Un’altra brutta notizia e un altro rallentamento per SpaceX, l’innovativa azienda di Elon Musk. La compagnia privata leader nel settore dei lanci commerciali ha oggi subito un duro colpo: alle 9:07 di mattina (le 15:07 qui in Italia) un razzo Falcon 9 con a bordo il satellite Amos 6 è esploso sulla rampa di lancio, liberando una densa nube nera rilevabile anche via radar. Il carico, del valore di oltre 200 milioni di dollari, era costituito da un satellite per telecomunicazioni costruito dalla Israel Aerospace Industries ed operato dall’israeliana SpaceCom ltd, con lancio previsto il 3 Settembre.
Come da abitudine, la casa madre ha preferito non rilasciare alcuna dichiarazione fino alle 17 ca. ora italiana, affermando appunto che il vettore è stato perduto completamente. Voci negavano la presenza del carico a bordo, poi smentite. Fortunatamente, nessuno degli operatori di terra era vicino al razzo al momento dell’esplosione in quanto era previsto uno static fire test, ovvero una breve accensione dei motori per controllarne l’integrità.
Update on this morning's anomaly pic.twitter.com/1ogCMPCY44
— SpaceX (@SpaceX) September 1, 2016
Loss of Falcon vehicle today during propellant fill operation. Originated around upper stage oxygen tank. Cause still unknown. More soon.
— Elon Musk (@elonmusk) September 1, 2016
Il bollettino ufficiale riferisce di un’anomalia alla rampa di lancio 40, che avrebbe causato la disastrosa esplosione. Una volta sinceratisi che nessuna vita è stata persa, cosa si può trarre a caldo da questo incidente?
SpaceX purtroppo non è nuova ad avvenimenti del genere, e il carico di oggi va ad aggiungersi alla navetta di rifornimento Dragon CRS-7, persa nell’Aprile 2015. Sono tempi duri per la NASA e per l’esplorazione spaziale in generale, che subiscono tagli al budget sempre più importanti ogni anno che passa. La filosofia di SpaceX, in un certo senso, cerca di rispondere a questa sfida: negli anni l’azienda di Elon Musk ha elaborato svariati sistemi per ridurre i costi di lancio: primo tra tutti e più famoso il sistema di riutilizzo del primo stadio, che consente inoltre di recuperarne i costosissimi motori. Detta in parole povere, hanno attaccato delle gambe ad un razzo. Che ritorna alla base o atterra su una piattaforma in mare, a seconda del tipo di lancio. E no, non è un semi-amatoriale film sovietico di fantascienza. È realtà.
SpaceX preferisce comunque definire gli atterraggi come sperimentali, e ha avuto ragione: più volte le telecamere poste a distanza dalla chiatta di atterraggio ci hanno regalato esplosioni spettacolari. Elon Musk ha sempre dichiarato l’atterraggio del primo stadio come obiettivo secondario: infatti la maggior parte dei lanci sono avvenuti con successo sganciando il carico in orbita correttamente.
L’incidente di oggi rischia però di avere pesanti conseguenze per l’intera industria aerospaziale, non solo americana.
Trattando nello specifico di SpaceCom, l’azienda israeliana proprietaria del satellite, l’esplosione del Falcon 9 potrebbe ritardare o far saltare l’acquisizione della società ad opera della cinese Xinwei Technology Group, che dipendeva dall’esito del lancio[1].
Se la causa dell’esplosione fosse da imputare direttamente ad una falla nel vettore di SpaceX inoltre, questa potrebbe mettere in discussione i contratti commerciali che altre aziende come Iridium o SES hanno o prevedono di stipulare con la compagnia di Elon Musk. In particolare, il satellite SES-10 sarebbe dovuto essere stato lanciato per la prima volta su uno stadio riutilizzato (quello della missione di rifornimento Dragon CRS-8); quasi sicuramente il lancio verrà ritardato per settimane se non mesi.
Oltre all’ennesima voce in uscita nel bilancio di SpaceX che si verrà a creare, anche gli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) potrebbero percepire le conseguenze di questo intoppo. Ad esempio, nel 2015 i ritardi delle navicelle russe Progress hanno costretto Samantha Cristoforetti a rimanere un mese extra sulla ISS[2]. Nonostante Amos 6 non fosse diretto verso l’avamposto, il probabile ritardo della prossima missione Dragon CRS-9 di Novembre (sempre appaltata a SpaceX) complicherebbe ulteriormente il programma dei carichi di rifornimento verso la ISS. Altri due veicoli infatti, l’americano Cygnus e il giapponese HTV hanno già lamentato degli slittamenti nella tabella di marcia[3]. Ciò non potrà che costringere NASA, ESA e JAXA a riservare ulteriori fondi per le costosissime tariffe dell’agenzia russa Roscosmos, che sopravvive anche grazie ai contratti con queste agenzie e ai lanci commerciali.
Nell’immediato futuro questo potrebbe anche significare un rallentamento ulteriore nello sviluppo della versione per carico umano della navetta Dragon, che insieme alla Starliner di Boeing costituisce la risposta NASA al trasporto di astronauti nell’orbita terrestre bassa. Nel frattempo, l’agenzia di Stato americano continua a buttare vagonate di soldi nel progetto Orion (con Lockheed-Martin e Airbus) e il vettore SLS, per raggiungere un obiettivo (Marte) che sembra allontanarsi sempre più[4].
Tuttavia, fare speculazioni a caldo è molto complicato e rischioso. Quello che all’apparenza potrebbe sembrare un piccolo incidente di percorso (suvvia, le assicurazioni esistono per qualcosa!) potrebbe in realtà mettere in difficoltà un intero settore (quello aerospaziale) che da anni deve combattere riduzioni al budget e opinione pubblica disinteressata. Visti i precedenti risultati e gli ambiziosi obiettivi di Elon Musk (ricordiamo anche CTO di Solar City e CEO di Tesla Motors), probabilmente questo setback non fermerà l’evoluzione della tecnologia spaziale: anche in questo campo vale la regola dell’imparare dagli errori.
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