A tre anni da Only God Forgives, distrutto dalla critica, i fan del regista danese Nicolas Winding Refn hanno atteso trepidamente il suo ritorno con The Neon Demon. In quasi due ore di film, assistiamo all’ascesa e al declino della giovanissima fotomodella Jesse (Elle Fanning), che, grazie alla sua bellezza naturale, riesce rapidamente a far carriera in una Los Angeles sempre più competitiva.
Ed è proprio la competizione, non a caso, uno dei temi principali del film, personificato dalle tre Erinni: Ruby (Jenna Malone), Sarah (Abbey Lee) e Gigi (Bella Heathcote), un’ambigua truccatrice e due spietate modelle la cui carriera non è mai decollata. Sin dal primo incontro con le tre, è ben evidente il messaggio di fondo racchiuso nella pellicola: il prerequisito per sfondare nel mondo della moda è la bellezza giovane e immacolata, che Jesse possiede e che le altre tre tentano inutilmente di emulare con make up e botox. Partendo da questa banale premessa, il film si attorciglia su se stesso, prestandosi a numerosi livelli di interpretazione; a fine visione rimane però in sospeso una questione, ovvero se un messaggio più profondo sia riuscito a emergere con efficacia da una pellicola che definire patinata sarebbe eufemistico.
Il problema principale è che si guarda il film consci di assistere a un esercizio di stile, una continua provocazione e volontà di indignare che però è vestita troppo bene per essere presa sul serio. In The Neon Demon, infatti, la sensazione che la confezione sia più valida del contenuto è molto forte, soprattutto se si considera l’uso magistrale dell’illuminazione e le accurate combinazioni geometriche della composizione fotografica. Alcune scene, ad esempio quella di bondage durante il party o quella della sfilata, sono tanto soddisfacenti esteticamente quanto vuote sul piano contenutistico, quasi a dare l’impressione che si stia guardando una lunghissima pausa pubblicitaria di profumi e vestiti. A sostegno di questa tesi può essere portata anche la colonna sonora di Cliff Martinez – oramai alla terza collaborazione con Refn – che col suo ritmo martellante evidenzia i momenti topici del film e aggiunge tono a scene che altrimenti risulterebbero davvero blande.
I numerosi ammiccamenti al cinema d’orrore di Bava e Argento – e quelli più subdoli a Cronenberg – tolgono ulteriore originalità a una trama già esile, ma riescono a far dedurre le intenzioni originali del regista, sepolte dai numerosi orpelli. Il neon demon cui si riferisce il titolo, infatti, può essere identificato in tre diversi soggetti. Il primo è sicuramente la stessa Jesse, che entra nel mondo della moda grazie alla sua bellezza genuina ed è vista dalle colleghe invidiose come una minaccia, un demone. Il secondo è l’industria della moda, facilmente visualizzabile come un un glitterato mostro infernale che col suo gioco di neon trascina nell’ombra ogni ardito avventore. Il terzo, infine, è il concetto di bellezza, quella bellezza che – schiava delle industrie che la definiscono e categorizzano, decidendo di fatto cosa sia bello e cosa non lo sia – viene letteralmente mangiata ma mai completamente digerita.
Secondo quest’ultima interpretazione – che necessariamente include le altre due – la bellezza è naturale e spontanea, si intuisce al primo sguardo e soprattutto non è forma a posteriori, imposta artificialmente. In un’ottica simile, The Neon Demon non può fare altro che danzare tra questi due concetti di bellezza immediata e bellezza posticcia. Tuttavia, essendo nata come opera priva di un preciso storyboard – e quindi quasi improvvisata – rimane per certi versi troppo vaga, non abbastanza graffiante, arrivando a colpire solo nei momenti più tradizionalmente costruiti.
Se si confronta questo film coi precedenti capolavori del regista come Valhalla Rising e Drive, in cui l’estetica era il misurato veicolo di un messaggio tagliente e catartico, è difficile considerarlo un passo avanti. The Neon Demon fornisce dunque gli spunti giusti ed è in ogni caso ben prodotto, ma la sua forza satirica svanisce in un turbinio di luci, suoni e immagini confuse, rendendo il film semplicemente guardabile e nulla di più. Piacevole sì, ma imperfetto esempio della tanto demonizzata bellezza, masticata e mai digerita.
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