I platform run&gun hanno fatto sempre una storia a sè, avendo meccaniche più simili a quelle degli shooter (ai tempi esclusivamente spaziali) in cui l’enfasi era data al cercare di distruggere le orde di nemici che si parano davanti al protagonista piuttosto che farlo allegramente zompettare da piattaforma a piattaforma. La varietà al gameplay viene quasi sempre data attraverso le tipologie di armi – e qualche volta veicoli armati – e di nemici differenti tra loro, piuttosto che la non linearità d’esplorazione o un level design ricercato. Non c’è molto altro da dire, tanto ad almeno uno dei vari capitoli di Contra, Gunstar Heroes o soprattutto di Metal Slug ci abbiamo giocato tutti; i riferimenti storici per questo sottogenere sono loro, ed è a loro che i titoli indie degli ultimi anni si ispirano. In Steam brulicano e proliferano parecchi miseri e trascurabili cloni dei sopracitati, ma insieme a loro ci sono anche titoli di assoluto valore.
Immaginate un Metal Slug in pixel art e sotto la regia di Micheal Bay con gore ed esplosioni pixellosi ovunque, aggiungete vari arsenali e soprattutto personaggi giocabili che citano sfacciatamente tutto il cinema d’azione hollywoodiano degli ultimi 30 anni ed avrete Broforce. Sviluppato dai sudafricani della Free Lives a partire da un’idea partorita durante una jam session sulle isole Mauritius e distribuito nel tardo 2015 dalla Devolver Digital per PC (seguito da un porting per PS4 l’anno seguente), Broforce è la realizzazione di ciò che i videogiocatori più attempati avrebbero sempre voluto in gioventù come run&gun da infilare nelle proprie console ma che mai avrebbero potuto avere sia per le limitazioni tecniche dell’hardware di allora che per tempistiche sociali ancora non mature. Il gameplay è davvero minimale, ci si muove in varie mappe 2D e si ammazza ogni cosa semovente ci si pari davanti: terroristi, zombie, demoni, alieni xenomorfi, non fa differenza, tutti devono essere abbattuti violentando il tasto di fuoco del proprio joypad. Sono presenti nel gameplay una trentina circa di “bros“, ognuno con le proprie armi e caratteristiche, wall jump, salto direzionabile, fuoco secondario (più potente del primario, ma limitato in munizioni) e attacco ravvicinato con armi melee; inoltre la mappa di gioco completamente distruttibile e la presenza di elementi ambientali come barili o bombole di gas da far esplodere dà al giocatore una possibilità di approcciare il gioco con un minimo di strategia, anche se quest’ultima non appaga come una massiccia pioggia di proiettili e granate che fa tanto MUH FREEDOM!
Su Broforce inoltre va ricordata una sua particolare demo del 2014 chiamata Expendabros – tuttora disponibile su Steam – creata in collaborazione con la Universal per promuovere l’allora in uscita The Expendables 3; sull’ultima fatica dei Free Lives, Genital Jousting, invece è meglio stendere un proverbiale velo pietoso.
Altro titolo prodotto da un “one man studio” meritevole di menzione è Bleed, interamente sviluppato e distribuito per PC nel 2013 dal canadese Ian Campbell sotto il nome commerciale di Bootdisk Revolution. Bleed è un run&gun frenetico e dal design molto colorato e sgargiante, con un gameplay da twin stick shooter tipicamente arcade però impreziosito dall’aggiunta dei dash aerei e del bullet time – limitato da una barra a consumo che ricorda vagamente la clessidra del primo Max Payne – che permettono una serie interminabile di combo sparo-schivata da far effettuare alla nostra innominata eroina dai capelli violacei (comunque magra ed agile, if you know what I mean…) che vanno necessariamente padroneggiate per poter proseguire. Infatti la scelta di un level design simile a quelli dei bullet hell, cioè con grosse aree di gioco ma piene zeppe di fuoco nemico e le estenuanti boss battles rendono Bleed un titolo in generale molto ostico e punitivo, con un margine d’errore nei movimenti molto risicato, e per questo molto amato dagli hardcore gamer su PC. È inoltre presente un sistema di valutazione delle combo di uccisioni e schivate da concatenare sullo stile degli hack & slash.
Da un mesetto è disponibile il seguito diretto Bleed 2, sempre sviluppato da Ian Campbell, dal gameplay e stile grafico identico al predecessore, ma con una difficoltà mediamente minore.
Ultima fatica dello studio inglese Roll7, uscito dall’anonimato grazie ai due precedenti titoli a tema skateboarding OlliOlli e OlliOlli2: Welcome to Olliwood, e distribuito sempre da Devolver Digital nel 2015, Not a Hero è un fantastico concentrato di nonsense e gore pixelloso inserito in un solido gameplay da run&gun bidimensionale a doppio sfondo con un semplice ma azzeccato sistema di coperture che ricorda quello del buon vecchio e caro Bonanza Bros. della SEGA. La demenziale trama racconta di una metropoli ormai dominata e lottizzata da gang criminali locali (state pensando anche voi alla intro di Final Fight?) e di Bunnylord, un grosso coniglio antropomorfo schiavo di ogni vizio possibile venuto dal futuro con lo scopo di porvi rimedio ingaggiando vari mercenari (ognuno con proprie caratteristiche e skillset) e coprendo il tutto attraverso una sua campagna elettorale per diventare sindaco della metropoli. Not a Hero nonostante le poche ore di gioco (circa 10) riesce a coniugare il sistema di gioco crudo ed efferato di Hotline Miami alla leggerezza e cafonaggine (ormai parlare di “ignoranza” nell’italico Internet implica solo teratogenesi) di Broforce.
Quando Contra incontra Prince of Persia le Sabbie del Tempo: Super Time Force Ultra è la versione riveduta e potenziata di Super Time Force della Capybara Games, piccola software house canadese principalmente dedita allo sviluppo di giochi per dispositivi mobili, uscita nel 2014 inizialmente in esclusiva per XBLA e poi in seguito per PC e console Sony. Sostanzialmente STFU (bell’acronimo, vero?) è un run&gun bullet hell in pixel art abbastanza canonico nelle meccaniche, ma con in più la possibilità di poter riavvolgere il tempo o ad ogni morte del personaggio controllato dal giocatore oppure volontariamente fino ad un massimo di 30 volte per livello, sebbene in ogni livello ci siano altre 10 possibilità extra da raccogliere, rappresentate da piccoli rombi gialli. Tuttavia ad ogni “time out” i personaggi sul campo di gioco persisteranno fino al punto del livello dove è stato chiamato il “time out”, dando la possibilità al giocatore di controllare più cloni contemporaneamente o addirittura fonderli insieme guadagnandone in potenza di fuoco. I sei livelli di gioco hanno ambientazioni che variano dal preistorico al futuristico, e sono tutti molto complicati da gestire a causa delle orde di nemici sparsi ovunque nella mappa, ragion per cui centellinare i Time Out diventa obbligatorio per poter finire i livelli. All’interno degli stessi inoltre esistono altri collezionabili oltre i rombi gialli che fungono in sostanza da vite extra: dei pixel violacei che permettono di rallentare il tempo e dei cronometri che aumentano il time bank entro cui concludere il livello.
Terrone, quasi ingegnere informatico, moderatamente misantropo, razionalista e liberalista convinto, ex weeaboo ora pentito, videogiocatore incallito da oltre 25 anni: mi piacciono le sfide, per questo sono su IMDI. Posso parlarvi di IT, letteratura moderna, musica elettronica, vidya e sport americani, basta che mi offriate una trappista. La mia waifu è Selphie Tilmitt.
30 Maggio 2017
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25 Marzo 2017
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