Non è facile inquadrare il dinamico duo in una scala di generi. Sopratutto dal vivo, ciò che viene creato sul palco non è un concerto ed è tanto più vero in riferimento al live di novembre.
Per più di un’ora non una parola, “solo” potentissima elettronica ad accompagnare Napo mentre gioca con la tavoletta grafica al gatto e il topo con la mente del suo pubblico. Il proiettore al centro del palco rigurgita incubi in bianco e nero, tratti senza senso, figure, forme, scarabocchi, tutto fuso assieme in un infernale girone di mai più ritorno. Il beat è massiccio, incessante, non riesci a staccare gli occhi dallo schermo, il volume è assordante, le immagini si distorcono, il cuore ti sembra di non averlo mai avuto e tutto quello che riesci a fare e cercare di far stare zitto il cervello mentre disperatamente si appiglia ad uno qualsiasi dei simboli che bucano gli occhi: “una mandibola, ah quello è un lupo, no, un occhio, Yggdrasil? Una casa, un vetro, topo, una macchina, persone, sangue”. Tutto (in)utile, non stanno facendo musica, è una seduta spiritica di ipnosi con l’Oculus Rift e una simulazione delle macchie di Rorschach. Così per 20 minuti, un ora, mezz’ora a ripensare ai loro album, ai testi, quei monologhi incessanti, le urla, i dialoghi interiori e poi finalmente arriva. Uno schizzo, tante piccole “i” davanti a un quadrato e capisci che sta disegnando te pubblico imbambolato davanti al palco, che il sogno è finito, poi cancella tutto in una voragine di nero dove cominciano ad apparire parole e lettere (in foto) “e, niente, insomma se non ho cantato o altro è solo colpa vostra.” Libera interpretazione: tutti ridono, rullo di tamburi, sipario.
Ci vuole una bella faccia tosta per fare della concept art così in Italia, però l’hanno fatta e se c’era qualcosa da capire nessuno l’ha capita. Perché loro (dis)conoscono il pubblico, noi cosa ci saremmo aspettati e per 5€ va bene così, senza parole.
Giovedì scorso invece è stato tutt’altro paio di maniche, a partire dalle due felpe che facevano sudare ZonaMC tra le rime, mentre cercava di divincolarsi dalle prime file che gli intimavano di darsi al vino. E invece no, lui bottiglietta d’acqua e metronomo di parole sul “fregarsene di tutto e del non fregarsene di niente.” #schieroe, anche quando mi ha placcato per scampare alla folla e ha rifiutato pure la birra.
Evvai col liscio! Parte il break-core, parte il cervello e partono le orecchie come al solito, il proiettore ricomincia a sputare inchiostro sulla parete, uno spettacolo già visto.
E invece no, perché rotta la tensione quasi sin da subito iniziano a volare croccantini per gatti tra il pubblico sotto forma di senso logico.
La sensazione di smarrimento è sempre viscerale, siamo ancora noi che non andiamo, però sta veramente provando a scriverci una canzone addosso. Ci ha studiati prima, ha passato la serata al bar (a non bere) invece di vendere magliette come all’Angelo Mai, è lecito credere che oggi siamo riusciti a dargli il nostro meglio e voglia premiarci.
E poi, silenzio. Non stoppa la musica, ancora non riesco a sentirmi in vita. Inizia la nostra canzone, quella per il suo pubblico e con quella sua cazzo di voce comincia a urlare in tutte le lingue del mondo. Francese, latino, inglese, gaelico e maltese, è una macchina. Fa finta di leggere da un foglio a ritmi serratissimi una valanga di concetti anagrammati e caustici: dice al mio amico neopatentato di rendere grazie e stare attento alla macchina, manda a fanculo quattro deficienti, ci istiga all’istruzione e mi intima di rispettare i miei genitori. Ce n’è per tutti, come in Little Big Planet l’intera performance ci ha unito le idee con il cavetto del GameBoy e il palco diventa uno specchio.
Si raccontano nei loro album e ci raccontano in live, mæstroso!
Va avanti così all’indefinito sullo sfondo dell’ultima “stessa cosa” (qui un video di merda) poi ci si congeda come se fosse nulla e tutto un cazzo. Così, a vanvera, perché ci stava bene il DJset di merda dopo, tanto quanto quei quattro poveracci che ci hanno gettato in pasto prima di loro. Come lo Yin e lo Yang, il bianco e nero dalla tavoletta grafica, gli oVo all’Angelo Mai o il tizio uccello o le tizie nude e a sorpresa i mitologici Germanotta Youth.
Una brutta fine, proprio come la mia.
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