La settimana scorsa abbiamo analizzato le informazioni diffuse ad uso e consumo della propaganda dei sostenitori del No al Referendum, sistematicamente smontate dalla controparte del Sì fino ad essere derubricate come vere e proprie bufale. I sostenitori del Sì mirano a dipingere il fronte di coloro che si oppongono alla riforma costituzionale oggetto della consultazione come un caravanserraglio eterogeneo di politici di professione e meno che mirano a confondere e a intorbidire le acque di un dibattito in partenza ostico e poco chiaro per la maggioranza della popolazione. Abbiamo anche visto come la battaglia si sia essenzialmente ridotta a un “pro-contro Renzi / il Governo”, senza scendere nel merito di quanto il quesito chiede agli Italiani, generando il fondato timore che il prossimo 4 dicembre il voto si orienterà più per “simpatia” che per reale comprensione di quanto si sta votando.
Il No è attivissimo a veicolare i suoi messaggi soprattutto via social, mentre dal canto suo Matteo Renzi continua a imperversare televisivamente, rintuzzando gli oppositori che via via gli si presentano accanto (ultimo in ordine di tempo, un residuato storico della Primissima Repubblica come Ciriaco De Mita), confermandosi come personaggio mediatico a tutto tondo. Tuttavia, anche i sostenitori del Sì hanno commesso più di uno scivolone durante questa campagna, soprattutto in merito alle cifre sul risparmio che questa Riforma dovrebbe apportare, in caso di vittoria, e sulla tanto sbandierata semplificazione dell’iter legislativo.
Forza Italia pubblica sul proprio sito un pdf a firma del Senatore leghista Lucio Malan che “smonta” pezzo per pezzo le risposte del ministro Maria Elena Boschi ad una interrogazione in Senato dell’8 giugno scorso, in cui a suo dire sarebbero state enunciate delle cifre del tutto fantasiose. In totale, la Boschi avrebbe quantificato il risparmio di soldi pubblici in 490 milioni di Euro l’anno, se vincesse il Si. Considerando la riduzione del numero dei parlamentari, secondo la Boschi la spesa mancata si attesterebbe intorno agli 80 milioni di euro l’anno. Considerato però che la maggiore voce di spesa è causata dalle retribuzioni ai collaboratori dei senatori piuttosto che dalle diarie dei senatori stessi, il reale risparmio sarebbe di poco più di 43 milioni, circa la metà di quanto annunciato. Ed è solo un esempio, perché Malan continua contestando quanto detto dal Ministro sulla soppressione del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), sull’abolizione delle provincie, sul ruolo unico di Camera e Senato fino ad arrivare ad computo del risparmio che si attesterebbe sui 50 milioni di Euro circa, cifra lontanissima da quanto annunciato con enfasi.
In particolare sul CNEL la discussione è quanto mai accesa: nato nel 1957 e presto eletto a stereotipo del più classico degli enti inutili e succhiasoldi all’italiana, il suo smantellamento in nome della semplificazione e del risparmio è iniziato nel 2015, dopo che praticamente quasi ogni Legislatura aveva provato a capire quale fosse la reale utilità di questo stipendificio e se fosse possibile farne a meno. In quasi sessant’anni di storia, il CNEL è riuscito a concepire appena 11 proposte di legge, tutte respinte, mentre i suoi consiglieri godevano di rimborsi faraonici, auto blu e ogni sorta di privilegio tanto da essere considerato “la terza Camera dello Stato”. La legge di stabilità, però, ha già falcidiato i benefit al punto da indurre i beneficiari alle dimissioni volontarie, col risultato che da 121 membri il Consiglio si è ridotto ad appena 24 esponenti che dichiarano di lavorare gratuitamente. I numeri sono molto chiari: il bilancio a ranghi completi (2011) parlava di 19 milioni di spesa, mentre nel 2015 con 64 consiglieri si era già passati a una spesa di poco meno di 9 milioni di euro, in massima parte impiegata per le retribuzioni dei dipendenti e la manutenzione della sede, piuttosto che per i rimborsi ai Consiglieri. Appare implausibile che si possano risparmiare 20 milioni di euro, come dice la Boschi, su un Ente che già adesso prima della Riforma ne costa appena 9.
Un altro topic molto dibattuto è quello che concerne la semplificazione dell’iter legislativo: è risaputo che le immani proporzioni della burocrazia che affligge la macchina legislativa italiana causano una lentezza endemica nel legiferare, che molto spesso si traduce in un ricorso, spesso improprio ed esagerato, allo strumento del voto di fiducia al Governo. Matteo Renzi ha più volte utilizzato l’argomento “snellimento” come uno dei principali punti di forza del Sì, ma in realtà già nel 2014 l’autorevole Sole 24 Ore osservava come l’usanza della “navetta parlamentare” (termine gergale per definire il rimpallo tra le due Camere delle proposte di legge, riviste e corrette fino a mettere d’accordo tutti, pratica che inevitabilmente causa la dilatazione dei tempi di approvazione) fosse in lento declino, in quanto si preferisce sempre di più fare ricorso al decreto o alla conversione della legge in decreto, cosa che può comportare dei tempi più rapidi ma espone l’esecutivo al rischio della necessità della fiducia. Interessante il punto di vista del Financial Times che punta il dito non tanto sulla velocità dei tempi di approvazione di una legge (parlando infatti di come l’Italia sforni più leggi di altre nazioni occidentali come Francia, Inghilterra, Germania o USA), quanto sull’effettiva qualità delle proposte stesse: più che più rapida, la Legge in Italia dovrebbe essere, semplicemente, migliore.
Mai come adesso la guerra si gioca tutta sul fronte delle cifre: gli ultimissimi sondaggi danno tutti in vantaggio il No, con una percentuale però rilevante di indecisi e di intervistati che non dichiarano la propria intenzione. A poco più di un mese dal Referendum, quindi, è assolutamente necessario per Renzi & co. conquistare questa fetta di elettorato, per evitare un flop che, se si votasse ora e se i sondaggi fossero confermati, appare probabile.
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