Difficile esprimersi sul lavoro che sempre di più viene svolto in ogni settore dai coach mentali, ma che si creda a loro o no, quello che dicono citando (molte volte inconsapevolmente) Schiller, ovvero che “È la volontà a fare l’uomo grande o piccolo”, trova forse il suo più grande esempio nella storia di Ichiro Suzuki. L’Outfielder dei Miami Marlins è nato il 22 ottobre 1973 a Kasugai, Prefettura di Aichi – non distante da Nagoya, terza metropoli del paese. La sua infanzia la trascorre a Toyoyama, dove all’età di sette anni entra nella sua prima squadra di baseball. La sua storia si sarebbe potuta concludere così, come quella di un qualsiasi bambino che si cimenta nello sport più popolare della sua nazione e che prima o poi smetterà di sognare, lasciando la sua attività per diventare un giorno un adulto qualsiasi. Ma Ichiro ha altri piani, e nonostante il suo fisico magrissimo che sembra non dare speranze di un futuro sportivo, a 12 anni decide di dedicare la sua vita a diventare un giocatore professionista. Come ogni bambino, vede come guida il padre, in questo caso il signor Nobuyuki, e gli chiede di farlo diventare un giocatore migliore. Insieme cominciano un allenamento quotidiano comprendente tra le altre cose, 50 lanci, 100 ricezioni e 500 battute, combinazione dei lanci del padre e quelli della pitching machine.
Raggiunta l’età giusta Ichiro viene ammesso nel prestigioso liceo Nagoya’s Aikodai Meiden, celebre per la sua preparazione sportiva. Neanche a dirlo entra nella squadra di baseball. Nobuyuki Suzuki si raccomanda subito con l’allenatore di non complimentarsi mai con il figlio, al fine di fortificarne il carattere. Non esattamente un gesto da padre dell’anno ma ciò evidentemente ha funzionato, contribuendo a fare di Ichiro il giocatore che è oggi.
Inizialmente grazie al suo potente braccio viene impiegato come lanciatore. Nonostante i risultati impressionanti non viene inserito nel draft professionale fino all’ultimo round (novembre 1991), essendo molti team scoraggiati dal suo fisico apparentemente fragile e minuto. In realtà egli era dotato di potenza e resistenza fuori dal comune, grazie ad allenamenti non convenzionali come il trascinare copertoni di auto per svariati chilometri ed il battere palle da wiffleball con una vanga. Anni dopo dirà in un’intervista: “Non sono fisicamente imponente o muscoloso, sono una persona normale. Spero che i bambini vedano che una persona normale come me è riuscita a scrivere il suo nome su ogni tabellino dei record grazie al suo impegno; ciò mi renderebbe molto felice.”
La sua carriera professionistica giapponese la trascorre nella Pacific League tra le file degli Orix BlueWave (ora Orix Buffaloes), dove vince le Japan Series del 1996. In questo periodo viene convocato per 7 volte agli All Star Game del paese e nominato per 3 volte MVP stagionale. Fa incetta anche degli altri premi individuali, vincendo 7 Gold Glove Award, 7 Best Nine Award, e 3 Japan Professional Sports Grand Prize (1994, 1995 e 2001).
Nel 2001 gli si presenta l’occasione della vita: l’approdo negli Stati Uniti. Il suo arrivo è visto con curiosità, perché primo giocatore di posizione proveniente dal Giappone, terra che fino ad allora aveva sfornato solo buoni lanciatori. Oltretutto la franchigia dei Seattle Mariners gli aveva offerto un contratto degno di nota, ma le riserve dei tifosi cessarono quasi immediatamente con l’inizio della stagione, che si concluse con Suzuki in cima alle classifiche di media battuta e basi rubate. Visto ciò la sua investitura a Rookie of the Year 2001 (premio al miglior esordiente) dell’American League fu cosa naturale. Tre stagioni dopo Ichiro stabilisce il record MLB di battute valide in una sola stagione, 262, migliorando il primato appartenente a George Sisler che resisteva da ben 84 anni (257 valide nella stagione 1920).
Nelle sue prime dieci stagioni MLB viene convocato per 10 volte agli All-Star Game, vince 10 Gold Glove Awards nella posizione di esterno e fa il record di dieci anni consecutivi con almeno 200 battute valide, tutt’ora vigente. Le sue imprese hanno molta risonanza anche in patria, tanto da essere il primo caso di giocatore operante in un campionato straniero ad entrare nella Hall of Fame del baseball giapponese. Vince anche 7 titoli di fila di Miglior Battitore (9, contando anche il periodo NPB), 3 Fielding Bible Awards (premio per il miglior giocatore di difesa per ogni posizione), e 3 Silver Slugger Awards (premio per il miglior giocatore di attacco per ogni posizione).
Nel 2012 i Seattle Mariners lo cedono ai New York Yankees in cambio di Danny Farquhar e D.J.Mitchell, ma la sua permanenza nella Grande Mela dura solo due stagioni e mezzo. Da free agent nel gennaio 2015 firma con i Miami Marlins un contratto valido fino alla stagione 2016 con opzione di prolungamento di un anno.
Proprio nella stagione in corso Ichiro diventa il trentesimo giocatore della storia della MLB ad entrare nel club delle 3’000 valide in carriera, con la terza pietra miliare raggiunta lo scorso 7 agosto sul campo dei Colorado Rockies. Ma la sua scalata all’Hit Club continua: il 21 dello stesso mese con la valida n.3’008 fatta su lancio di Chad Kuhl dei Pittsburgh Pirates supera in classifica Al Kaline, successivamente supera anche le 3’010 di Wade Boggs e le 3’011 di Cap Anson, grazie ad 1 Hit contro Kansas City Royals (24 agosto) e 3 contro i New York Mets (due il 29 ed 1 il 31 agosto). Ora si trova al ventiseiesimo posto con 3’012 hits, puntando dritto verso il prossimo gradino che è costituito da Rafael Palmeiro con 3’020 battute valide. C’è da dire però, che contando la carriera professionistica completa egli è al primo posto assoluto, con l’impressionante numero di 4’290 hits maturato tra Giappone e Stati Uniti.
Nonostante i suoi 43 anni, Ichiro riesce ad essere ancora abbastanza continuo nelle sue prestazioni, mantenendo per questa stagione SLG ed OBP intorno a .250 e .300. Un aiutino è certo stato dato dall’infortunio muscolare di grado III subito da Giancarlo Stanton, che ha fatto crescere in maniera consistente il minutaggio del giapponese, ma la sua longevità è fuori discussione. Anche quest’anno le sue prestazioni sono state sempre fondamentali, come quella sopracitata di Pittsburgh dove la sua valida è stata una doppia avvenuta su due out, a cui è seguito un fuoricampo di Xavier Scruggs (nel line-up subito dopo Suzuki) che ha portato i Marlins sul 3-0 parziale in una partita finita 3-1. A completare il quadro c’è da registrare che quello di Scruggs è stato il suo primo home run in MLB, ed a congratularsi con lui a casa base si è trovato proprio una leggenda come Suzuki.
Tra le abilità più note di Suzuki vi è la sua particolare precisione nell’indirizzare le battute valide nella regione interna del diamante, cosa che nel 2004 ha fatto ben 59 volte, piazzandosi al primo posto in MLB. Uno dei fattori che ha permesso tante valide di quel tipo è il suo stile di battuta: ancora giovane, nonostante fosse destro, decise di posizionarsi nel box di battuta in posizione mancina, il che gli consentì di avere una minor distanza dal cuscino di prima base, che tradotto vuol dire: meno strada per arrivarci. Ciò è letale in combinazione alla sua velocità ed allo stride che esegue verso la base nella prima fase della battuta. Anche la sua posizione di attesa del lancio è molto particolare, forse una delle più riconoscibili nel baseball: prima di ogni lancio, impugnando la mazza, distende il braccio destro verso il pitcher, e successivamente con la mano sinistra si distende la manica della divisa.
Se non bastassero tutti i premi e record citati fino ad ora per comprendere la grandezza di questo giocatore, si potrebbero aggiungere al conto anche le due medaglie d’oro vinte con la nazionale giapponese ai World Baseball Classic 2006 e 2009, oltre che la nomination ad MVP degli All-Star Game 2007 ottenuta grazie al primo (ed unico) inside-the-park home run della storia della competizione. Se c’è però qualcosa che la storia di Ichiro Suzuki insegna è che non sono le statistiche che contano. Quello che conta è che nel 1980 Ichiro Suzuki, a sette anni, ha fatto una promessa. E l’ha mantenuta.
“Mi è stato detto che in televisione sembro più grosso, ma mi è anche stato detto che dal vivo sembro più piccolo. Nessuno sembra pensare che sono della stessa taglia. Non siamo solo numeri. I numeri non sono tutto. Se mi limitassi ad inseguire i numeri forse non avrei dei risultati così buoni.”
22 Maggio 2017
14 Maggio 2017
26 Aprile 2017
17 Aprile 2017
16 Aprile 2017
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.