(Marchetta: questo articolo è stato di ispirazione al mio ebook “Un Gaijin in Giappone”, tra il diario di viaggio e e l’epopea demenziale. Se vi interessa, lo trovate a 2.99€ su tutti gli store di ebook).
Come testimoniano gli articoli che dovreste vedere sulla destra, se ho messo bene i tag, ultimamente sono stato in Giappone, e avendo per una volta fatto qualcosa di veramente figo mi sento in dovere di vantarmene con voi poveri stronzi che avete passato le ferie a Marina di Massa o, se proprio vi è andata di lusso, a Gallipoli. Beh, le persone con cui ne ho parlato, esaurite le domande di rito sui cessi, sul ramen e sull’autismo, pare che abbiano le idee un po’ confuse sul Giappone, si vede per colpa delle dodicenni maggiorate negli anime. Tutti, o quasi, mi chiedono infatti se ci sono le puttane vestite da personaggi dei cartoni, se ho visto i salarymen che si masturbano in metropolitana e, soprattutto, se è vero che esistono i distributori di mutandine usate. Ebbene, sì, posso soddisfare la vostra curiosità a proposito. Ma andiamo per punti.
Beh, sì, se gli occhi a mandorla sono conosciuti in tutto il mondo per la pornografia raccapricciante e l’animazione sconcia un motivo ci sarà. Il fatto è che il carico di stress che la società giapponese impone ai suoi sfortunati cittadini, dai famigerati test scolastici e universitari alle 14 ore al giorno di lavoro per un capo oppressivo e ingrato, per non parlare della pesantezza delle norme sociali, li rende inclini a sfogarsi nel modo più becero nel loro tempo libero, che sia con aberranti fantasie onanistiche nel privato del proprio monolocale o con palpeggiamenti alle scolarette nel treno affollato. Quando si parla di criminalità in Giappone infatti non si citano i borseggiatori o i topi d’appartamento, e neanche gli yakuza, ma i chikan, lemma tecnico che indica proprio i molestatori da metropolitana. Si tratta di comportamenti tanto comuni (anche perché pare che le vittime si vergognino troppo per reagire, e spesso subiscono in silenzio) che hanno dovuto mettere le carrozze per sole donne, fenomeno credo unico al mondo. In pratica, se siete una ragazza e siete in Giappone, state tranquilli che nessuno mai avrà il coraggio di provarci con voi al bar o in discoteca (nessun giapponese, almeno), mentre invece durante ogni viaggio in metropolitana rischierete di essere palpata da 50enni libidinosi, o peggio.
Giocattoli erotici e pornografia ovunque
Se avete una conoscenza minima di internet, questo è un punto che non dovrebbe stupire nessuno. Eppure, un conto è l’accesso a una gran quantità di fumetti, video e giocattoli pornografici di vario tipo, un contro è la loro estrema pervasività. Ovviamente esistono sexy shop multipiano e catene di videonoleggio espressamente dedicate alla pornografia aperte 24 ore su 24, e non stupisce poi troppo trovare una ricca sezione di hentai, i fumetti porcelloni, nei negozi dell’usato per 100 yen (occhio alle macchie però) o ritrovarsi dei pornazzi in ogni konbini (gli onnipresenti minimarket). Ma, ad esempio, mi ha fatto già più “strano” trovare in un centro commerciale dedicato alla tecnologia mezzo piano solo di sex toys ed hentai, oppure in normalissimi supermercati trovare angoli, nascosti solo da una tendina, contenenti i più bizzarri giocattoli erotici, proprio di fianco alle banane (quelle da mangiare). Oltretutto, le rivendite di pornografia non sono frequentate solo da gruppi di giovani guasconi o da vecchi mandrilli, ma anche da coppiette ridacchianti e da rispettabilissimi manager che sembrano intenti a scegliere quali videogame porno con protagoniste delle 13enni comprarsi tra un convegno e l’altro.
Per quanto riguarda la merce in vendita, beh, sky is the limit. Ovviamente troverete qualunque tipo di deriva pornografica dei vostri anime e manga più amati (Evangelion la fa da padrone, ma c’è di tutto), insieme a materiale a me ignoto, ma che “dai disegni” sembrava interessante. Un capitolo a parte lo meritano i Tenga, brand famosissimo in giappone per la produzione di fighe di gomma di ottima qualità a prezzi modici. Si, avete letto bene: vagine di lattice, che in Giappone apparentemente non sono una perversione per svalvolati ma un bene di utilizzo comune, con tanto di optional pratici come l’illuminazione o il sistema di riscaldamento da collegare all’accendisigari, perché non si sa mai quando possono servire. Che Grande Nazione.
Prostituzione
Ecco, non iniziate subito a pensare male, se so qualcosa a proposito del meretricio nel Sol Levante non è per esperienza personale, ma per puro interesse antropologico. Sul serio. In generale, le voci a proposito del mercato del sesso nipponico che si sentono in occidente sono spesso contrastanti: c’è chi dice che la prostituzione è vietata in ogni sua forma, e che le poche attività residue sono imboscate, clandestine e del tutto off-limits per i musi bianchi. Altre volte invece si sente un gran parlare di saune, soapland (lo stupendo eufemismo giapponese per “puttanaio”) e amenità di qualunque genere. La verità? Beh, ho chiesto ad alcuni autoctoni (sì, sì, per interesse antropologico) e pare che stia nel mezzo. In generale l’etica nipponica è piena di contraddizioni, che dipendono da una rigida separazione tra la sfera pubblica (dove bisogna essere sempre rigorosi ed impeccabili) e quella privata (dove ognuno fa letteralmente quel cazzo che gli pare, basta che non si sappia in giro); pertanto esistono quartieri in qualche modo paragonabili al Red Light District amsterdamiano, ma molto più dimessi e collocati in zone losche e frequentate solo persone poco raccomandabili, dove per la logica giapponese può succedere di tutto, basta che non si sappia. Passeggiando (per caso, ripeto) per Shinsekai, il quartiere più malfamato di Osaka, la città più malfamata del Giappone (in realtà, senza scomodare Napoli, a Bologna ci sono zone molto più losche e pericolose), ti trovi davanti a queste vetrine con fanciulle vestite in kimono, rigorosamente in posizione zen, mute e sorridenti; a invitare i clienti e a contrattare con loro vi sono infatti delle simpatiche matrone ad accompagnare ogni fanciulla. Pittoresco.
Distributori di mutandine usate
Siamo quindi arrivati al dulcis in fundo: ma i distributori di mutandine usate esistono? Ovviamente è stata tra le prime cose che ho chiesto ai guasconi osakensi, che però mi hanno dato la risposta che temevo: ne hanno ovviamente sentito parlare ma pare che, in seguito ad alcuni scandali che coinvolgevano minorenni, esistano oggi solo a Akihabara, il rinomato quartiere pieno di nerdate e pornografia a Tokyo. Dal momento che la trasferta nella capitale non era in programma (troppo cara e mainstream, meglio visitare dei paesini in culo ai lupi nel Kyushu), il timore era quello di tornare a casa con un grandissimo dubbio: ma esisteranno davvero o si tratta di una leggenda metropolitana? E così, preso dallo sconforto, mi incamminavo desolato tra un piano e l’altro di uno dei vari sexy shop di Nipponbashi, il quartiere nerd di Osaka, quando arrivò l’epifania. Proprio di fronte a me, tra un muro di passere di gomma e un lotto di preservativi di Ken Shiro, c’era la Mecca di ogni pervertito: il Distributore di Mutandine Usate, raccolte in sfere neanche fossero dei Pokémon. In realtà, a quanto ho capito, le mutande nel distributore non sono veramente usate, ma con la “fragranza” (vabbè che in Giappone il pesce è molto comune…), ma vabbè, si tratta in ogni caso di una cosa piuttosto assurda. Ovviamente è possibile anche comprare set di mutandine usate (e queste, mi pare, usate veramente) a prezzo scontato (circa 30 euro per 5, se ricordo bene). Per quanto riguarda l’effettiva qualità del prodotto, non vi posso purtroppo dare testimonianza, dato che comprarne una era troppo anche per me. Però, fidatevi, esistono.
In definitiva: sì, gli stereotipi sulla perversione dei giapponesi e l’abbondanza di pornografia bizzarra sono veri. Forse fin troppo.
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