È di poco tempo fa la notizia dell’assegnazione del premio Nobel per la medicina del 2016 al giapponese Yoshinori Ohsumi, che negli ultimi anni ha chiarito i meccanismi con cui si svolge l’autofagia, un processo molto importante che avviene all’interno delle nostre cellule. I risvolti scientifici della scoperta premiata quest’anno, però, appaiono meno importanti di quelli degli anni passati: non è difficile capire quali possano essere le applicazioni di un farmaco contro la malaria, o quante porte vengano aperte dal poter rendere staminali cellule già differenziate, o ancora quanta luce possa essere fatta sul funzionamento del nostro sistema immunitario dalla precisazione di un tipo cellulare che ne faccia parte.
L’autofagia invece, sebbene possa apparire come un tecnicismo utile solo a ricerche ultraspecialistiche, è sospettata essere alla base di malattie molto importanti nella società moderna, come il diabete di tipo II, il morbo di Parkinson e molte malattie infiammatorie, senza contare che il suo ruolo è cruciale nei processi di invecchiamento e nel mantenimento di un potenziale replicativo illimitato nelle cellule cancerose, che riescono a restare giovani nonostante le migliaia di cicli riproduttivi a cui vanno incontro (basti pensare che cellule tumorali estratte da una paziente morta 65 anni fa sono ancora oggi vive in vitro, e mantengono un’ottima capacità riproduttiva). Ma andiamo con ordine.
L’autofagia, come suggerisce il nome, è la capacità di una cellula di “mangiare se stessa”. Questo processo è normalmente utilizzato in varie occasioni:
Inoltre è da notare che l’autofagia è un processo estremamente conservato nel corso dell’evoluzione, ed è possibile trovarlo in ogni organismo vivente, da alcuni tra i più semplici batteri, a piante, animali e funghi molto complessi, e questa è una prova dell’importanza di questo processo per la vita stessa.
Tra il 1992 e il 2012 compaiono i più importanti studi di Ohsumi riguardo l’autofagia.
Il primo consisteva nel mettere cellule di lievito con elementi mancanti (dovuti a specifici danni al DNA creati dai ricercatori) in mezzi selettivamente privi di nutrienti. Questo ha permesso di vedere che nelle cellule in cui il gene distrutto era quello della proteasi B si accumulavano vescicole piene di materiale cellulare “a caso”. Questo ha permesso di dedurre che queste vescicole, battezzate corpi autofagici, dovessero essere digerite, insieme al loro contenuto, con l’ausilio della proteasi B, ma ciò non poteva avvenire in cellule prive di quella proteina. Questa ipotesi è stata confermata nello stesso articolo osservando che aggiungendo e togliendo un inibitore di proteasi queste vescicole prima apparivano e poi sparivano rapidamente.
Con la prima parte del lavoro di Ohsumi, si è dunque scoperto che le cellule, in mancanza di nutrienti, prima racchiudono alcune loro parti dentro membrane formando dei corpi autofagici, poi tentano di digerirle tramite proteasi per ricavare nutrienti. Ovviamente le sue scoperte non sono finite qui, ma il suo lavoro è continuato per altri 20 anni rendendo sempre più chiari i fini meccanismi che regolano questa funzione biologica, e confermando con certezza assoluta il modo e il motivo per cui si inneschi questo meccanismo.
Sebbene il processo dell’autofagia possa sembrare piuttosto distante da quella che sono i problemi della vita di tutti i giorni, bisogna considerare quanto questo processo sia fondamentale nell’invecchiamento e in molte patologie importanti. Il morbo di Parkinson ad esempio si ritiene sia causato da stress ossidativo, disfunzioni mitocondriali e aggregati proteici incontrollati, e pensandoci tutti e 3 questi meccanismi sono contrastati da una buona efficienza della funzione autofagica. Infatti si è notato che nei topi in cui questo processo è carente la malattia di Parkinson ha un decorso molto peggiore, come si è notato nelle cellule di persone affette da questa malattia, la cui funzione autofagica è spesso compromessa.
Allo stesso modo il diabete di tipo II, meno grave dal punto di vista dell’aspettativa di vita rispetto al Parkinson, ma molto peggiore per via della sempre crescente incidenza e di complicanze costose a risolversi, oltre che spesso fastidioso per il malato, si pensa possa essere dovuto ad un’insufficiente funzione autofagica. Questo perché una delle teorie per la genesi di questa malattia è che derivi da un’infiammazione persistente attribuita alle specie reattive dell’ossigeno (Reactive Oxigen Species, o ROS) prodotta nei processi di utilizzo di energia, come ad esempio consumando zuccheri. Questi ROS si ritiene aumentino in presenza di mitocondri disfunzionali (è in questi organelli cellulari che avviene l’utilizzo dell’ossigeno, quindi per forza di cose sono i principali indiziati se si pensa alla creazione di ROS), ma in una cellula con una buona gestione dell’autofagia questi mitocondri danneggiati sarebbero presto smaltiti, evitando la creazione di ROS e probabilmente anche l’insorgere del diabete.
Non bisogna dimenticare che questo processo è inoltre fondamentale nel prevenire l’invecchiamento e nel consentire la sopravvivenza di cellule cancerose; quindi il suo potenziamento o la sua inibizione, a seconda del caso, potrebbero permettere nuove terapie specifiche o aumentare sensibilmente l’aspettativa di vita. Purtroppo questi sono fenomeni troppo complessi per essere spiegati in un solo articolo, ma per chi volesse su PubMed si trovano molti papers sia in merito all’invecchiamento che al cancro. Insomma, grazie al lavoro di Ohsumi che ci ha permesso di conoscere a fondo i meccanismi di questo processo fondamentale alla buona sopravvivenza delle nostre cellule si aprono nuove porte per la gestione di malattie molto comuni, e, se le ipotesi fatte finora si rivelassero corrette, si spera di poter ottenere un giorno farmaci capaci di modificare questo processo in modo da migliorare la vita di tutti.
Vengo da Prato, classe 1994, studio medicina a Firenze e scrivo articoli più per senso civico che per amore per la scrittura. Sono sempre stato appassionato di scienze, dall'astronomia alla zoologia, ma come lascia intendere la mia "carriera" sono particolarmente affascinato dall'ambito medico-biologico, e vista la pessima informazione in questo senso che viene fatta in Italia, mi sembra doveroso cercare di riportare il più fedelmente possibile le scoperte più recenti, o spiegare perché certe teorie che girano su internet siano poco più che truffe. Per il resto ho il pallino dei giochi di ruolo (da tavolo e videogiochi) e dei dank memes ma mi diverto anche a pasticciare in cucina.
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Vengo da Prato, classe 1994, studio medicina a Firenze e scrivo articoli più per senso civico che per amore per la scrittura. Sono sempre stato appassionato di scienze, dall'astronomia alla zoologia, ma come lascia intendere la mia "carriera" sono particolarmente affascinato dall'ambito medico-biologico, e vista la pessima informazione in questo senso che viene fatta in Italia, mi sembra doveroso cercare di riportare il più fedelmente possibile le scoperte più recenti, o spiegare perché certe teorie che girano su internet siano poco più che truffe. Per il resto ho il pallino dei giochi di ruolo (da tavolo e videogiochi) e dei dank memes ma mi diverto anche a pasticciare in cucina.
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