Il ciclismo, come tutti gli sport, è capace di regalare pagine e pagine di storie che trascendono la storia sportiva e finiscono nell’epica sportiva. Controllato dall’UCI (Unione Ciclistica Internazionale), questo sport su strada – di cui la resistenza e la forza costante sulle lunghe distanze sono le caratteristiche principali – ha una sua prima versione agonistica nel 1868, 7 anni dopo l’Unità d’Italia. Una corsa disputata sulla notevole distanza di 1200 metri, nel parco di Saint Cloud, a Parigi, con dieci concorrenti alla partenza. L’anno successivo, su di un percorso tra Parigi e Rouen, 203 ciclisti, tra cui sei donne sotto falso nome, percorsero i 135 chilometri che separano le due città francesi in quasi 11 ore. A vincere entrambe le gare fu un inglese residente a Parigi, James Moore. Da allora il ciclismo si è diffuso a macchia d’olio in tutto il mondo, istituendo corse giornaliere divenute classiche come la Milano – Sanremo e la Parigi – Roubaix o corse a tappe, dalla durata circa di un mese, come il Tour de France, la Vuelta a España e il nostro Giro d’Italia di cui quest’anno si corre l’edizione numero 100. E nelle varie pagine di storia sportiva scritte da Fausto Coppi, Learco Guerra, Eddy Merckx, Miguel Indurain, Marco Pantani e, attualmente, da Alberto Contador e Vincenzo Nibali, una pagina che merita di essere raccontata è quella di una donna pioniera del ciclismo, Alfonsina Strada.
Alfonsina nacque a Castelfranco Emilia nel 1891, seconda di dieci figli di una coppia di braccianti, Carlo Morini e Virginia Marchesini. E fu proprio il padre che, nel 1901, portò a casa una bicicletta quasi da rottamare ma ancora funzionante, e fu su di questo mezzo che la futura Alfonsina Strada imparò a pedalare. Pedalando e appassionandosi allo sport su due ruote, già a 14 anni partecipò a diverse gare locali. Per lo spirito agonistico che metteva in strada fu definita dalla gente del posto “Il Diavolo in Gonnella”, ma la promettente carriera da ciclista di Alfonsina non fu vista di buon occhio dai genitori, che dissero senza pochi giri di parole che per continuare questa passione doveva sposarsi e andare via di casa. Si sposò quindi con Luigi Strada, che come regalo di nozze le donò una bicicletta nuova e, oltre a darle il cognome, ne divenne il primo tifoso nonché manager, trasferendosi a Milano nel 1916. Una decina d’anni prima Alfonsina Strada inoltre si era fatta le ossa correndo diverse domeniche a Torino, battendo anche la famosa Giuseppina Carignano e facendosi notare nell’allora primordiale ciclismo femminile, vincendo pure alcune gare su pista in Francia nel fu Velodromo del Parco dei Principi, 70 anni prima della ristrutturazione che ha dedicato lo stadio parigino solo al rugby e al calcio.
1917. Cinque anni dopo il naufragio del Titanic, nel bel mezzo della Prima Guerra Mondiale che imperversava nel vecchio continente, Alfonsina si presentò alla redazione de La Gazzetta dello Sport per chiedere di iscriversi al Giro di Lombardia, organizzato dal quotidiano rosa. Essendo tesserata come dilettante di seconda categoria non infrangeva alcun regolamento e il patron della corsa Armando Cougnet ne accettò l’iscrizione. Fu la prima volta che la ciclista emiliana partecipava a una corsa sfidando atleti di sesso maschile, negli anni di Gaetano Belloni e di Costante Girardengo, il corridore la cui presunta amicizia con il bandito Sante Pollastri ha dato modo a Francesco di Gregori di cantare il famosissimo pezzo Il Bandito e il Campione. Tornando al novembre del 1917, alla fine dei 204 chilometri nella campagna lombarda si impose il corridore belga Thys davanti a Pélissier, mentre Girardengo giunse decimo. Alfonsina fu maglia nera, arrivando ultima assieme ad altri due ciclisti, a discapito di una ventina di corridori che non arrivarono al traguardo del Parco Trotter. Alfonsina Strada si presentò l’anno dopo di nuovo al Giro di Lombardia, giungendo ventunesima a 23 minuti dal vincitore Gaetano Belloni. La Regina della Pedivella a questo punto è risoluta a partecipare all’altra corsa organizzata dalla Gazza: Il Giro d’Italia.
Il già citato Armando Cougnet, che permise la partecipazione di Alfonsina Strada ai due Giri di Lombardia, ed Emilio Colombo, il direttore della Gazzetta dello Sport, permisero la partecipazione di Alfonsina Strada all’edizione numero 12 della corsa a tappe, probabilmente per mero carattere promozionale. Le squadre più forti per partecipare alla corsa avevano chiesto delle ricompense in denaro, e in seguito al rifiuto degli organizzatori disertarono la corsa, causando l’assenza dei campioni di allora come Bottecchia e Girardengo.
L’organizzazione permise l’iscrizione ai corridori individuali, che, correndo da soli, dovettero essere mantenuti dagli organizzatori: questi ultimi, assieme ai ciclisti partenti da Milano, fecero partire anche quintali di cibo e di acqua per rifocillare gli atleti nelle varie tappe. E tra questi corridori, con il numero 72, c’era Alfonsina Strada, la cui partecipazione da alcuni degli organizzatori fu definita una pagliacciata. Nell’elenco dei nomi degli atleti partenti figurò infatti Alfonsin Strada, con la “A” omessa forse per errore o forse no, e soltanto il giorno stesso della partenza fu chiarito che la partecipante era proprio la ciclista emiliana. Il Giro d’Italia del 1924 si snodò per 3613 chilometri in 12 tappe e per Alfonsina fu molto difficoltoso reggere il passo dei concorrenti maschi, ma riuscì, sebbene con alcune ore di ritardo, a tagliare il traguardo di tappa, dove comunque veniva accolta dal pubblico che aspettava l’atleta. Giunse però fuori tempo massimo durante la tappa L’Aquila – Perugia, ma i membri della giuria inizialmente non vollero estrometterla dalla corsa, per poi optare per l’esclusione dalla classifica del Giro. Alfonsina Strada avrebbe quindi preso parte alle restanti tappe, ma ai fini della classifica i suoi tempi non sarebbero stati conteggiati. Il Giro fu vinto da Giuseppe Enrici, che staccò di quasi un’ora Federico Gay, davanti ai rimanenti 28 dei 90 partenti. E, tra questi trenta arrivati, figurò pure Alfonsina Morini Strada, l’unica donna che nella storia del Giro abbia gareggiato contro i maschi. La Regina della Pedivella, complice un po’ di maschilismo, non partecipò più al Giro d’Italia negli anni successivi, togliendosi però molte soddisfazioni vincendo 36 corse contro corridori maschi, conquistando stima e amicizia con Costante Girardengo e altri campioni delle due ruote.
Alfonsina morì nel 1959, a causa di una crisi cardiaca a 68 anni mentre metteva a posto la sua Moto Guzzi nel garage del negozio di biclette che iniziò a gestire alla fine della sua attività sportiva. Ma il suo ricordo vive in libri come quello scritto da Paolo Facchinetti, Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada, in un paracarro rosa esposto al museo del Paracarro di Pergine Valsugana e nelle canzoni, come quella dei Têtes de Bois intitolata Alfonsina e la bici, o in quella dell’epoca di Alfonsina, Bellezza in Bicicletta, cantata dal Trio Lescano e da loro dedicata alla ciclista emilana. Ma oltre a libri, paracarri e canzoni quello che resta è come Alfonsina Strada sia andata contro i pregiudizi e le convenzioni sociali dell’epoca, dimostrando la democraticità e l’uguaglianza delle due ruote a pedali, in uno sport di resistenza e forza di volontà che a volte può rivelarsi fatale.
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