Oceania (o più propriamente Moana) è un bel film, ma non è una clamorosa novità. Le tematiche principali di Oceania sono state affrontate in più occasioni nei lungometraggi animati degli scorsi anni: ci sono il coraggio e l’emancipazione della donna già presenti in Mulan e in Ribelle – The Brave, c’è il conflitto generazionale di Dragon Trainer, c’è il rispetto per i defunti e per i loro insegnamenti che rimanda suggestivamente a Il Re Leone e a Pocahontas, c’è persino un riferimento non troppo velato alle indimenticabili muse di Hercules. Ma non ci si irrita né ci si annoia durante la visione di questa pellicola, anzi: le risate non mancano, e le colonne sonore da blockbuster disneyano sono presenti e toccanti come sempre.
Oceania, però, sta facendo discutere per altri motivi: si tratta infatti dell’ultima tappa della folle corsa costantemente in atto nel mondo dell’animazione, l’ultimo traguardo di una gara apparentemente immotivata. Il lavoro che si nasconde dietro i circa novanta minuti di spettacolo dura anni, ed è frutto di un circolo vizioso ben più antico: dalla nascita dell’animazione in computer grafica con Toy Story (1995), infatti, non si è mai smesso di progredire, rincorrendo le simulazioni più dettagliate, gli indumenti più soffici, il pulviscolo più fotorealistico, la chioma più folta e morbida.
In Oceania, l’ottanta percento della pellicola contiene effetti di questo tipo e il sessantacinque percento di queste simulazioni riguardano comprensibilmente l’acqua. Tale elemento è infatti un vero e proprio protagonista e – nonostante l’incredibile realismo con cui è stato realizzato – riesce a divenire parte integrante del racconto, esprimendo emozioni con una potenza comunicativa insospettabile.
Se da una parte è comprensibile che si siano investite energie e risorse su questo elemento – per cui è stato necessario lo sviluppo dell’engine Spash Internally, versione potenziata di Hyperion, motore di rendering proprietario sviluppato per Big Hero 6 – dall’altra rimane totalmente immotivato l’enorme investimento che, film dopo film, viene affrontato per migliorare la fisica dei sistemi particellari, ossia dei capelli.
Nonostante i personaggi continuino ad avere un aspetto rotondeggiante e siano molto lontani dall’avere fattezze umane, alla giusta distanza dalla pericolosa uncanny valley, e nonostante la pelle sia praticamente priva di subsurface scattering e risulti in fondo più simile alla plastilina che all’epidermide, le aziende di animazione continuano a fare incredibili sforzi per superare il dettaglio dei capelli del film precedente.
Oceania non fa eccezione, con un motore grafico ad hoc che è stato sviluppato proprio per superare i precedenti: Quicksilver. Lo sforzo in questo caso – oltre alle immancabili evoluzioni tecniche – è mirato a semplificare il lavoro delle varie figure professionali. Artisti e tecnici, animatori e sviluppatori: tutti riescono a cooperare grazie a Quicksilver e alle sue feature, che permettono di posizionare i capelli nella posizione designata artisticamente, per poi lasciare il motore grafico a simulare, tramite leggi fisiche, il comportamento dei capelli.
Dietro pochi secondi di animazione c’è un lavoro immane che spesso passa in secondo piano, ci sono professionisti con competenze trasversali chiamati ad affrontare sfide che lo spettatore inevitabilmente sottovaluta. Un lavoro forse irrazionale che, oltre a voler sbalordire gli spettatori, punta più verosimilmente a generare invidia nella casa di animazione concorrente. Eppure le competenze in gioco sono altissime. Gli sforzi di vere e proprie eccellenze globali, così come la tecnica che c’è dietro questi motori grafici, dietro i dettagli della chioma e la perfezione dei singoli frame, andrebbero apprezzati per rendere giustizia al lavoro di molti.
Su questo tipo di sviluppi vengono scritti numerosi articoli accademici; le evoluzioni – sia hardware che software – frutto della ricerca svolta in seno a queste produzioni hanno ricadute in ambiti inimmaginabili.
Oltre ai paper tecnici ci sono varie letture meno di nicchia per comprendere questi aspetti, come questa, da cui sono tratti alcuni degli schemi utilizzati in questo articolo, o questa, a cui fanno riferimento le informazioni su Oceania. Spesso queste fatiche folli vivono all’ombra della colonna sonora di turno, ma non per questo sono meno degne di nota.
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