A differenza di quanto molti tenteranno di farvi credere, Enéas non era un calciatore. Enéas, arrivato da un luogo a metà tra i campi della Portuguesa e le spiagge di San Paolo, era un personaggio del realismo magico. Leggendone la storia, si fatica quasi a credere che sia esistito davvero e non sia invece figlio di carta ed inchiostro di qualche scrittore sudamericano. Arrivò a Bologna nel pieno di un torrido agosto, indossando un completo grigio e ammettendo ai giornalisti di non aver mai nemmeno sentito nominare la città che di lì a poco sarebbe diventata casa sua, ma che non lo sarebbe diventata mai davvero. Allora, Enéas era ancora felice. Non era ancora diventato il brasiliano triste.
Ventiseienne, 179 reti in 376 partite e qualche convocazione in nazionale, Enéas fu accolto con grande entusiasmo dalla tifoseria felsinea. Molto distanti dai tempi e dalle comodità del Web, i bolognesi ne leggevano i numeri sulle pagine dei giornali e si consultavano su come si dovesse pronunciare il suo nome. Sognando di avere tra le proprie fila un vero interprete del futebol bailado, finirono per affezionarvisi prima ancora di vederlo giocare. Sul campo, però, Enéas balla, sì, e fa impazzire le difese, ma segna poco: il primo gol arriva alla sesta giornata. Non importa, si dice in città, si deve adattare. A fine stagione, al netto delle sue 3 reti in 20 partite, la dirigenza deciderà di scambiarlo con Neumann dell’Udinese.
Allora perché tanta tristezza nel vederlo partire? Perché chi c’era fu spettatore del suo lento comprendere la propria inadeguatezza in un luogo troppo freddo per un figlio del sole brasiliano. Le pesanti nevicate, cui non aveva mai assistito e che inizialmente lo meravigliarono, gli congelarono il cuore in una saudade che gli faceva sentire terribilmente la mancanza di casa. Enéas scendeva in campo con guanti e calzamaglie, una volta addirittura in divisa da Babbo Natale. Ma il clima influì anche sul suo fisico: un infortunio al ginocchio gli costò dodici giornate e non se ne riprese mai del tutto. I felsinei, che intravidero nelle poche apparizioni il suo grande potenziale, lo amarono con la malinconia tipica degli amori non corrisposti; lo lasciarono andare come si lascia andare un amante infelice.
L’Udinese lo vendette subito al Palmeiras, dove segnò 28 reti in 93 partite distribuite in tre anni di militanza. Il ritorno in Brasile non fu sufficiente per sanare le sue ferite. Quel ginocchio malandato continuava a tormentarlo, influendo sulle sue prestazioni. Si ritirò giovanissimo e fondò un’agenzia di marketing. Ormai, però, era troppo tardi: cadde in depressione e poi nell’alcolismo. Si dice che avesse bevuto anche quel giorno di agosto dell’88 in cui si scontrò contro un camion. Il 27 dicembre, dopo mesi di agonia, Enéas si spense. Aveva 34 anni. Quattro giorni dopo, durante il minuto di silenzio che precedette Bologna-Ascoli, a dispetto di ogni logica, furono in molti sugli spalti a piangere il brasiliano triste, che nonostante le prestazioni discontinue viene tuttora ricordato come una persona di grande talento e, soprattutto, buona. Come l’eroe di un romanzo del realismo magico.
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