.
Mancavano all’appello, e vengono dunque eseguite come bis “Non è per sempre”, che viene suonato a strofe invertite (volutamente?), “Quello che non c’è” e la leggendaria “Bye bye Bombay” che live rende decisamente molto più che su disco e ormai chiude i concerti degli Afterhours da anni.
Una serata che verrà ricordata da tutti. In primis dalla band che non nasconde quanto ci tenesse a essere presente – nonostante le avversità climatiche – e che ringrazia il pubblico per aver reso possibile un concerto che resterà sicuramente nella storia del gruppo. Riempire una location come il Forte Prenestino per una onorevole causa, riuscire a farlo nonostante un diluvio che farebbe desistere chiunque e riuscire a far cantare le oltre quattromila persone sotto la pioggia non è cosa da tutti. Forse è solo una cosa da Afterhours.
Articolo scritto in collaborazione con Francesco Stati
Se la mia vita fosse perfetta mi trovereste sempre sotto ad un palco. Scrivo di musica, e ne ascolto tantissima. Studio a Scienze Politiche perché mi piacerebbe conoscere e saper affrontare qualsiasi argomento possibile. O forse perché ho paura ad addentrarmi troppo nei contorti meandri di materie scientifiche. Suono il basso, in un gruppo metal di cattivi ragazzi, di quelli che fanno riti satanici quando c'è luna piena. Amo l'arte, in tutte le sue forme. Anche la preparazione di una carbonara è arte. Vado fuori di testa ad ogni rappresentazione della Tosca. Ah, il tiro "Alla Del Piero" è arte.
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