Buongiorno a tutti da m00sik.
Siamo a parlare dell’ultima fatica del guitar hero statunitense: da origini sfacciatamente pacchiane esaltate da chiome fino alle ginocchia o chitarre villose. Il buon Gilbert pare aver seguito, sia musicalmente che da un punto di vista più generale, estetico e comportamentale, l’esempio di molte rockstar che “ripuliscono” la loro immagine.
Look da collegiale, attaccate ai soliti Marshall chitarre Ibanez esteticamente “particolari”, ma dalle caratteristiche decisamente più sobrie: uniscono a una forma sconcertante un ponte fisso e tre single coil, che in termini da comuni mortali significano una svolta più bluesy che poi è esattamente quello che succede in quest’album.
Dodici tracce fra cui tre cover live (Roundabout, I Want To Be Loved e Go Down) e una in studio (Blue Rondo A La Turk di Dave Brubek); su questo disco possiamo ascoltare il contributo di sessionmen più o meno conosciuti, fra i quali però spiccano Emi Gilbert, l’esotica moglie di Paul, alle tastiere e Tony Spinner alla chitarra ritmica (già presente sui palchi con i Toto dal 1999 fino al 2008)
Nel complesso l’album è evidentemente di produzione moderna, i suoni sono intellegibili, al passo con i tempi, cristallini. Paul Gilbert ha cantato fra l’altro, con buoni risultati (non che ci siano dischi in studio dove il cantante è stonato, comunque), tutti i pezzi, a quanto pare divertendosi anche a doppiarsi più volte.
Il suono Gilbert rimane più o meno la stessa pasta, con modifiche che, per il personale parere di chi scrive, lo rendono molto più apprezzabile. Siamo passati da un disturbante ronzio vomitante distorsione, a un distorto Marshall meno spinto, più pieno e in-your-face, il tutto unito all’attacco più presente dei single coil su una chitarra in korina (simile al mogano). Rimane comunque un suono non raffinatissimo, ma, inserito in un contesto anche più blueseggiante, più protagonista rispetto al melting pot di suoni diversi che lo shred/glam risulta essere. Scompaiono effetti estremi come i flanger a favore di elementi più blue come l’octaver e un leggero phasing; addirittura è possibile sentire il suono pulito della chitarra, cosa non sempre frequente in Gilbert.
A livello di tematiche l’album ricorda Frank Zappa: è un album provocatoriamente allegro, sempre sui toni. Anche musicalmente, se ciò è possibile, rimane fedele a questo punto di vista -Gilbert da buon esecutore non lesina mai cover-.
I brani originali risultano essere un blues molto tecnico, certamente molto ben mescolato a elementi jazz, fusion ma soprattutto progressive.
Il titolo dell’album si riferisce ad una tecnica musicale (chitarristica) di far “vibrare” la nota per donare espressività: tecnica facile da imparare, ma, come Gilbert afferma, difficilissima da possedere in tutto e per tutto. Questo riflette la svolta più organica ed è spiegato nella titletrack: forse l’unico brano a staccarsi qualitativamente dagli altri, si attesta come un blues rock il cui aggettivo più appropriato è “simpatico”. Contagioso a livello di cantato, musica, riff, ma anche tecnicamente molto ben studiato.
La vena più progressive/Zappa-esque si esprime nella prima canzone, Enemies (In Jail), che proprio per questo potrebbe risultare un poco forzata con una sfacciata simpatia unita ad un assolo finale musicalmente importante; ma anche nell’ultimo brano originale, The Pronghorn, uno strumentale più jazzato che ricorda i lavori di Steve Weingart.
A svisate più soul come Atmosphere on the Moon si accompagnano poi, oltre alle suddette cover, brani più di basso profilo, sempre con caratteristiche più o meno coerenti, e la cover del pezzo Blue Rondo A La Turk di Burbank, che prevede un intricato duetto fra Paul e sua moglie al piano. Rispetto all’originale è più accomodante, chiara e condita di elementi che possono discostarsi dal jazz più puro -definita un “Burbank on steroids”. La chitarra è presente e virtuosa, a livello di varietà (e questo vale per tutto l’album) più completa di precedenti lavori o periodi fatti da scale eseguite a velocità innaturali. Chi scrive preferisce, comunque, l’originale alla cover.
Ciò detto, l’album lascerà di sicuro di buonumore l’ascoltatore, per quanto i nostalgici dello shred e del glam probabilmente non resisterebbero più di 10 minuti. I musicisti saranno compiaciuti, ma fortunatamente si tratta di brani fruibili da tutti. Proprio per questo, però, soprattutto dopo alcuni brani non eccezionali (non per questo scadenti!), l’album risulta oggettivamente un tantino ridondante. Paradossalmente anche una grande varietà di note data da una svisata più progressive, alla lunga, stanca; così come le atmosfere SEMPRE ALLO STESSO LIVELLO. La verità è che non ci sono climax nè cambi di situazione, l’ascoltatore si troverà allo stesso piano d’ascolto dalla prima all’ultima track.
Le critiche affogano comunque in un lavoro decisamente buono e giocosamente maturo, del quale vi fornisco la parte migliore.
Godetevela!
22 Maggio 2017
10 Aprile 2017
19 Marzo 2017
11 Marzo 2017
23 Febbraio 2017
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.