Le offensive del governo siriano contro ribelli e fondamentalisti islamici hanno provocato un significativo spostamento dell’attenzione pubblica verso il mediterraneo orientale senza prendere in considerazione la situazione della Libia. Sulla sponda sud del mediterraneo, dopo l’improvvisa controffensiva di metà marzo in cui le forze di Haftar avevano tentato di prendere i terminal petroliferi di Ras Lanuf, nonostante i tentativi di mediazione da parte delle Nazioni Unite i conflitti sono proseguiti.
Subito dopo l’offensiva delle Brigate di Difesa di Bengasi di inizio marzo, infatti, il vice premier del governo di Tripoli (Ahmad Mateeq) e il ministro degli esteri (Mohamed Siala) si sono recati a colloquio con il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov per parlare principalmente di una ricomposizione delle tensioni tra governo tripolino e Cremlino che nei mesi precedenti, in barba ad ogni provvedimento Onu, aveva promosso ed incoraggiato il regime di Tobruk attraverso la fornitura di materiale bellico ed expertise militare. In tale occasione Lavrov aveva espresso la volontà di far accordare i due governi libici e porre fine alla situazione creatasi “barbaro” intervento guidato dalla NATO che aveva rovesciato Gheddafi nel 2011 ma senza individuare una leadership affidabile per il paese che era caduto nelle mani dell’islamismo estremista.
Il governo di Tobruk, nel frattempo, lanciò una violenta controffensiva diretta verso i territori persi che ricomprendevano la striscia costiera tra Ras Lanuf e Nofaliya, luogo estremamente importante per la produzione energetica libica in quanto vi sono concentrati impianti di raffinazione e terminal petroliferi. L’offensiva del golfo di Sidra riconsegnò alle disponibilità di Haftar la c.d. “mezzaluna petrolifera”. Nel frattempo, presso Sirte, le forze del governo di Tripoli erano impegnate ad eliminare le ultime sacche di resistenza dello Stato Islamico e degli affiliati presso i quartieri portuali della città.
Il governo di Tobruk colse l’opportunità per fare marcia indietro sull’eventualità di mantenere l’accordo supportato dall’ONU con la controparte tripolina. Il parlamento di Tobruk (erede di quello regolarmente votato prima della recrudescenza del conflitto civile) fece inoltre appello alla propria commissione elettorale affinché predisponesse una tornata elettorale da tenersi prima di febbraio 2018: una scelta, insieme al ritiro dell’appoggio alla proposta ONU, appoggiata da Russia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto.
Aprile si è aperto con nuovi scontri tra Tripoli e Tobruk: un gruppo di fuoco appartenente al governo orientale ha assaltato la residenza del Governatore della Banca Centrale Libica a Tripoli, mentre nuove schermaglie tra le forze di Al Sarraj e Haftar proseguivano in tutto il paese da nord a sud. Un attacco di Haftar ad alcune basi aeree situate nella Fasanìa e appartenenti al governo tripolino ha lasciato sul terreno tre morti per parte, senza che vi fossero effettive conquiste di terreno da una parte o dall’altra: l’unico risultato apprezzabile fu quello di aver incancrenito ulteriormente le relazioni tra i due governi.
Al termine di Aprile, tuttavia, si sono aperti i primi spiragli per una possibile soluzione di pace tra le due fazioni e buona parte del merito è del paese più vicino (non solo geograficamente) e che probabilmente meglio comprende la Libia rispetto al resto d’Europa: tra 23 e 24 Aprile alla Villa del Priorato dei Cavalieri di Malta il Ministro degli Esteri italiano Angelino Alfano ha accolto i presidenti Abdulrahman Sewehli del Governo di Accordo Nazionale e Ageela Saleh della Camera dei rappresentanti. Durante le trattative sono stati raggiunti diversi accordi i cui dettagli non sono stati resi immediatamente noti ma che si possono evincere osservando gli eventi successivi.
Due settimane dopo, infatti, Al Sarraj e Haftar si sono incontrati ad Abu Dhabi per discutere del futuro della Libia e di un possibile compromesso: Haftar, ora comandante in capo delle forze del governo di Tobruk, diventerebbe Ministro della Difesa nel nuovo governo di unità nazionale e sarebbe in grado di condurre la sua lotta contro l’estremismo religioso (l’obiettivo iniziale dell’Operazione Dignità) sfruttando le risorse di Tripoli. Il cambiamento di Haftar è dovuto probabilmente alle pressioni emiratine, a loro volta incoraggiati in questo dagli Stati Uniti, che sotto la presidenza Trump si stanno progressivamente riavvicinando al Medio Oriente e alla penisola araba.
La pace è vicina? Probabile. Ma l’accordo stipulato nei giorni scorsi rischia di scontentare un’anima importante del governo tripolino, ovvero quella degli islamisti. A questi (che compongono una fetta importante del paese) va data una contropartita importante in grado di favorirne la parlamentarizzazione e l’incorporazione delle loro istanze nell’assetto della nuova Libia che andrà a sorgere nei prossimi anni. In secondo luogo, l’estromissione e la neutralizzazione dei gruppi islamisti meno moderati è un ulteriore passo a sostegno del processo di pace, che risulta essere quantomai necessario per il ritrovamento di un assetto nazionale credibile e stabile negli anni a venire.
Studente studioso delle Relazioni Internazionali, particolarmente interessato a temi vicini alla Sicurezza (Inter)Nazionale. Orologiaio che cerca di capire il funzionamento di un sistema composto da 7 miliardi di ingranaggi.
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